“E ora io solo tornavo, lasciando gli
spiriti dei miei insostituibili camerati sull’Isola. Tornavo in un Giappone che
aveva perso la guerra trent’anni prima. Tornavo nella terra dei miei avi, per
la quale avevo combattuto fino al giorno prima. Se non ci fosse stata della
gente intorno a me, avrei battuto il capo per terra, gemendo.
Per la prima volta, osservavo
dall’alto il mio campo di battaglia.
Perché mai avevo combattuto laggiù
per trent’anni? Per chi avevo combattuto? In nome di quale cause?
La baia di Manila era inondata degli
ultimi raggi di sole.”
(“Dietro
le linee”, edizioni Ar)
Parole
del genere, pronunciate da Hiroo Onoda assumono tutt’altro significato se si
conosce la storia della vita del soldato giapponese per eccellenza.
La
sua carriera militare incomincia all’età di vent’anni nel 1942. Pochi anni
prima per motivi lavorativi si era dovuto trasferire in Cina ed andò a trovare
il fratello ad Hankow, già ufficiale, che preoccupato lo rimproverò:
<<Non ti rendi conto che potresti rimetterci la pelle qui in
Cina?>>, Hiroo prontamente rispose <<Se un uomo non è disposto ad accettare qualche rischio, non combinerà
mai niente!>>.
Nel
1944 è già ufficiale e nel dicembre dello stesso anno, addestrato precisamente
alla guerriglia, nella cittadina di Lipe nelle Filippine, ricevette i suoi
ordini fatali dal maggiore Tanigushi: guidare la guarnigione di Lubang in
operazioni di commando. L’obiettivo era quello di ostacolare l’attacco nemico
su Luzon, distruggendo il campo d’aviazione ed il molo del porto di Lubang
dapprima per poi organizzare la guerra di guerriglia. <<Ce la farò. Anche
se non potrò avere noci di cocco, anche se dovrò nutrirmi di erbacce , ce la
farò! Gli ordini che ho ricevuto sono questi, e li eseguirò!>>.
Ai suoi ordini Onoda non contravverrà
per i successivi trent’anni anche quando i soldati del suo plotone cadranno
sotto i colpi nemici, anche quando rimarranno lui e pochi suoi camerati a
difesa dell’isola, anche quando rimarrà l’ultimo combattente.
Il suo addestramento prevedeva che egli
resistesse nel caso di sbarco degli americani nell’isola di Lubang, resistere
ad ogni costo in attesa di nuovi ordini, senza cedere in alcun modo a qualsiasi
ingannevole invito alla resa.
Nel
1950 nella giungla sono rimasti solo Onoda e due suoi “sottoposti”, Shimada e
Kozuka. Pochi mesi prima il soldato semplice Akatsu si era arreso ai Filippini
ed incominciarono ad apparire messaggi dallo stesso firmati <<Quando mi
sono arreso, i soldati filippini mi hanno accolto come un amico>>. Ma
questo non scosse minimamente il morale dei tre, che anzi ad ogni volantino del
nemico si rincuoravano che il momento dello sbarco dei Giapponesi a Lubang si
avvicinasse sempre più, d’altronde per i tre non poteva esistere altro esito al
conflitto per il paese dell’Imperatore che non fosse la Vittoria. Quattro anni
dopo però, dopo dieci anni di combattimento nella giungla cadrà, sotto i colpi
dei soldati filippini Shimada ed Onoda rimase con Kozuka, <<Io e Kozuka
giurammo di comune accordo che in un modo o nell’altro avremmo vendicato la
morte di Shimada>>.
Per
anni il governo giapponese tentò invano di convincere i due soldati, attraverso
volantini, giornali, foto che ritraevano o raccontavano la situazione del
Giappone e del resto del mondo dopo la Guerra, persino i parenti di Onoda e
Kozuka si recarono sull’isola nel disperativo tentativo di persuaderli ma essi
rinnovavano ogni giorno il giuramento di guerra fatto con Shimada quindici anni
prima e non era quindi contemplata altra opzione che non fosse la guerra.
<<Non dimenticherò mai il 19
ottobre 1972, perché è questo il giorno in cui Kozuka fu ucciso>>, quel
giorno a causa di un conflitto a fuoco con la polizia filippina Kozuka morirà
colpito prima alla spalla e poi al petto dai colpi del nemico.
<<Ormai ero rimasto da solo. Shimada era stato ucciso. Kozuka era stato
ucciso. La prossima volta sarebbe toccato a me. Tuttavia giurai a me stesso che
avrei venduto cara la pelle>>.
Per
due anni Onoda continuò la sua guerra, fino a quando nel 1974 il suo maggiore
in persona Taniguchi non si recherà sull’isola per trasmettere oralmente, come
di regola per i reparti speciali, gli ordini per il soldato giapponese:
<<La mia missione militare era la
mia vita e la mia ragione d’essere. Ora quella vita stava per finire, e quella
ragione d’essere mi era stata bruscamente tolta>>.
Non
è facile comprendere da queste poche righe la guerra di Onoda, per questo
sicuramente consigliamo la lettura del libro scritto dal soldato stesso edito
da Edizioni Ar “Dietro le linee”. Leggendolo sicuramente esso ci catapulta
idealmente nella trincea di Onoda, Shimada e Kozuka e
così, per quanto possibile, apprezzare un uomo che nemmeno per un istante ha
creduto nella sconfitta, che non ha tradito i suoi fratelli e che per questo,
ha conosciuto la vittoria che il suo paese non ha conseguito militarmente,
perché Hiroo Onoda non si è mai arreso.