giovedì 19 aprile 2012

Controinformazione: Il Trattato ESM

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) è un fondo di salvataggio europeo, nato poco più di un anno fa a Bruxelles nel Consiglio Europeo. Entrerà in vigore nel Luglio del 2012. Sostituirà due fondi già esistenti (Efsf e Efsm) nati in precedenza per salvare Irlanda e Portogallo dal fallimento. Ma con una differenza:  avrà una riserva della bellezza di 700 miliardi di Euro. Esso sarà regolato dalla legislazione internazionale e non potrà MAI essere giudicato da nessun ordinamento nazionale. Emetterà prestiti agli stati in difficoltà, ma a condizioni molto severe (molto più di tutti i decantati piani di “austerity” ) . Vincolerà tutti gli Stati, una volta accettato, il piano a pagare per sempre le proprie rate. Permetterà ai privati (che investiranno nel Trattato) di intervenire nell’imposizione delle regole economiche nazionali (tasse, manovra finanziarie, ecc.).
L’Italia, neanche a farlo apposta, parteciperà. Pagherà subito una rata (la prima di 5 in un anno, badate bene) di quasi 3 miliardi di euro (Se non erriamo dunque in un anno andremo a pagare 15 miliardi di euro nelle casse di questa astratto ente). In totale verseremo circa 125 miliardi di euro. Il premier Monti, dopo i vari summit Europei, si è detto più che soddisfatto dell’operato svolto fin qui dai grandi del continente.
Ancora nessun mezzo di informazione di massa ha mia riferito alcuna notizia riguardo a questo sistema (non a caso le notizie son difficili da reperire). Si preferisce parlare dei soldi pubblici incassati dalla famiglia di Bossi, oppure dei presunti versamenti di Berlusconi alla Minetti e alle gemelle De Vivo. Dell’ESM invece nessuna traccia. Nemmeno un trafiletto. Considerato quindi di minore importanza rispetto anche a Silvia, la fidanzata del Trota, che dichiara:”Mi piace l’uomo vero”.  
Ancora nessun commento dalle forze politiche (non bancarie) che dimostrano, di nuovo, la totale complicità e sottomissione ai piani di usura internazionale. Nessuna voce di opposizione. Nessun contrasto col neo trattato europeo.
Ancora nessun giudizio della magistratura italiana che vedrà, per l’ennesima volta, vedersi ridotti e limitati i poteri di accertamento sul lavoro dei grandi banchieri mondiali. Nessuna lamentela verso coloro che passeranno oltre alla Costituzione (che novità!) senza avvisare il popolo sovrano (di che?).
Un commento allora vorremmo farlo noi. Ma causa scarsità di notizie a riguardo questo articolo di contro informazione sarà ricco di interrogativi.
Ci domandiamo (e ci farebbe piacere che se lo domandino in molti) come mai non se ne parli. Nemmeno una volta si sia mai accennato (a parte sul Sole 24 ore, ci mancherebbe) a questo trattato. Ci domandiamo se è una truffa dalla quale non ne possiamo più uscire. Ci domandiamo perché questa commissione che gestirà l’ESM non potrà essere giudicata da nessun ordinamento (nemmeno internazionale), godrà di immunità giudiziaria e di totale segretezza di azione. Ci domandiamo che cosa potrebbe succedere se non dovessimo riuscire a pagare 125 miliardi di euro. Ci domandiamo perché il governo ha appena finito di presentare una manovra molto ardua da sopportare per il popolo italiano, da circa 30 miliardi di euro, e già ne spende il 20% per pagare un assurdo piano di salvataggio e usura internazionale. Ci domandiamo come mai la nostra politica miope e succube invece di investire questi 125 miliardi di euro su riforme per il lavoro (in primis) per le infrastrutture, per la ricerca e per l’istruzione preferisca donarli (praticamente) a prestatori di denaro. Non sarebbe crescita   questa?
Chissà se un giorno avremo risposte. Chissà se quel giorno non sarà troppo tardi per fare passi indietro. E alla luce di tutto ciò, chissà come festeggeranno i grandi intellettuali di regime il 25 Aprile , la Festa della Liberazione, con la coscienza sporca e le bugie sempre pronte.

