lunedì 2 giugno 2014

Thomas Sterne Eliot, interprete di un'epoca


Provare a descrivere, con semplici parole, la personalita' disarmante di Eliot e' un compito assai arduo; la sua altissima coscienza artistica fa si che egli sia da considerare come uno dei poeti che piu' lucidamente hanno interpretato il XX secolo.

Nacque nel 1888 a Saint Louise, nel Missouri, da una famiglia trasferitasi nel Middle West, le cui origini americane erano legate al New England. Frequento' fin da giovane ambienti intellettuali assai vivi e stimolanti, che risultarono fondamentali per la sua formazione culturale. E' in questi anni che Eliot intraprende la conoscenza dei maggiori esponenti del postsimbolismo francese, dei metafisici ed attraverso la mediazione di Ezra Pound, degli stilnovisti, approfondendo il genio di Dante Alighieri. Dopo diversi spostamenti nelle principali citta' europee, si stabili' definitivamente a Londra, ottenendo la cittadinanza inglese nel 1927, convertendosi all'anglicanesimo e dedicandosi in modo definitivo all'attivita' letteraria. Nel 1948 gli venne conferito il premio Nobel per la Letteratura. Mori' a Londra il 4 gennaio 1965.

L'estro critico-poetico di Eliot assume una diversa connotazione nel momento in cui egli decide di convertirsi. Negli anni che precedono tale scelta, i suoi versi esprimono con estrema potenza un mondo privo di significato, in cui il crollo degli antichi valori tradizionali e' tale da impedire la rinascita di nuove certezze. Un mondo pienamente sintetizzato in quel poema considerato il suo piu' autentico capolavoro: "La terra desolata".


433 versi in cui la potenza linguistica si concretizza in immagini simboliche troppo spesso male interpretate dalla critica. Pietra miliare della poesia moderna, all'interno dell'opera confluiscono diversi aspetti del mito e della tradizione letteraria, della filosofia orientale, dell'antropologia, dell'ermeneutica e delle profezie bibliche: un sapere enciclopedico di straordinaria bellezza. Impossibile ignorare il grande contributo dato da Ezra Pound, al quale l'opera e' interamente dedicata. Pound, "il miglior fabbro", il lettore ideale, colui che non ha bisogno di alcuna spiegazione per comprendere l'alto significato di ogni singola parola, proprio colui che esegui' la "cesarea Operazione", ridimensionando il poema cosi' come si presenta allo stato attuale.
Con la conversione all'anglicanesimo Eliot sembra aver trovato una soluzione ai demoni che tanto lo hanno influenzato, invitando l'uomo all'umilta', al distacco ed al raccoglimento.

Propugna un metodo critico-poetico intriso di intelletto e sentimento. L'esperienza delle due guerre lo tocco' profondamente: per questo motivo cerco' di elaborare e dominare il caos generato da questi avvenimenti con la composizione di articoli e saggi critici, in cui la sua ideologia risulta sempre piu' conservatrice. Ma e' con "Tradizione e talento individuale" che Eliot esprime coerentemente la sua vera ed essenziale poetica. Il classicismo di Eliot e' lontano dall'impassibilita' dei parnassiani e dall'astratto intellettualismo di Valery. Per il poeta cio' che conta e' il senso storico che egli deve avere di se' e del proprio tempo: " la tradizione non e' un patrimonio che si possa facilmente  ereditare; chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica. Essa esige che si abbia, anzitutto, un buon senso storico (...); avere senso storico significa essere consapevoli non solo che il passato e' passato, ma che e' anche presente." E dunque: " il presente, quando sia consapevolezza, e' consapevolezza del passato in un senso e in una misura mai raggiunta come consapevolezza di se'."

Classicismo e' dunque concepire il passato come premessa organica del presente. I temi del tempo e della salvezza ricorrono costantemente nelle opere del poeta: dall'incapacita' di agire all'essere successivamente coinvolto nelle trame del proprio essere. La meditazione sulla storia e sul rapporto del divino con essa rimarra' fondamentale in Eliot, fino a costituire nei "Quattro quartetti" la spiegazione finale della sua stessa poesia. La sua razionale scelta religiosa nasce dunque dalle ceneri dell'intelletto; il sentimento del tempo e' tale per Volonta' divina.


