Gli Spartani; ancora oggi facciamo riferimento ad alcuni aspetti del
loro stile di vita e delle loro abitudini: sicuramente sarà capitato a
molti di utilizzare l’espressione «educazione spartana» a indicare un
modello educativo estremamente serio e rigoroso; oppure sarà capitato di
sentire l’aggettivo «laconico» per descrivere un modo di esprimersi
basato sulla brevità e la concisione. Sia la durezza dell’educazione sia
l’essenzialità nel modo di esprimersi erano due delle caratteristiche
spartane che già nell’antichità suscitavano curiosità e spesso anche
perplessità.
L’abilità militare era un’altra delle doti che
contraddistinguevano uno spartano dai greci appartenenti alle altre
polis. La loro abilità nel combattimento rimane tutt’oggi leggendaria e
svariate sono le opere letterarie e cinematografiche che hanno
contribuito ad arricchire quest’immaginario che delinea dei guerrieri
formidabili e quasi imbattibili. Ma come mai i guerrieri spartani erano
così superiori sia tecnicamente che fisicamente rispetto a tante altre
popolazioni? La risposta è semplice, basta andare ad esaminare quella
che era l’esistenza di uno spartano qualunque, una vita durissima sin
dal momento in cui veniva alla luce.
Sappiamo per certo che i
genitori spartani non potevano allevare i propri figli, ma dovevano
portarli appena nati in un luogo chiamato tesche, qui gli anziani
esaminavano il bambino: se questo era sano e robusto ne disponevano
l'allevamento, se invece era gracile e malfatto, ordinavano che fosse
gettato in una voragine del monte Taigeto. Già in tenera età quindi lo
spartano era sottoposto alla prima grande prova nella quale veniva messa
in ballo la propria vita.
L’educazione militaresca dei giovani
spartani era completamente volta a formare guerrieri forti e senza
paura, e per il raggiungimento di questo scopo i futuri soldati erano
sottoposti a prove severissime, spesso crudeli, volte a temprare il
corpo e migliorare la capacità di resistere in condizioni critiche. Tra
queste c’era la Kryptéia: Il ragazzo veniva lasciato solo, nelle
campagne o nei boschi, armato solo di un piccolo pugnale, in modo che
imparasse a sopravvivere da solo e a fronteggiare tutte le possibile
insidie. Questa usanza segnava il passaggio del giovane dalla pubertà
alla condizione di guerriero spartano.
Dormire sulla nuda terra
sia d’estate sia d’inverno, adeguarsi ad una vita assai frugale,
consumare i pasti in comune, imparare a maneggiare la lancia e la spada:
erano questi i capisaldi nella formazione di uno spartano.
I
pedonomi, i magistrati lacedemoni che dirigevano l'educazione pubblica
degli adolescenti, erano tutt’altra cosa rispetto agli insegnanti che
siamo abituati a vedere oggi.
Oggi la società occidentale ha creato, pur
con qualche eccezione, generazioni di giovani rammolliti e talora fin
troppo viziati. Adolescenti incapaci di tollerare anche solo delle
temperature leggermente al di sopra del normale, giovani che non
riescono a comprendere l’importanza del sacrificio o
dell’amministrazione dei propri averi. Senza dubbio il modello di vita
spartano è sicuramente troppo rigido e inadeguato per la società moderna
in cui viviamo e non sarebbe possibile applicarlo nella sua integrità,
tuttavia esso può offrire molti spunti interessanti che potrebbero
tranquillamente essere d’ispirazione per inculcare nelle nuove
generazioni una mentalità diversa, una mentalità non volta al consumismo
di massa o all’uso sfrenato e obsoleto di comfort assolutamente
superflui e consumistici; i giovani andrebbero abituati, per quanto
possibile, ad una vita senza troppi agi, una vita basata spesso sul
sacrificio e sulla sopportazione; solo in questo modo possiamo riuscire a
formare nuovi tipi di caratteri per una società che al giorno d’oggi
esige sempre più forza d’animo e integrità di spirito per andare avanti e
realizzare sé stessi.