mercoledì 4 aprile 2012

Art.18: Affittasi giovane Lavoratore

Dopo la riforma finanziaria e il decreto legge sulle liberalizzazioni il governo Monti partorisce il terzo “grande” provvedimento della sua amministrazione: la riforma dell’Art. 18 dello Statuto dei lavoratori, emesso nel 1970.  Fino ad oggi considerato “intoccabile” dalle parti sociali e dalla maggior parte dei sindacati e partiti politici, l’art. 18 sembra essere però davvero arrivato al capolinea. Il governo, infatti, deciso più che mai (e ci mancherebbe: non ha nulla da perdere)  ad attuare la riforma sembra passare oltre l’opposizione della Cgil, della Fiom e di alcuni partiti italiani (vedi Italia dei valori, Partito Democratico, Lega Nord). Secondo Monti & Co. (la sigla ci piace, sa di multinazionale) la riforma renderebbe il lavoro più flessibile e dinamico sopratutto per i giovani, oggi chiusi da logiche lavorative nepotiste e gerontocratiche. L’obiettivo numero uno è quello di abbattere il precariato ispirandosi al “modello tedesco”.  Tutto ciò sarà permesso grazie ad un ritocco dei vari contratti per evitare abusi e usi scorretti.
Ma vediamo, in maniera ordinata, cos’me è oggi e come sarà domani l’Art. 18 in questione (analisi finalizzata inoltre con il riferimento al famigerato “modello tedesco”).
Ad oggi l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori tutela l’operaio, l’impiegato italiano da licenziamenti illegittimi (cioè senza una causa fondamentale , perché discriminatorio, perché effettuato senza comunicazione) nelle unità produttive con più di 15 dipendenti (prettamente agricole), o nelle aziende con più di 60 dipendenti. Nell’attuale clima lavorativo italiano, caratterizzato da un frustrante precariato (soprattutto per i giovani) è una delle poche norme che tutelano effettivamente una parte dei dipendenti pubblici e privati del nostro paese.
La riforma, invece, prevede la nullità del licenziamento discriminatorio in qualsiasi situazione, ma la piena applicabilità di quello per “oggettiva causa” cioè per motivi economici legati all’azienda. Il giudice poi, in quest’ultimo caso, deciderà se sancire il reintegro del dipendente non accogliendo la domanda di licenziamento, oppure di concedere un indennizzo (che oscillerà tra le 15 e 27 mensilità). In caso di licenziamento, l’azienda dovrà pagare una tassa pari ad una mensilità e mezzo. Inoltre saranno penalizzati i contratti a termine (esclusi quelli stagionali o sostitutivi) con un contributo aggiuntivo dell'1,4% da versare per il finanziamento del nuovo sussidio di disoccupazione. Per i contratti a termine non saranno possibili proroghe oltre i 36 mesi (successivamente scatterà il contratto di lavoro a tempo indeterminato). La riforma inoltre prevede l’obbligo di pagare (seppur non stabilito nei modi e nei tempi) ogni stage che un giovane offre all’azienda. Il nuovo sistema andrà a regime nel 2017. L’ Aspi (l'assicurazione sociale per l'impiego) sarà universale, sostituirà l'attuale indennità di disoccupazione (famosa mobilità). Durerà 12 mesi (18 per gli over 55) e dovrebbe valere il 75% della retribuzione lorda fino a 1.150 euro, e il 25% per la quota superiore a questa cifra, con un tetto di 1.119 euro lordi per il sussidio. Si riduce dopo i primi sei mesi. Sarà quindi più alta dell'indennità attuale che al suo massimo raggiunge il 60% della retribuzione lorda. Non verrà toccata la cassa integrazione, sarà ridotta l’apertura di nuove partite iva, e vi sarà un fondo di sussidio per gli anziani che perdono il posto di lavoro a pochi anni dal raggiungimento della pensione. Infine, maggiori paletti e vincoli burocratici saranno inseriti per scoraggiare i contratti a termini, a chiamata e a progetto. 
Tutta la riforma sarà ovviamente orientata alla similitudine con il  “modello tedesco”.  In sostanza, cioè, la possibilità di patteggiare un accordo con un indennizzo economico per evitare una causa dinanzi al giudice. Ma se il lavoratore tedesco è convinto di avere ragione, allora intenterà una causa contro la vecchia azienda. Se il licenziamento sarà giudicato illegittimo allora sarà nullo e vi sarà un reintegro con tanto di penali per il datore di lavoro e il pagamento dei salari per il periodo tra il licenziamento e la sentenza.  Inoltre in Germania, il licenziamento va prima comunicato alla rappresentanza sindacale, la quale, se non lo riterrà giustificato, apporrà un atto scritto che in caso di via legale avrà un sicuro peso. Infine se l’azienda decide di licenziare qualche suo dipendente per motivi economici, dovrà decidere solo quello con minore esperienza interna e che non ha famiglia a carico.