Dall'uso del correlativo oggettivo alle polemiche antiromantiche, dalla visione tradizionale ai rapporti con illustri maestri, dalle scelte radicali ai mutamenti poetici, Eliot e' e rimarra' culmine e principio della poesia moderna, fautore "dopotutto di un grande periodo letterario." (E. Pound)


sabato 31 maggio 2014

In un Mondo che Non Ci Vuole Più


La finale. O meglio l’atto finale. Perché sembra il copione di un film in cui ci si riduce ad esaminare la scena più importante. Ma non è una pellicola, bensì una partita di calcio. Due squadre in campo,due tifoserie sugli spalti. O vittoria o sconfitta. Il palcoscenico è Roma, la capitale. Napoli da una parte,Fiorentina dall’altra.

E in mezzo? La domanda che vale un milione di euro perché del risultato sportivo se ne è parlato veramente poco e con il passare del tempo questa edizione della Coppa Italia verrà ricordata per ben altri motivi. D’altronde si sa, il calcio in Italia è uno degli argomenti che attira di più e proprio per questo motivo in tanti si sentono giustificati a giudicare quello che anche ruota intorno al calcio e che con il pallone vero e proprio sembra non avere niente a che fare. O almeno così ci vogliono far credere alcuni personaggi.  Facile quindi sentire opinioni fuori luogo fatte da persone che neanche sanno di quello che parlano.
Succede tutto nelle vicinanze dello stadio Olimpico, in una via che cade proprio a ridosso dell’impianto. Ci sono tifosi napoletani,c’è una pistola e vengono colpiti tre tifosi di loro tra cui uno rimane molto grave e ancora oggi versa in condizioni critiche. Vogliamo riassumere così ciò che è successo fuori lo stadio perché non è il nostro compito fare nomi e riportare quello che ormai tutti hanno scritto. Ovviamente cosa è successo realmente lo possono sapere solo i diretti interessati e non ci piace dare l’ennesima versione.

Quello che ci da fastidio è sentir parlare subito di alleanze tra estremisti del tifo e della politica “ultradestra” perché è la via più facile per trovare il capro espiatorio. Un disegno già visto in passato anche in occasione del raid ai danni dei tifosi del Tottenham avvenuto a Campo de’ Fiori. Di esempi ce ne sarebbero molti,tutti che hanno pesato sulla giustizia italiana, allora come oggi. Quello che notiamo è che la giustizia,qualora ci sia,è lenta,la verità risulta distorta e di certezze non ce ne sono mai. Il disegno è sempre lo stesso.

Vogliamo però focalizzarci sul movimento ultras in generale e su come si sta rapportando con i tempi di oggi. Una volta scene come quelle viste all’interno dello stadio Olimpico in occasione della finale non si sarebbero mai viste. Era impensabile qualche anno fa avere dei dialoghi con chi non la pensava come te e che invece cercava di metterti i bastoni tra le ruote. Certo sicuramente c’era molta meno repressione e le diffide non erano ancora così pesanti. Quindi vedere un ultras parlare con le forze dell’ordine e con altri funzionari dell’ordine pubblico può fare uno strano effetto. Alla base c’è appunto il discorso su cosa è veramente l’ultras. Non c’è una definizione vera e propria. Possiamo dire però che l’ultras in se per se nasce nelle strade e assume quindi regole imposte dalla strada. Se partiamo da questa affermazione allora non possiamo certo rimanere scioccati se spuntano bastoni,coltelli e pistole,sarebbe da dire che la strada è come la giungla dove vince il più forte.  


 Quando però si arriva a situazioni un po’ più pesanti allora ci si sofferma un attimo. Ed ecco qui che entrano in gioco tutti i benpensanti che vorrebbero farci la morale quando invece sono i primi che dovrebbero farsi un bell’esame di coscienza. Ci fanno quindi sorridere le parole del ministro dell’interno Angelino Alfano che afferma che lo Stato non tratta con le curve quando invece l’11 aprile si è tenuto un dibattito sulla tessera del tifoso tra tifoserie e delegazioni parlamentari,tra cui m5s,pd,fratelli d’italia,radicali. Si è cercato di affrontare il problema del fallimento di questa benedetta tessera che ha spaccato in due il movimento ultras. Se infatti all’inizio vedeva compatte quasi tutte le tifoserie d’Italia nel giudicare anticostituzionale questa carta ora le tifoserie rimaste che ancora non l’hanno sottoscritta sono pochissime. Qui non vogliamo giudicare chi sceglie una strada rispetto all’altra però è pur vero che nonostante sia stato introdotto questo strumento,gli incidenti sono continuati ad esserci,forse in numero minore,ma poi quando arriviamo all’episodio della finale di coppa Italia allora possiamo affermare che questa tessera non è servita ad evitare altri incidenti.