mercoledì 13 agosto 2014
lunedì 11 agosto 2014
Carcere o strutture alternative? Questo è il dilemma…
Quattro mura possono essere un luogo accogliente in cui trascorrere parte della nostra vita in modo comodo e con l'affetto dei nostri cari. Quattro mura, però, possono rappresentare allo stesso tempo anche un luogo meno accogliente in cui trascorrere un giorno,un mese,un anno o un periodo più lungo della nostra vita.
Nel corso della vita può accadere di commettere degli errori e che si venga "sbattuti dentro"come punizione. Generalmente non è un’esperienza da augurare a nessuno. In Italia, poi, figuriamoci.
La realtà del nostro paese, in merito al questo tema, parla di un sovraffollamento nelle carceri superiore al 100%. Cioè in una cella si riesce ad entrare a malapena; basti pensare che tre detenuti sono già troppi,il che vuol dire che ognuno di loro ha a disposizione meno di tre metri quadrati come spazio personale. E già qui si notano condizioni non certo positive per chi è "ospite". C'è anche un alto numero di suicidi dovuti probabilmente a queste pessime condizioni ed in più spesso si verificano decessi non proprio di natura ordinaria,detenuti che muoino senza però avere un minimo di notizie sul perché e sul come di questa morte.
Tutte cause che hanno portato alla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo del 8 gennaio 2013 che ha condannato l'Italia e il suo sistema penitenziario. A finire sotto i riflettori è la violazione dell'articolo 3 della Convenzione Europea,ovvero condizioni pessime nelle nostre carceri: mancanza d'acqua,di luce e ventilazione su tutti. L'Italia è stata disposta a pagare una cifra di 100.000 euro per tutti i ricorrenti contro lo stato.
Ma “stranamente” poco dopo, ecco all’improvviso notizie sorprendenti in cui l'Italia viene addirittura
promossa dalla Corte di Strasburgo: le carceri risultano migliorate in termini di infrastrutture e sovraffollamenti; è infatti, calato il numero dei carcerati quindi ora una cella sembra essere più vivibile rispetto a prima. Pensare che questo risultato si potrebbe ancora ridurre considerato che un terzo della popolazione carceraria è straniero. Sarebbe pensabile quindi far scontare la pena nei loro paesi d'origine!
In Italia,il carcere è senza dubbio un ambiente diseducativo,chi esce dal carcere viene trasformato in una persona sicuramente peggiore,quindi possiamo dire che è una struttura punitiva. Sicuramente ogni caso andrebbe analizzato con molta cura ma siamo sicuri che punire è l'unica soluzione ammessa? Abbiamo mai pensato invece a strutture alternative al carcere in grado di recuperare un soggetto che ha commesso un errore? Certo,siamo d'accordo con un primo stadio di punizione,ma purché la punizione sia proporzionata al danno commesso dal carcerato. Soprattutto per alcuni reati minori il carcere dovrebbe essere un momento temporaneo e anche breve per così dire,un momento di transito in cui riflettere e capire per poi essere mandati in centri di recupero. Il recupero di un carcerato sarebbe una grande vittoria. Il reinserimento nella società già di per se sarebbe un'alternativa al carcere a vita.
Ricominciare una nuova vita,lavorare,studiare,forse non sarebbe una soluzione da scartare. Ma è il popolo italiano che è influenzato e che vede al di sopra di ogni problema il carcere come soluzione. La nostra politica è anch'essa schiava dell'opinione pubblica,i magistrati se ne fregano. Una piccola parte però lotta per i diritti umani,arrivando perfino a fare scioperi della fame e della sete e ingaggiando battaglie che spesso vengono sottaciute da molti giornali. Una manifestazione che forse porterà il popolo italiano ad aprire gli occhi perché in fondo basterebbe educare la gente,così come si fa con ogni cosa. Sarebbe ora di finirla con il ragionamento del luogo comune,sarebbe anche ora di smetterla di andare a votare sempre i soliti buffoni che si scambiano le poltrone. Perfino l'Onu ha proposto all'Italia misure alternative alle carceri.