Numerose son state da subito le critiche di vasti settori dell’opinione politica e sindacale nostrana. Bersani ha dichiarato su Rai 1 a “Porta a Porta” che la riforma è inammissibile, contraria a logiche naturali. Zipponi (responsabile del settore lavoro dell’Italia dei valori) ha rilasciato su “Rinascita” una bellissima intervista nella quale sostiene la distruzione dello stato sociale accelerata da quest’ultimo governo. Conferma la propria contrarietà alla riforma e la difesa obbligatoria alla classe operaia italiana e del diritto al lavoro. La Camusso (Cgil) e Landini (Fiom)e la Ugl sono assolutamente contrari a tale decreto legge, non credono che le imprese tagliando il costo del lavoro riescano a tornare competitive nel mercato del lavoro globale e capitalista. Esigono la tutela del lavoratore. Per loro la riforma non crea posti lavoro, non elimina il precariato e non aumenta affatto gli ammortizzatori sociali. Gli operai liguri (Genova su tutti), piemontesi (Torino soprattutto) e toscani (Pisa e Firenze) son già scesi dal conto loro in piazza per protestare, occupando inoltre diversi tratti autostradali e creando numerosi disagi agli autotrasportatori. Ma nonostante le numerose opposizioni il governo Monti, capeggiato dal ministro delle politiche sociali e del lavoro, Elsa Fornero, non effettuerà alcun passo indietro arrivando addirittura a minacciare dimissioni immediate nel caso il decreto non passi al Parlamento. Secondo questi simpatici personaggi, la logica del consociativismo (cioè tutti devono essere d’accordo) deve essere abbattuta. Da subito le prima lodi per la riforma sono arrivate dalla Commissione Europea direttamente da Bruxelles. A sorpresa, però, questo inedito governo di bankster, trova il consenso diretto ed esplicito anche di Bonanni, segretario Cisl, il quale afferma che il mondo è cambiato e necessita di riforme (anche a costo probabilmente di rimetterci buona parte della tutela dei lavoratori). Infine, la Marcegaglia, presidente di Confindustria, quale buona borghese, minaccia che se la riforma dovesse essere ritoccata ai danni delle aziende e a favore dei lavoratori non avrebbe senso portarla avanti.
Tracciate quindi le linee guida del provvedimento, e ascoltate le voci dei protagonisti è possibile già trarre alcune considerazioni. Per onestà intellettuale due punti vanno comunque lodati: in primis, il nuovo ASPI universale che tutelerà una più vasta gamma rispetto alla vecchia mobilità di ex lavoratori. In secondo luogo la mini tassa inserita per le aziende in caso di licenziamento.
Molte però rimangono le perplessità e le critiche verso questa riforma. In primis, davvero questo decreto legge assomiglia molto al “modello tedesco” (provate e rileggere e fatevi un’idea)? E se per assurdo un giorno un lavoratore decidesse di intentare una causa contro la sua azienda, visti i tempi e i modi giuridici attuali, quanto ci guadagnerebbe viste le enormi spese legali (d’altronde il peso di un avvocato a livello economico è maggiore per un normale cittadino che per un’azienda)? Infine, perché giustificare e favorire i licenziamenti anche dei contratti a tempo indeterminato per motivi economici e  poi millantare il punto nel quale si obbliga alle aziende dopo tre anni di lavoro a tempo determinato di far firmare un contratto a tempo indeterminato? Il precariato così è davvero arrivato verso un punto di non ritorno?
Contrari ovviamente, per grandi tratti, a questo decreto legge, affermiamo nuovamente la nostra posizione in difesa del lavoro quale cosa più alta, più nobile, più religiosa della vita. Solo creando occupazione, favorendo il lavoro giovanile, potremo un giorno costruirci un avvenire più glorioso. Nessuno stato, mai, è divenuto grande senza l’ausilio lavorativo dei propri cittadini. Nessuno stato, mai, dovrebbe  sfruttare la forza lavoro dei propri operai per trarne benefici non collettivi ma privati. Nessuno stato, mai, dovrebbe robotizzare l’essere umano riducendolo a mera aspettativa di guadagno. Contro l’usura monetaria e lavorativa, per la solidarietà e la giustizia sociale.