Il dopo Raciti è stato un periodo di dura repressione e tante curve hanno pagato con diffide il loro troppo amore per la squadra. Ora siamo di nuovo qui a sentire di ennesimi inasprimenti contro i
violenti. Già il famoso articolo 9 della tessera del tifoso è micidiale,chiunque abbia ricevuto condanne da stadio non può più assistere a manifestazioni sportive. In pratica anche chi ha ricevuto condanne e scontato il suo “peccato” è inibito per sempre dall’entrare in un impianto sportivo. E anche una sentenza non definitiva rientra nei motivi ostativi che ti bloccano nel fare la tessera del tifoso. C’è poi il caso che una persona venga diffidata per un anno,ma trascorso il periodo di fermo, il processo può durare cinque anni e quindi per altri quattro anni il soggetto è comunque inibito. Questa purtroppo è la burocrazia italiana che rallenta ogni tipo di cosa. Stiamo parlando quindi di una diffida vita natural durante. Ecco perché abbiamo assistito a manifestazioni in tutta Italia contro la tessera del tifoso. Se non fosse per questo articolo 9 sicuramente il clima sarebbe un po’ più sereno visto che i biglietti nominativi già c’erano prima e naturalmente chi è sottoposto a daspo non poteva comunque entrare fino alla scadenza di questo.

Questa tessera ha svuotato gli stadi,ha diviso i tifosi e il calcio esiste perché ci sono i tifosi,senza tifosi il calcio muore. Ci piacerebbe mollare tutto e vedere come poi si divertono con il loro giocattolo,da soli. Ci stiamo provando con il calcio popolare,riscoprendo quei vecchi valori che ti portano a frequentare le gradinate e a fare sacrifici per la tua squadra. Ci state allontanando ma combatteremo,ripartiremo dal basso ma saremo sempre vivi. Siamo consapevoli di quello che facciamo e se sbagliamo siamo pronti a pagare. Ma il nostro amore non ha prezzo, e dunque…. Vi regaleremo il nostro disprezzo!

 

martedì 15 aprile 2014

Uscire dall'Euro: Vantaggi principali


Con le prossime elezioni Europee si riaffaccia un problema a lungo discusso negli ultimi anni, quello della moneta unica e del panorama che si andrebbe a definire a fronte di un’ipotetica uscita dall’Euro da parte dell’Italia. Riguardo questo dibattito sono stati compiuti moltissimi studi e ognuno ha messo in risalto aspetti diversi della questione. Su una cosa possiamo senza dubbio concordare: la maggior parte di queste analisi (effettuate da economisti, esperti del settore e perfino premi Nobel) vede il recesso dall’eurozona come la scelta ottimale per l’Italia.        

I vantaggi derivanti dall’uscita dal’euro sono svariati, noi ci limiteremo per ora ad esporre i due più interessanti:

1.      In primis c’è da considerare la riconquista della sovranità monetaria da parte dello Stato italiano, cosa che gli consentirebbe nuovamente la possibilità di spendere a deficit, eliminando l’ostacolo costituito dalla necessità di approvvigionarsi del denaro mediante l’imposizione di tasse o la vendita di titoli di Stato sui mercati.
Oggi infatti, essendo utilizzatori di valuta ma non potendola emettere, per ogni centesimo che spendiamo dobbiamo necessariamente contrarre prestiti e i tassi d’interesse sono ovviamente sempre a nostro svantaggio.                                                          

 A questo punto è utile chiarire cosa sia la spesa a deficit: fare un deficit significa spendere più di quanto si incassa, teniamo presente poi che ad ogni deficit corrisponde sempre un surplus; vale a dire che se ad un conto corrente vengono sottratti dei soldi ad un altro conto corrente la stessa quantità di soldi viene invece accreditata. In altre parole possiamo dire che con questo processo è stato generato del lavoro; i soldi infatti vengono utilizzati per scambiare beni e servizi tra le persone, quindi un certo movimento di soldi corrisponde ad una certa quantità di lavoro.