Questo dovrebbe far riflettere tutti. Ma la situazione carcere è un tassello del mosaico. ci sono altri tasselli che ugualmente andrebbero visti con un'ottica diversa,non omologata. Non vi auguriamo il carcere ,ma siete proprio sicuri che questa finta democrazia non sia già il vostro carcere?
giovedì 7 agosto 2014
Anche in Libia, l’Italia è responsabile!
Correva l’anno 2011 quando il Rais Gheddafi, dopo più di 40
anni alla guida politica e militare della Libia, fu deposto e ucciso dai ribelli armati
dall’Occidente democratico. Subito si formò Il CNT libico (Consiglio nazionale
di Transizione) per colmare il vuoto di potere lasciato dalla rivoluzione
civile. Un governo provvisorio che raccoglieva le speranze di pace e democrazia
dei giovani libici dopo decenni di terrore e dittatura. Almeno questa è la
storia che ci hanno raccontato.
Va detto però che la realtà è ben differente. Oggi, infatti,
la Libia non si può considerare una nazione, e tantomeno uno Stato, unito e
indipendente. Dal famoso “No Fly zone” imposto da ONU e NATO nel lontano 2010,
ha perso completamente sovranità e unità. Nel Giugno del 2014 si sono tenute in
tutto il territorio nazionale le prime elezioni presidenziali, ma il governo
ancora deve definitivamente insediarsi. Non sono poi mancate le solite accuse
di brogli elettorali, non sono mancate addirittura le “liste di proscrizione”
che hanno vietato di eleggere tutti coloro che parteciparono più o meno
direttamente al regime Gheddafi, e non sono mancate le sorprese: i risultati
delle elezioni sono stati pubblicati solo a fine Luglio e i libici che hanno
partecipato alle votazioni non sono stati più del 45%.
In questo clima di generale sfiducia politica, va
sottolineata la paura sociale. Sia il basso numero di affluenti al voto, sia il
fatto che il governo debba ancora insediarsi dopo due mesi quasi dalle elezioni
sono dati che fanno riflettere: colpa soprattutto dei gruppi di fondamentalisti
islamici e dei loro continui attentati sui civili e sui rappresentati
governativi che son costate la vita a migliaia di persone (tra cui donne e
bambini) dall’inizio di questa folle guerra per il potere. Questi gruppi
terroristici presenti in tutte le regioni della Libia (dalla Cirenaica alla
Tripolitana passando per il Fezzan)
spadroneggiano a causa dell’alto tasso di corruzione della polizia
locale nonostante negli ultimi tre anni il numero delle forze dell’ordine sia
salito fino a 300.000 unità totali (compreso l’esercito). Ma disarmare i
miliziani islamici è impossibile: si conta che oggi in Libia vi siano
addirittura più di venti milioni di armi
presenti ( la maggior parte finanziate da Qatar e Arabia Saudita). A Bengasi i
fondamentalisti hanno anche proclamato un Emirato islamico indipendente
nonostante abbiamo perso le elezioni (seppur con 23 seggi conquistati in
Parlamento).
Stando alle testimonianze che ogni giorno ci pervengono, la
gente anche a Tripoli e Bengasi non esce più di casa. Ci sono continui
rapimenti e richieste di riscatto. Alcuni pregano affinché vi sia un intervento
militare dei caschi blu dell’Onu. Insomma: la Libia del dopo Gheddafi, la Libia
democratica, la Libia della “Primavera Araba” ha toccato il fondo.