lunedì 2 aprile 2012

Hanno disintegrato la Nazione, ora distruggono lo Stato.

Conferenza del 21/03/2012, ore 18:00, presso lo spazio libero Tenaglia. Tenaglia è il nucleo. E’ aggregazione e promozione sociale. E’ officina delle idee. La nostra forgia ha una fiamma che brucia le parole futili. Parole spesso martirizzate rispetto al loro senso. Parole di cui si è spesso abusato, o ignorato il significato. Al Tenaglia si tenta di far suonare le parole “forte e chiaro”, si prova a produrne “poche ma buone”. Cercano di essere attuali, in un momento storico come questo. Parlano di una crisi avanti alla svendita in sordina dello stato nazionale mediante i suoi gioielli industriali.
La Nazione invece, la sua idea, l’hanno distrutta tempo fa.
Quindi se ci chiedono perché è importante esserci quando si parla “poco ma bene” noi amiamo rispondere che:”quando si parla troppo si perde di vista che il tempo d’agire è già giunto”.
Ha parlato al Tenaglia Giuseppe Parlato, presidente della Fondazione Ugo Spirito-Renzo De Felice e professore di storia contemporanea; ha parlato Paolo Zanetov, scrittore e ricercatore presso l’Istituto Luce.

Al Tenaglia si parla di Nazione. Dei processi di disgregazione della cultura storica dell’Italia unita rispetto la diffusione, o meglio, della riaffermazione dei particolarismi. Si torna indietro dunque, di quasi duecento anni, all’Italia del 1815, ancora prima a quella dei Comuni; uno spettro lontano secoli rispetto la Nazione della “primavera dei popoli”, del 1848.
Eppure la cultura, anche quella politica, dovrebbe essere il motore dell’evoluzione di uno stato e di una nazione che nata tardi, resta unita e compatta, in un fronte di popolo, davanti le difficoltà che gli si prospettano a spregio di un individualismo cinico e spietato figlio di questo tempo.
Hanno disintegrato la Nazione, ora distruggono lo Stato.
Si è dimenticato che l’Italia, riportando Zanetov :”Non è unita da un legame razziale, bensì da un excursus storico, da un’esperienza comune che trova il proprio riconoscimento nei processi di formazione della sua idea di Nazione e, congiuntamente, di quelle di delegittimazione della stessa.”.
A partire dal 1947, tutto quello che è stato il vero collante di un intero popolo, è stato gettato in pasto al mostro della dimenticanza. Parlato ci spiega come i padri fondatori della Nazione intesa come idea, da Pisacane a Mazzini, passando per Garibaldi erano “troppo fascisti” per permettere alla stessa di mantenere, questi uomini e le loro idee, come bagaglio culturale del proprio popolo. A dispetto di un recente rispolvero di figure come Garibaldi e di tutti i grandi uomini che hanno contribuito a “fare l’Italia”, l’impressione è che di tanti soltanto uno sia stato salvato: il riferimento è a Mameli. Che piuttosto della sua fine eroica, viere ricordato soltanto per il suo talento musicale. L’inno stesso, dello stato italiano è sempre meno l’inno della Nazione. Come se tutto si fosse ridotto ad un momento di folklore da rilegare ad una manifestazione sportiva, ad una commemorazione di facciata ! Bella l’Italia, purché non si parli di quanto sia bella la nazione !

Stiamo perdendo le nostre avanguardie culturali, soggetti alla “piccola Yalta” immediatamente dopo la fine del secondo conflitto mondiale, dove le nuove forze politiche presenti nello stato hanno spartito in settori i residui di ciò che al paese era rimasto: il PCI la cultura, la DC lo stato ed un terzo polo, di esclusi, ad occupare lo spazio compresso –oggi sempre più- dei temi sociali, tragicamente legati ad un’idea di stato sociale che troppo confluiva in quella liberal-democratica neo-atlantista.
Si é perso, definitivamente, negli anni il concetto di nazione. Si è distorto quello di “fazione”. Una volta considerato nucleo rivoluzionario, identitario, culturale oggi inteso come gruppo di interesse non solo politico ma economico. Testimonianza netta è l’appoggio fornito dai partiti italiani al governo Monti. Come possono forze politiche nazionali contribuire alla formazione prima e alla crescita poi di un’amministrazione banaria e dunque anti nazionale? Le lobby finanziarie comandano le fazioni. La Nazione è praticamente del tutto debellata. Chi vuole essere complice è ancora in tempo ….

domenica 25 marzo 2012

Eurocrazia: Paradossi, Banche e Parole!