Tutto questo per dire che la spesa a deficit non deve essere vista come un fattore negativo se lo relazioniamo ad uno Stato;  lo Stato di per sé infatti ha, teoricamente, un potere di spesa illimitato. Di fatto però l’Italia dell’euro non ha potere di spesa illimitato, noi non possiamo emettere moneta appartenendo all’eurozona ma possiamo solo farcela prestare andando ad accrescere i nostri già gravosi debiti.  Quindi per far fronte a questa situazione tanto drammatica quanto paradossale, non c’è altro modo che riottenere il controllo dell’emissione della valuta e quindi della possibilità di spendere a deficit ed eliminare buona parte della disoccupazione.

 

2.      In secondo luogo va considerata una probabile quanto realistica ripresa della produzione industriale per il nostro paese.  Secondo analisi approfondite è apparso chiaro come negli ultimi 20 anni l’Euro ha causato un trasferimento massiccio di produzione industriale da tutti i paesi periferici verso la Germania. Rimanere nel sistema dell’eurozona significherebbe continuare su questa scia, ed osservare impotenti la crescita della Germania a nostro discapito. Sciogliersi dal sistema dell’euro vorrebbe dire in parole povere subire molto meno l’influenza del gigante tedesco e potersi concentrare su una vera e non fittizia ripresa delle nostre industrie.

 

Ci siamo limitati ad illustrare quelli che sarebbero i vantaggi principali per non cadere in una noiosa arringa di un’ipotetica uscita dall’euro. Già questi da soli, infatti, a nostro parere, basterebbero a giustificare l’abbandono della moneta unica in nome di una ripresa (industriale e occupazionale) assolutamente necessaria per un Italia da troppo tempo sfruttata e lasciata ai margini della crescita europea e mondiale.

Essere contro l’Euro e contro i suoi istituti di credito privati non significa essere antieuropeisti. La nostra visione dell’Europa ci impone di difendere la sovranità politica ed economica delle nazioni per una cooperazione tra paesi più forte e più libera dagli interessi delle lobby private e internazionali.

Ci possono anche essere svantaggi per un’ipotetica uscita dall’Euro, come per esempio l’isolamento politico e magari energetico a cui possiamo andare incontro, ma questo è il prezzo che dovremo pagare per ridare lavoro e speranze ai giovani italiani. Con due mila miliardi di debito pubblico e con il Fiscal Compact sulle spalle, provano a gettarci fumo negli occhi promettendoci ottanta euro in più a fine mese. Non cascateci italiani,  il sistema sta per implodere. 



mercoledì 2 aprile 2014

Marine Le Pen: Regina d’Europa


Già nel nostro articolo di Aprile 2012 evidenziammo i grandi risultati elettorali del Front National alle elezioni nazionali (che proclamarono presidente della Repubblica francese il “socialista” Hollande) poiché raggiunse il massimo storico del 17,8%. Sottolineammo anche come nonostante il pessimo sistema elettorale francese, con un ballottaggio al secondo turno messo a punto per punire i partiti non conformi al liberismo, i suo voti crescevano di tornata elettorale in tornata elettorale. Già nel 2002, il Front National fu sconfitto solo de Chirac in quanto i partiti di dentro destra e centro sinistra, nella fase finale del ballottaggio, fecero confluire i loro voti sul presidente uscente per non far eleggere il nazionalista Jean Marie Pen (padre della odierna leader del “Front National”, Marine Le Pen).

Dunque non si siamo rimasti certo stupiti quando pochi giorni fa il Front National di Marine le Pen ha conquistato ben tredici comuni stracciando il vecchio record di quattro comuni conquistati nel 1995 e nel 1997, nonostante il partito nazionalista francese fosse candidato in soli 600 comuni su oltre 3.600 totali.

Punti cardine del programma di Le Pen sono l’uscita dall’Euro e dall’Unione Europea tramite referendum nazionali consultivi e abrogativi e ritorno alla sovranità monetaria, politica interna di protezionismo del’industria pubblica francese che negli ultimi decenni ha subito un processo graduale di smantellamento, cancellazione degli accordi di Schengen per diminuire l’aberrante flusso immigratorio che sta contaminando la Francia, la priorità e la superiorità delle norme interne su quelle internazionali, freno totale ai piani di privatizzazioni delle aziende francesi.
Grazie a questi punti programmatici radicali il Front National si colloca nelle proiezioni elettorali come il primo partito nazionale sfiorando di poco il 20%. Ben più indietro si collocano “UMP” ( il centro Destra) al 17%   e “PS” (il centro sinistra) al 15%. Senza considerare il fatto che tra i giovani dai 18 ai 25 anni, Le Pen è il leader politico più apprezzato e votato.