Una situazione che un paese come l’Italia non avrebbe mai
dovuto permettere, sia per un senso di umanità e solidarietà verso un paese
storicamente così a noi legato e geograficamente così vicino, sia per tre
motivi politici: immigrazione, scambi commerciali ed energetici, sicurezza dei
suoi operai in Libia.
Solo dopo centinaia di morti sulle coste del Mediterraneo e
migliaia di sbarchi clandestini sulle nostre isole, il premier Renzi si è
accorto che l’operazione Mare Nostrum andava ridiscussa con l’Europa.
Recentemente ha infatti dichiarato: "Penso che oggi sia
fondamentale che le Nazioni Unite mandino un inviato speciale ed
è giusto che l'Italia ponga il problema della Libia al vertice Nato del 4 e 5
settembre. Il 97% dell'immigrazione clandestina che arriva in Italia viene
dalla Libia. Possiamo fare tutti gli slogan del mondo: se
vogliamo risolvere il problema dell'immigrazione dobbiamo risolvere il problema
della Libia". Come dire: meglio tardi che mai!
Senza considerare poi i risvolti negativi sia
economici sia energetici. La Libia, dopo il famoso e discusso Trattato di
Bengasi firmato con il governo Berlusconi nel 2005 (che ha praticamente
regalato circa quattro miliardi di euro agli “amici” libici come spesa di
rimborso per le operazioni militari durante la seconda guerra mondiale) , si
era impegnata a favorire la produzione italiana sul suo suolo e a fornire ad un
prezzo vantaggioso gas proveniente dai suoi gasdotti. Il 10% del gas e del
petrolio da noi importato proviene dal “Greenstream Pipeline”: un’infrastruttura
imponente, operata da Eni al 75%, che con i suoi 520 km rappresenta il gasdotto
più lungo del Mar Mediterraneo. Gli scontri dell’ultimo mese tra i fondamentalisti
hanno avuto come teatro principale Tripoli e i suoi dintorni. A preoccupare
l’Italia è il fatto che il gasdotto disti
solamente 80 km dalla capitale libica. Se la stazione di compressione dovesse
essere coinvolta negli scontri o dovesse finire nelle mani sbagliate, il
rischio è che il flusso di gas verso l’Italia possa essere interrotto.
Non vanno poi certo dimenticati i
quattro operai italiani rapiti in questi anni in Libia. Alcuni dei quali mai
ritrovati e presumibilmente morti (vista la sicura mancanza di cure di cui
necessitavano). Altri invece liberati
solo sotto riscatto. L’ultimo tra questi Marco Vallisa, un tecnico italiano
di 53 anni, esperto di costruzioni originario di Cadeo (Piacenza) che lavora
nella città costiera di Zuwara in un cantiere della modenese Piacentini Costruzioni.
La Piacentini sta lavorando alla ricostruzione e all’ammodernamento del porto
della città.
Già nel lontano 2011, con la nostra campagna di affissioni
per la capitale, avvisammo di questi rischi sociali e politici, schierandoci
apertamente contro l’intervento dell’Italia e dell’ONU nel conflitto. Da quella
guerra avremmo ricevuto solo risvolti negativi. Ma la nostra classe politica
miope e asservita al potere finanziario internazionale pensò bene di rispettare
a testa bassa ogni ordine impartito da ONU, NATO, compagnie energetiche, Stati
Uniti e Francia senza pensare alle drastiche conseguenze (anche economiche) che
avrebbero colpito il nostro paese. E così schierò i suoi sedici cacciabombardieri,
i suoi rifornitori e le sue basi navali e aeree di Trapani, Pantelleria, ecc.