È inutile negarlo: l’era moderna è l’era del materialismo, della finanza, del denaro. Tutto ruota intorno all’economia (reale e non). Anche tutto ciò che concerne il piano sociale, inevitabilmente prima o poi, ricade su questa tematica. Non possiamo che constatare questo indiscusso fatto, seppur ogni tanto saremmo molto più felici di raccontarvi storie di contro informazione legate magari a qualche gesto eroico di un militante politico, o di soldato in difesa della propria terra, o di ardue decisioni sociali di un coraggioso politico.
Ma l’era moderna è anche e soprattutto l’era dei paradossi. Batte di gran lunga, infatti, il IV E V Secolo a.C. della Grecia di Zenone e di Parmenide, che con i propri paradossi (il primo) e la propria filosofia (il secondo) continuano a lasciare a bocca aperta milioni di studenti. Non a caso, il primo fra questi moderni paradossi, è il solito sistema capitalista (anzi iper capitalista) nel quale verte tutta la porzione atlantica del mondo e nella quale anche i suoi più grandi geni economici non riescono ancora a capire come in realtà funzioni questa truffa (pardon, chiamiamolo per ora ancora “sistema”). Altro paradosso dell’era contemporanea, per esempio, può essere l’ignoranza della massa moderna, non tanto sul piano culturale quanto su quello logico. Per esempio, milioni di persone hanno conseguito lauree magistrali con ottime votazioni, ma nonostante ciò, dopo anni di studio robotico, ancora non sanno spiegarsi come mai la benzina continui ad aumentare nonostante siano state finanziate decine di missioni belliche atte a impossessarsi di quasi tutti i pozzi petroliferi mondiali; non capiscono che cosa sia il debito pubblico e perché siamo costretti a pagare tasse fittizie (vedi, IMU, IVA, Ecc); non capiscono come mai il futuro dei giovani lavoratori sia destinato ormai a non essere più tutelato dallo stato sociale costruito con tanto impegno da Giolitti, prima e Mussolini poi (e soprattutto). E quando cerchi di dargli un quadro più chiaro dell’economia globale, che sappia rispondere a molte più domande di quanto si possa immaginare ti denigrano con appellativi del tipo: complotti sta, eversivo. Pure questo è un altro paradosso.
Questo articolo vuole raccontarvi altri due  paradossi. Strettamente connessi sul piano logico, ovviamente divisi dalla politica attuale europea.
Il primo è rappresentato dalla situazione ungherese e islandese attuale. Due paesi “ribelli” in cerca di libertà. L’Ungheria guidata dal conservatore (così lo definisce la stampa moderna, a noi invece pare più un rivoluzionario) Viktor Orban, capace in pochi mesi di vincere le elezioni con una cospicua maggioranza, modificare la costituzione del proprio paese,  rifiutarsi di sottostare esplicitamente all’usura del  Fondo Monetario Internazionale e tutti i suoi complici dell’Eurocrazia (appellativo “donato” da lui stesso alla CEE), aumentare il suo consenso, aizzare le piazze con slogan tanto rivoluzionari quanto sociali (“noi non siamo una colonia” per esempio, oppure “vogliamo essere liberi” e ancora “siamo sotto una dittatura forse più pesante di quella sovietica”e infine “l’Ungheria e gli ungheresi meritano rispetto, non siamo mai stati cosi forti prima d’ora”). L’Islanda, invece, ribellatasi dopo una vera e propria insurrezione popolare (che ricordiamo si rifiutò di pagare il debito a Gran Bretagna e Olanda circa un anno fa dopo il crollo delle sue tre più grandi banche, in quanto giudicato illegittimo) è ora indecisa se adottare il dollaro canadese come moneta unica e abbandonare (quasi certamente) la corona islandese odierna, ormai troppo debole sul piano internazionale. Vorrebbe dire rinuncia alla sovranità monetaria (e forse anche politica) ma significherebbe soprattutto un ennesimo gesto di ”ripicca” verso le plutocrazia europee, ree di aver provocato la più grande catastrofe economica della storia dell’isola nordica.
Eppure l’Ungheria e l’Islanda sono ora “vittime di un complotto internazionale” (citazione ancora una volta di Viktor Orban riguardo però soltanto il suo paese) che le vedono completamente abbandonate sul piano economico dal resto dell’Europa (ricevendo inoltre anche delle sanzioni finanziarie), e soprattutto oscurate sul piano dell’informazione nazionale dei vari paesi Occidentali, i quali, nelle rare occasione di discussione su queste due tematiche, si limitano come sempre a parlare della manifestazioni delle opposizioni (davvero limitate) facendo passare come quasi illegittimi i governi ora al potere.
Il secondo paradosso è relativo alla situazione (drammatica) portoghese. Il suo spread è salito a circa 1200 punti. Oggi il governo di Lisbona è costretto a pagare il 14% sui titoli a 10 anni. Con i CDS (Credit Default Swap) (una specie di polizze che coprono il rischio di fallimento dei titoli) le cose vanno peggio: son saliti a più di 1300 punti. Se si pensa che solo due anni fa erano stabili a 112 punti, vien da chiedersi come mai. Nonostante, inoltre, i 78 miliardi di prestito chiesti (come l’Irlanda e la Grecia) alla Troika (BCE-FMI-UE) il Portogallo non riesce ad uscire da questa assurda situazione: il PIL è diminuito di quasi 3 punti percentuali, la disoccupazione è aumentata al 14 % (al 35% tra i giovani). Ad oggi questi tassi non li reggerebbe nemmeno la Cina, la più forte economia del mondo (fonte: il sole 24 ore) . Ma il paradosso è un altro: il Portogallo sta chiedendo aiuto a due sue ex colonie: Brasile e Angola. Due stati che stanno comprando alcuni titoli (oggi fermi al 4%) sulle società (una volta pubbliche ora private) portoghesi, per onorare il piano di austerity dettato dalla Troika. Vergognosamente aiuti non solo arrivati sul piano finanziario ma anche su quello sociale: è in atto, infatti, una grande migrazione di giovani portoghesi verso queste due nazioni: più di trecentomila in Brasile , più di centomila in Angola.
Dati assolutamente non commentabili. Paradossi parlanti e più che esaustivi. Dunque, vien da chiedersi: ma questa Europa che la fate a fare? È solo di banche e di parole ….