In questo scenario di assoluto ottimismo, con previsioni solari per noi contrari a questa Unione Europea comandata da lobby finanziarie e banche spietate,  l’unica nota negativa, paradossalmente viene sempre e comunque dai media e dalla politica italiana, perché come al solito, non hanno perso l’occasione per accendere il cervello e chiudere la bocca. I primi, sempre pronti a etichettare i movimenti antiliberali come razzisti, xenofobi, omofobi e chi più ne ha più ne metta per servire il padrone che li paga. I secondi sempre pronti a strumentalizzare le vittorie altrui per gettarsi sul carro dei vincitori. Addirittura partiti che propugnano la frantumazione dell’unità statale hanno provato a chiedere strane alleanze in chiave antieuropea ai nazionalisti francesi. Oppure partiti che fino a ieri sedevano al tavolo delle grandi coalizioni liberal-democratiche italiane, complici di governi illegittimi e filo europeisti, oggi improvvisamente, a due mesi dalle elezioni per il Parlamento Europeo, hanno trovato nella battaglia contro l’euro un valido motivo per racimolare qualche voto in più e per chiedere anomale alleanze con i patrioti transalpini.

Insomma, mentre Marine Le Pen sta per essere incoronata regina d’Europa, loro non perdono occasione di dimostrarsi degli umili servitori.

Ad Maiora Marine!

venerdì 21 marzo 2014

Ci hanno mandato Renzi: siamo solo all'inizio....

Chi far dei fatti vuole, deve far poche parole.

Sono ormai trascorsi diversi mesi da quando Matteo Renzi, sbandierando ai quattro venti inutili proclami e rendendosi protagonista di discutibili sceneggiate, ha scalzato un suo uomo di partito servendosi della Presidenza della Repubblica per ricoprire direttamente il ruolo di Presidente del Consiglio. Ma d’altronde, se è vero che l’abitudine è dura a morire, l’elezione di Renzi non fa altro che confermare ciò che da anni la politica italiana continua imperterrita a dimostrare. Prova lampante di tutto ciò è l’incostituzionalità che getta le basi del nuovo governo, il terzo di fila, per essere precisi. Un governo illegittimo, nato senza alcun mandato popolare, nessuna sfiducia in parlamento, testimonianza soltanto del solito gioco controverso attuato dalle segreterie di partito, ornato di mero bizantinismo.
 

Come possono queste premesse, contraddette dalle stesse parole del Presidente del Consiglio, che mai avrebbe accettato di ricoprire questo ruolo senza prima esser stato eletto dal popolo, indurre a credere che questo governo possa essere un reale punto di svolta non solo per la crisi economica ma anche e soprattutto per la crisi istituzionale, oramai endemica nel nostro paese? Renzi è stato solamente l’uomo giusto al momento giusto; ancora una volta, come è possibile pretendere una politica di rottura se è lo stesso Presidente a non incarnare la vera e propria sovranità nazionale?

Aspettarsi da Renzi una rivoluzione democratica passante per quale tipo di riforma è un pensiero alquanto vano. Se di adeguamento vogliamo parlare, certo è che Renzi si è inserito perfettamente all’interno del contesto politico grazie al suo carisma mediatico, sul quale hanno puntato tutti quei poteri forti nazionali e sovranazionali che continuano a decidere effettivamente l’andamento, e di conseguenza, le personalità di spicco, disinteressandosi invece dei problemi che affliggono il nostro paese, forse perché troppo occupati a gestire i loro conflitti interni, proponendo perciò false soluzioni per le oggettive e primarie difficoltà da risolvere, quali la svendita dei beni nazionali, del mercato del lavoro e dei legittimi interessi italiani all’estero.
Renzi non fa altro che ribadire ciò che più volte è stato già espresso dai suoi predecessori: tante promesse prive di qualsiasi fondamento. Un uomo che nei fatti ha contraddetto tutto ciò che aveva annunciato.