per dichiarare guerra a un paese ormai già in ginocchio da tempo. D’altronde
anche noi da decenni non abbiamo sovranità. Non possiamo prendercela con
nessuno, se non con noi stessi, se aumentano a dismisura gli immigrati, se non avremo mai indipendenza
energetica, se i nostri cittadini (o soldati, dipende dai casi) in giro per il
mondo non saranno mai sicuri. È colpa degli italiani che da decenni votano i
moderati, i liberali, i democratici. Gente asservita ad un potere più grande
che non migliorerà mai il nostro paese perche antepone gli interessi di pochi a
quelli collettivi. Se in Libia i civili continuano a morire è anche colpa
dell’Italia democratica che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà degli altri popoli” (Cit. Costituzione)…..
sabato 2 agosto 2014
Mare Nostrum: Cronaca di un Fallimento
14
Ottobre 2013, Angelino Alfano, al termine del vertice di Palazzo Chigi
dedicato all’emergenza immigrazione, annuncia l’avvio dell’operazione
“Mare Nostrum”, assicurando di dare “ il meglio di noi stessi” per
l’accoglienza dei migranti in Italia, promettendo inoltre “un dialogo
molto duro con l’Europa” per migliorare la cooperazione internazionale
fermando le partenze. “Sarà un’operazione militare e umanitaria – spiega
Mario Mauro – un’operazione ad hoc che prevede il rafforzamento del
dispositivo di sorveglianza e soccorso in alto mare, per incrementare il
livello di sicurezza delle vite umane”.
I
mezzi? Una nuova nave anfibia, con elicotteri a lungo raggio e capacità
ospedaliere, altre quattro navi della Marina, due fregate, due
pattugliatori, un’unità anfibia, due elicotteri, un velivolo P180 con
visione notturna, un’unità navale e circa 1500 uomini.
I costi? Un milione e mezzo di euro al mese, circa.
I tempi? Legati alle circostanze, ovviamente.
Le premesse? “Cambiamenti epocali”, addirittura.
26 Ottobre 2013, 12 giorni dopo: ondata
record di sbarchi, una valanga di migranti raccolta in alto mare dalla
flotta italiana della suddetta operazione, il cui costo effettivo si
aggira intorno ai 10 milioni di euro al mese.
E
mentre l’allora Premier Letta cantava vittoria sull’immigrazione,
reduce dal vertice a Bruxelles, le vere proposte erano rimandate a
Dicembre e le decisioni cruciali sul diritto d’asilo a mesi e mesi dopo.
Una vera vittoria di Pirro, quella di Letta: centinaia di disgraziati
via mare che, nonostante la strage di Lampedusa, continuano ad esser
fatti sbarcare sulle coste dell’isola, le cui strutture di accoglienza
sono ormai al collasso. Nessuno viene rispedito indietro, il costo
aumenta e i soldi stanno finendo.
Passano i mesi, i numeri crescono. Si
stima che dall’inizio del 2014, fino a metà Marzo, siano sbarcati sulle
coste italiane più di 10mila clandestini. E’ un lavoro incessante,
interminabile, e la Difesa imperterrita afferma che l’operazione Mare
Nostrum è utile per limitare il traffico; ma in tutto questo i
finanziamenti dove sono? Niente paura ci pensa Renzi.
Il
flusso migratorio continua a ritmo incalzante e la consapevolezza di
venir salvati spinge una moltitudine di immigrati a tentare la
traversata in mare. Ma Renzi è ottimista, elogia e ringrazia: perché
chiuderci se siamo in grado, a detta del Premier, di pattugliare e
presidiare? Ma con quali strutture se tutti i centri d’accoglienza
rischiano di implodere? Ad aggravare la situazione, come se non
bastasse, un’Unione Europea latitante, un continuo affievolirsi
dell’aiuto proveniente specialmente dai paesi del Nord.