sabato 17 marzo 2012

Giù le mani dal Golden Share

Essere avanguardia politica al mondo d’oggi è missione assai ardua. Vuoi per i notevoli gruppi politici esistenti, vuoi per l’abbondante mole informativa dei mass media, vuoi per il carattere arrogante di molti intellettuali. Essere avanguardia politica però è ancora possibile. Se si crede in ciò che si porta avanti, se si rischia un pò, se si cerca di gettare il cuore oltre l’ostacolo, si può guadagnare simile appellativo.
Circa un mese fa i nostri militanti per le vie del centro della capitale, hanno affisso oltre cinquecento manifesti  riportanti la battaglia madre per la sovranità monetaria e politica d’Italia, per la giustizia sociale e per il lavoro, contro l’usura bancaria e il governo Monti. Insieme a questi vi erano anche alcuni manifesti nei quali veniva azzardato un pronostico: la svendita ormai prossima dei gioielli di Stato, Eni Enel e Finmeccanica (tra l’altro solo per il 33% circa, cioè le quote in mano al settore pubblico e non ancora privatizzate). È stato un rischio. Quei settori possono anche mai venir privatizzati, chi lo sa. Ma quando si è comunità militante, bisogna avere prima di un programma politico, una propria visione della vita. La nostra è rappresentata dal coraggio e dal sacrifico. Così il rischio diviene gioia.

Alla luce di ciò, ci viene incontro una attacco della Commissione Europea (si, ancora una volta lei) al Golden Share, la normativa italiana (e non solo) varata agli inizi degli anni novanta, giudicata deleteria per il mercato in quanto impedisce l’arrivo di nuovi soci privati alla guida di aziende pubbliche e impedisce il trasferimento all’estero della sede direttiva.