Simbolo inconfutabile dei primi fallimenti governativi è la tanto discussa legge elettorale “Italicum”, nata dalla collaborazione con Berlusconi, elogiata dai media nazionali come definitivo accordo politico per il bene futuro, approvata pochi giorni fa alla Camera e specificatamente indirizzata ad essa, si è rivelata un ennesimo fallimento a vantaggio solo della casta dei partiti liberali. Una nuova legge elettorale priva di qualsiasi principio di unità nazionale. Senza dimenticare poi l’aumento delle aliquote della Tasi (la tassa comunale) avvenuto dopo poche ore dall’insediamento a Palazzo Chigi. Eppure aveva promesso il taglio drastico delle tasse.
Inutili quindi fidarci delle promesse di un personaggio simile su tagli al cuneo fiscale, spesa pubblica, riforma del lavoro. Non prenda in giro gli italiani sulla vendita delle “auto blu” e sulla tassazione delle rendite finanziarie. Questo personaggio ci spieghi come otterrà il pareggio di bilancio che l’Unione Europea impone e dove troverà i soldi per il Fiscal Compact votato dal suo partito e in vigore dal 2015. Non sarà costretto, forse, a vendere definitivamente le ultime quote dei “gioielli di Stato”, da Finmeccanica all’Eni, passando per l’Enel?

Avremmo bisogno di un primo ministro, l’Europa e Napolitano ci hanno mandato Renzi: siamo solo all’inizio…

martedì 25 febbraio 2014

Primo Carnera,il gigante buono che prese a pugni il mondo



Roccia ai piedi delle rocce generato, che andò a prendere a pugni il mondo, e poi fra le sue rocce è ritornato”

Il nome di Primo Carnera è legato in maniera inscindibile alla storia dell’Italia di Mussolini.Con lui nasce il mito dell’uomo più forte del mondo,dell’eroe che porta in alto il tricolore al di fuori dei confini nazionali.
L’inizio della sua storia non è certamente dei migliori ed è pieno di difficoltà;nato nel 1906 da una famiglia molto povera a Sequals, un paesino distante appena 40 chilometri da Udine, il suo percorso verso la gloria eterna partì da lontano. Con il padre chiamato alle armi per combattere la prima guerra mondiale, fu costretto a lasciare gli studi in quarta elementare ed,insieme ai suoi fratelli,a  mendicare. Emigra in Francia,dagli zii,dove viene assunto in un circo per fare “l’uomo forzuto” e dove girerà per tre anni le fiere di paese. Alto 205 centimetri per 125 chilogrammi di peso (solo alla nascita ne pesava otto!), ha i piedi tanto lunghi da calzare il numero 52,misura rara per l’epoca che lo costringe spesso a girare scalzo. Durante uno spettacolo viene notato da Paul Journèe,ex campione dei pesi massimi,che vede in quella montagna di muscoli le potenzialità del campione e si propose per allenarlo ed introdurlo nel mondo della “noble art”. Il debutto tra i professionisti è micidiale: vince a Parigi nel settembre del ’28 e vince i sei incontri successivi.
Attratto dal sogno americano si trasferisce nel ’30 negli U.S.A. dove la mafia,su consiglio del suo manager,fiuta l’affare ed investe su di lui. A novembre del 1930 sfida Paulino Uzcudun,ex campione europeo, in un match molto difficile dove subisce anche lo scetticismo della stampa italiana, poco preparata a quello che sta per accadere; ad aggravare una non facile situazione ci si mette il fatto che gli organizzatori dell’incontro lo costringono ad indossare dei guanti molto più piccoli di quelli in uso nei normali match di boxe. Inizialmente Carnera fu propenso a non accettare quella che riteneva un’ingiustizia ma poi il pensiero di deludere i circa 80 mila spettatori paganti lo fece tornare sui suoi passi e decise di combattere. L’incontro fu molto duro,con lo spagnolo sempre in vantaggio e l’Italiano che resistette e riuscì a vincere ai punti. Tutto d’un tratto le dichiarazioni dei giornalisti italiani cambiarono: l’Italia, ma anche il mondo intero, si erano accorti di Primo Carnera. Chiude il 1930 con uno score da urlo: 25 vittorie ed una sola sconfitta!Nel ’33 vince contro Ernie Schaaf provocandogli un’emorragia cerebrale che si rivelerà fatale e lo farà morire 4 giorni dopo il match per la potenza dei pugni ricevuti; pensa al ritiro per il rimorso dell’accaduto,ma gli amici ed il manager lo convincono ad andare avanti.