Aprile 2014, un’invasione senza tregua,
senza fine. Numeri da capogiro, così come le richieste di asilo,
aumentate del 140% rispetto allo scorso anno. La Sicilia continua ad
esser la regione più colpita dal flusso migratorio; le strutture di
prima accoglienza sono colme di uomini, donne e bambini; la Lega fa un
passo avanti e decide di non rimanere a guardare. Nascono nuove proteste
contro il governo Renzi e l’UE, accusati di rimanere impassibili di
fronte l’emergenza immigrazione. Si chiede la sospensione Mare Nostrum,
la quale non fa altro che finanziare gli scafisti e dunque l’invasione
delle nostre coste. Da Ottobre sono circa 25mila gli immigrati sbarcati.
Barcone dopo barcone. L’Italia da sola non ce la fa. Mare Nostrum è il
fallimento delle politiche migratorie volute dall’UE e sottoscritte da
Alfano. Il governo promette di andare a Bruxelles per far sentire la
propria voce, ma non subito: aspetterà il semestre italiano di
presidenza europea. Una promessa che non continua a convincere la Lega,
la quale ribadisce la disfatta ormai sotto gli occhi di tutti, ed
insiste perché tutto ciò venga sospeso. Contemporaneamente l’UE dichiara
“Niente fondi extra budget”.
Maggio 2014, l’operazione Mare Nostrum e
l’abolizione del reato di clandestinità coincidono con un boom senza
precedenti di traversate in mare aperto.
Giugno
2014, 9 mesi dopo: l’UE sembra svegliarsi da questo interminabile
letargo e si dice “preoccupata per la situazione nel Mediterraneo”. I
Ministri degli affari interni europei sembrano finalmente essersi
accorsi dell’emergenza immigrazione. “C’è il rischio che la situazione
si deteriori ulteriormente”, ha convenuto il Consiglio, senza però
indicare, nelle sue conclusioni congiunte, alcuna azione concreta da
portare avanti nell’immediato. “L’Italia non può pagare da sola questo
conto – spiega Alfano – salvare vite umane è importante, ma non
significa che lo dobbiamo fare sempre noi e per sempre noi”. Ma
nonostante questo, nessuno sembra riflettere sul reale problema,
l’operazione in sé.
In
un infinito climax di notizie, ne arriva una che fa gelare il sangue
nelle vene: dieci militari sono risultati positivi al test di Mantoux ,
il quale individua la presenza di un’infezione latente dei microbatteri
della tubercolosi. ”Nessuna fase attiva o contagiosa – precisa la Marina
Militare – nessun campanello d’allarme, gli uomini continuano a
lavorare”. Immediata la denuncia di Salvini contro Renzi ed il governo:
“Questa gente riporta malattie che avevamo sconfitto da anni; la
responsabilità di tutto ciò che avviene è di Matteo Renzi. Il turismo è
al collasso e la colpa è sempre di Renzi che parla di tutto e
dappertutto, ma non dice nulla sul problema immigrazione. Aumenta
l’insicurezza e diminuiscono i posti di lavoro. La Lega continua a
ribadire il suo no; e dovrebbe dirlo anche il Presidente del Consiglio,
assente, che di fronte a tutto questo dorme. Che venga qui.”.
La
tragedia che si sta consumando nel Mediterraneo va oltre le nostre
forze; sarebbe meglio tacere ed agire prontamente; ma il governo sente
comunque il bisogno di ribadire costantemente i meriti dell’operazione
navale, scaricando le colpe sugli altri. Gli sbarchi e i naufragi si
susseguono a ritmo vorticoso e quando il risultato è positivo, il merito
è italiano, quando si verificano tragedie la colpa è dell’Europa.
Giochi di parole senza alcun senso che non aiutano chi in mare muore
davvero.
Siamo giunti a Luglio, gli sbarchi
continuano, uomini, donne e bambini vengono mandati in centri
d’accoglienza sparsi in tutte le regioni, crescono le proteste da parte
dei cittadini, sempre più indignati nei confronti di questa emergenza
ormai fuori controllo.
Un totale fallimento, non esiste altro modo per descrivere Mare Nostrum, impotente davanti all’ennesima disgrazia.
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