Per chiarire brevemente, la “Golden Share” è un istituto giuridico facente parte di diversi ordinamenti (non solo quello italiano). Questo istituto riserva al governo poteri speciali a seguito della privatizzazione di un settore pubblico.  Per esempio, grazie a questa normativa il governo, una volta venduto il settore pubblico , può inserire un suo membro nel nuovo consiglio d’amministrazione e inoltre può comunque percepire ancora una parte delle azioni dell’azienda (anche se nella maggior parte dei casi, solo simbolicamente: 1%). La funzione primaria del “Golden Share” è ovviamente quella di tutelare l’interesse collettivo a discapito delle società private.
Eliminarlo significa avere la strada ancor più spianata verso la privatizzazione dei nostri ultimi settori pubblici. Ma già se ne sta discutendo, e solo per quanto riguarda l’Italia. L’obiettivo di facciata sono: Eni, Enel e Finmeccanica. L’obiettivo reale è l’ennesimo passo in avanti verso la robotizzazione dell’essere umano, non avente più diritti lavorativi tutelati dallo Stato sociale d’appartenenza, e verso il licenziamento facilitato dalla mancata produttività dell’impiegato e giustificato dal “periodo di crisi”. E in questo grande progetto l’Italia avrà l’onore di svolgere il ruolo di cavia. 
Già un mese fa eravamo scesi in strada a propagandare questo nostro pensiero, a dar seguito con l’azione ad una nostra idea. Già un mese fa sapevamo che ci sarebbero stati passi in avanti per la privatizzazione dei tre gioielli di Stato. Ma già da oggi sappiamo che questa società si sta avvicinando pericolosamente sempre di più ai canoni della distopia orwelliana. Già da oggi sappiamo che il futuro dei giovani lavoratori italiani sarà sempre più precario in quanto non protetto dallo stato sociale ma bensì succube dei progetti materiali dei privati imprenditori. 

Questo non è il futuro che vogliamo. Questa non è libertà. È arrivato il tempo di cominciare a capire ….

giovedì 8 marzo 2012

Siria, una storia già vista

Chi, meglio dell’Italia, conosce la celebre “pax americana”? Chi, meglio dell’Italia, conosce gli effetti di questa vile invasione? Chi, meglio dell’Italia, ha assaporato i suoi lati più falsi e meschini?

Nel 1943, infatti, i marines sbarcarono in Sicilia e un anno dopo ad Anzio. Ci liberarono (secondo molti). Nel 1946 dettarono (seppur non da soli) le norme imperative della Costituzione. La fecero successivamente approvare e ci riempirono d’oro. Tutto ciò in nome della libertà. Contro la tirannia, l’oppressione e la violenza. In cambio pretesero solamente (si fa per dire) la totale soggezione in politica estera ed economica (e forse anche interna a livello sociale) dell’Italia al volere della finanza internazionale (e quindi a stelle e strisce in linea di massima). Hanno privatizzato le banche, ci hanno indebitati e costretti a seguirli in ogni angolo del pianeta per assurde missioni belliche. Ovviamente, sempre in nome della libertà.
Dunque, quando apriamo i giornali, accendiamo la televisione e ascoltiamo i misfatti statunitensi in politica estera noi italiani non dobbiamo certamente meravigliarci. Perché meravigliarsi della aggressioni in Iraq o Afghanistan quando da sessant’anni siamo abituati alle guerre del Golfo, del Vietnam, del Sinai, dei Balcani? Perché meravigliarci di come riescano a fomentare le masse, promuovendo ipocritamente libertà, pace e democrazia quando lo hanno fatto con noi per primi? Lo sapevamo che sarebbe andata così.  Sapevamo in cuor nostro che il loro progetto di dominio del mondo sarebbe stato portato avanti , senza limitazioni morali.
Eppure, nonostante tutti noi fossimo consci di questo loro vile comportamento, siamo sempre stati attenti  a quello che avrebbero prodotto le loro menti.
L’ultima grande missione da attuare è la conquista del mondo arabo e nord africano. Questa larga porzione di spazio l’hanno già mirata e colpita da diversi anni. Hanno cominciato con la Tunisia, per poi arrivare in Egitto e in Libia. Hanno spodestato i vecchi regimi, e ne hanno messi nuovi a loro piacimento. Avevano promesso democrazia (si, sempre questa magica parola) eppure nonostante siano passati diversi mesi ormai, in queste zone c’è tutto tranne che aria di libertà.
Ma non si son certamente fermati li. Devono d’altronde completare l’opera, il progetto di dominio economico del mondo. E così, hanno anche scelto la prossima vittima sacrificale: la Siria di Bashar al-Assad. Come al solito, hanno aizzato la platea con le loro idee liberali. Li hanno portati in piazza, e li stanno tutt’or portando alla rivolta armata. In un anno, la “rivoluzione” (si fa per dire, perché non è cambiato nulla) ha portato la bellezza di novemila morti tra civili (comprese donne e bambini), soldati e ribelli. La regione più colpita è quella di Homs con 3500 morti circa. Dopo poco più di dodici mesi dall’inizio delle ostilità, ancora persistono bombardamenti, attentati, rapimenti. Le forze governative contro l’opposizione armata. Cattivi contro buoni.
Loro, gli U.S.A., ancora non sono scesi in campo a livello militare. Ma solo sul piano politico denunciando più volte le aggressioni e le violenze dell’esercito siriano contro i manifestanti liberali. Hanno invocato anche le sanzioni del loro gioco preferito, l’ONU. Hanno minacciato interventi repentini. Chiedono al governo di Damasco l’accesso al paese per gli operatori umanitari, la cessazione delle violenze e la cooperazione con Kofi Annan inviato speciale dell’ONU. In teoria quindi vorrebbero il dialogo, in pratica stanno ancora una volta ricattando il governo locale ad ascoltare le direttive delle Nazioni Unite, pena la guerra immediata.
Fortunatamente però questa minaccia appare comunque lontana. Infatti, grazie alle recenti elezioni presidenziali in Russia che hanno incoronato ancora una volta Vladimir Putin, la Siria può contare su un valido alleato, anche forse in ambito bellico. Inoltre il supporto della Cina al governo locale di Assad non è si mai esaurito.
Ciò che però preoccupa è appunto il progetto imperialista a stelle e strisce che non conosce ne regole ne limiti. Un progetto che va avanti da decenni. Un progetto incontrastato, truculento. Un progetto vile, falso. Ipotizzare un loro fallimento, una loro disfatta ad oggi appare difficile. Ma è dovere di ogni uomo libero denunciare la loro ipocrisia. Proviamo a fermarli….