Il 29 giugno del 1933 al Madison Square Garden di New York affronta Jack Sharkey per il titolo mondiale e vince alla sesta ripresa per knockout diventando il primo Italiano nella storia ad essere campione del mondo dei pesi massimi! La notizia della sua vittoria e l’immagine del pugno del ko fanno il giro del pianeta,il tutto amplificato dal fatto di aver battuto il detentore del titolo in casa sua. Vedere il Tricolore issato sui palchi americani e l’Inno Nazionale suonato all’estero in segno di trionfo fu un risarcimento morale e sentimentale per gli emigranti italiani che vedevano in lui e nelle sue imprese il proprio riscatto,un riscatto che l’Italia trovò con Carnera in una triplice direzione: motivo d’orgoglio per gli emigranti,rivalsa del “paesano” contro i giganti americani ed infine il riscatto della provincia contadina rispetto alla metropoli.
Mussolini stravede questo personaggio che sembra fatto su misura per un regime che esalta la virtù dello sport e che fà del culto del corpo,della forza esuberante e del tratto antiborghese le proprie fondamenta e si complimenta con lui via telegramma dopo l’impresa;Carnera risponde letteralmente “Il mio primo pensiero dopo la vittoria è stato per la mia patria,l’Italia e per il Duce “. S’impone per difendere il titolo mondiale in Italia,pur dovendo chiedere aiuto alla mafia perché sotto contratto con il Madison Square Garden,e ci riesce. Il 22 ottobre del ’33 sfida nuovamente,a Roma,Uzcudun davanti a 70 mila persone. L’evento è imponente,per l’occasione vengono aboliti i biglietti omaggio e lo stesso Mussolini fu costretto a comprarli. Carnera sente su di se la responsabilità,sa che i suoi pugni sono le armi di un paese e sa di avere nel suo angolo l’intera Nazione. Rifiuta il compenso per una questione di rispetto e combatte indossando la Camicia Nera! Vince ai punti mandando in estasi un  popolo intero,orgoglioso del suo “maciste” divenuto ormai il simbolo dell’Italia Fascista,un lottatore dotato di una tecnica non eccelsa ma con un pugno d’acciaio,un gigante buono che racchiude gli altri,tutti gli altri,che finalmente si sentono uniti dietro lo sguardo fiero di un combattente,un campione di razza italica.


Si affaccia dal balcone di piazza Venezia con la divisa della Milizia Fascista e diventa il modello ideale di Italiano. La sua immagine viene usata per fumetti,manifesti ed articoli di giornale che narrano delle sue imprese. Perde il titolo nel ’34 contro Max Baer,quando accetta di salire sul ring nonostante l’arresto,avvenuto il giorno stesso,del suo manager. Il referto medico alla fine dell’incontro pare quasi un’autopsia:  caviglia lussata,mano fratturata,due costole incrinate ed occhio semichiuso. Va al tappeto 11 volte ma si rialza sempre! Solo l’interruzione da parte dell’arbitro fa chiudere il match: è un gigante anche con il cuore che ha vissuto la propria vita e la propria carriera sportiva recitando alla perfezione il motto “lottare sempre,arrendersi mai!”.Fu vietato mostrare le sue immagini al tappeto. L’Italia di Mussolini entrò in quel corpo,lo invase e lo requisì. Carnera smise di appartenersi prestando tutto se stesso alla Nazione,un destino che capita solo ai campioni più puri. Un personaggio che ha incarnato alla perfezione il mito e l’ambizione del fascismo, nato con l’obiettivo, riuscito pienamente,di una Grande Italia ed il relativo disprezzo dell’italietta giolittiana neutralista precedente. Di quel sogno D’annunzio fu il vate, Mussolini il duce e Carnera il testimonial muscolare,un uomo che scelse di caricarsi sulle proprie spalle l’onere e l’onore di portare la propria Patria in cima al mondo.

Onore a Primo Carnera, campione del mondo in Camicia Nera!
“I pugni si danno,i pugni si prendono. Questa è la boxe,questa è la vita. E io nella vita ne ho presi tanti di pugni,veramente tanti. Ma lo rifarei,perché tutti i pugni che ho preso sono serviti a far studiare i miei figli “

martedì 11 febbraio 2014

Mal Di Trasferta: L'Italia perde ancora



Sono passati due anni ormai da quando i due militari italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono stati accusati dell’uccisione di due pescatori indiani in acque internazionali durante un operazione antipirateria.  Due anni di carcere ingiustificato, di accuse ridicole e di libertà totalmente privata. Ma soprattutto due anni di solitudine: l’Italia, infatti, si è dimostrata ancora una volta debole dal punto di vista diplomatico, poiché non è riuscita a riportare i nostri soldati in patria se non per un piccolo permesso di due settimane concesso dall’India. Una situazione che ha fatto emergere la poca sovranità del nostro paese.  Ma non è l’unico caso.