giovedì 1 marzo 2012

Spazio Libero Tenaglia, per gli uomini liberi!

Questo non è un articolo d’informazione giornalistica. È un articolo d’informazione militante. “Il Maestrale” è, infatti, lo strumento di analisi politica della comunità militante Sempre Domani.
Sempre Domani è un’ associazione nata il 6 Ottobre 2010 per iniziativa del nucleo fondante dell’Appio-Tuscolano come superamento delle precedenti esperienze politiche. Sempre Domani è una comunità organica ed umana, cioè composta dai cuori,  dalle menti, dal sudore e dall’impegno dei suoi militanti. Sempre Domani sviluppa la sua visione della vita oltre che in ambito politico anche in quello culturale grazie all’Associazione Emmetrentanove e in ambito sportivo grazie alla squadra di calcio dilettantistica Pro Appio.
Fino a circa tre mesi fa però era senza casa. Portava avanti per strada le sue battaglia ma necessitava comunque di uno spazio come punto di riferimento. Così, grazie al solito quotidiano e tenace impegno militante ha trovato in Via Assisi 140-142 (Roma) un luogo dove fissare la sua dimora. Un luogo abbandonato dagli enti pubblici e rivalutato da giovani arditi che del binomio pensiero-azione hanno fatto il loro stile di vita.
Sempre Domani lo ha chiamato “Spazio Libero Tenaglia”. Libero in quanto finalmente è uscito dall’abbandono nefasto dell’ente INPDAI causato dalla solita aberrante burocrazia. Tenaglia in quanto spezza i fili di questa deprecabile modernità. 
Qui dopo soli tre mesi di lavoro per la ristrutturazione,appunto dello spazio, i militanti di Sempre Domani hanno organizzato una giornata in ricordo dei martiri delle Foibe, chiamandola “Anche le pietre parlano italiano”. L’organizzazione è stata rapida ma ben strutturata e consisteva in una conferenza, alla quale sono stati invitati illustri ospiti (il professore e scrittore storico Vincenzo De Luca, il dottor Antonio Ballarin dell’associazione Venezia Giulia e Dalmazia e il presidente dell’associazione Urbe 2006 Francesco Fedeli), ed una mostra fotografica. La partecipazione è stata molto soddisfacente. Numerosi i giovani che hanno partecipato. Presente inoltre un‘anziana esule fiumana la cui testimonianza fisica ha reso la serata ancor più emozionante. A fine serata, inoltre, un rinfresco con pasta, pizza, salumi e vino ha accompagnato la chiusura dell’iniziativa inaugurale dello Spazio.
Consci del fatto che Spazio Libero Tenaglia non indica per Sempre Domani un punto di arrivo va comunque sottolineato il grande passo di questa comunità che oggi ancor di più dimostra di essere avanguardia politica.
Dunque Spazio Libero Tenaglia è un simbolo di rivoluzione ma soprattutto un punto di partenza. È lo spazio di tutti coloro che affrontano la vita da uomini liberi consapevoli del significato del donarsi.
Siamo Passati.