Giovedi 28 novembre 2013, si gioca la partita Legia Varsavia-Lazio, gara (inutile ai fini del risultato) di Europa League. Subito, però, Nel pre partita vengono fermati circa 150 tifosi biancocelesti. Il tutto a scopo preventivo perché di disordini veri e propri non ce ne sono stati. Forse qualche lancio di bottiglia contro una camionetta ad opera di una decina di tifosi ma nulla di più,niente auto incendiate,niente vetrine rotte, niente poliziotti contusi,nessun contatto tra opposte tifoserie: niente di niente. In effetti non si parla di arresti ma solo di fermi per identificazione. Ma per quale motivo? I laziali fermati vengono presi a caso,si pesca nel mucchio,come spesso succede non si fa distinzione tra uomini,donne e bambini. Vengono smistati nelle varie caserme della capitale polacca ed alcuni addirittura vengono portati in distretti distanti parecchi chilometri da Varsavia. Giusto il tempo di prendere i documenti per poi essere rilasciati e ricondotti allo stadio,qualcuno avrebbe pensato. Quelle persone lo stadio non lo vedranno mai. Ma facciamo un passo indietro,al giorno precedente la partita, quando un gruppo di circa 20 laziali si reca nella capitale polacca e viene a contatto con un altro gruppo di tifosi del Legia che li aveva nel frattempo intercettati. Morale della favola: laziali fermati,identificati e processati con l’obbligo di lasciare la Polonia e non farvi più ritorno.
Mettiamoci anche che nei giorni precedenti la stampa italiana in particolare aveva sottolineato il fatto che le due tifoserie fossero legate da orientamenti politici simili e che per di più entrambi i club avevano ricevuto una squalifica dall’Uefa per cori razzisti. Mettiamoci tutto, ma come ha reagito il nostro paese di fronte a questa notizia? Semplicemente non ha reagito! E la prova più eclatante è che esattamente due mesi dopo quella maledetta partita gli ultimi due tifosi laziali hanno lasciato il carcere di Bialoleka,scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare. E ritornando a quel maledetto 28 novembre, alcuni tra i fermati sono ritornati a casa solo un paio di giorni dopo, altri dopo una settimana ma una parte di loro addirittura si è fatta settimane di carcere tra udienze, iter burocratici insensati e istanze di scarcerazione respinte. Famiglie che non avevano notizie dei loro figli e istituzioni italiane assenti. Questo era il quadro per una partita di calcio. Il bello è che tutto questo è avvenuto in un paese dell’Unione europea.
Solo dopo qualche giorno il capo del governo, Enrico Letta, si è recato personalmente a Varsavia per cercare di trovare una soluzione a quello che era successo. Il primo ministro polacco Tunsk aveva promesso all’Italia che sarebbe stato massimo l’impegno delle autorità polacche nell’accelerare le procedure, nonostante il ministro degli interni Sinklewicz abbia definito “banditi” i tifosi della lazio.
Ridicoli poi sono i reati imputati:  si va dal disturbo della quiete pubblica (“schiamazzi” per la precisione”) fino alla resistenza a pubblico ufficiale. Tutto inventato, chiaramente.  Inoltre L’Italia non è riuscita nemmeno a far concedere la residenza a Varsavia per evitare la scarcerazione. In poche parole quei tifosi, anzi quei cittadini italiani sono stati completamente abbandonati a se stessi e solo la vicinanza dei propri familiari,degli amici e di tutti quelli che hanno a cuore i propri cittadini ha reso la distanza tra Roma e Varsavia più breve.

Va ricordato, tra l’atro, che prima della gara di andata a Roma, abbiamo assistito a scene di saccheggio, e tentati scontri con la polizia. Ma alla fine nessuno ha pagato. In poche parole qui a casa nostra hanno fatto il bello e il cattivo tempo senza essere puniti e li è successo invece tutto il contrario. I tifosi laziali sono stati perfino costretti a firmato documenti scritti interamente in lingua polacca e senza un interprete nei quali c’era scritto che venivano accusati di cose mai fatte, chiedendo un patteggiamento e pagando delle multe senza un valido motivo.

Quello che ci rende felici è che finalmente questa vicenda sia finita. Tutti i ragazzi sono tornati a casa. Ma ripetiamo,la cosa che invece ci rende più amareggiati è stata l’assenza del nostro paese, l’incapacità di difendere i propri cittadini perfino in paesi giuridicamente arretrati.
Ieri i Marò, oggi i Laziali. Da domani, si salvi chi può.