martedì 19 aprile 2016

DI ”FENDI” AMO L’ITALIA

Essere Italiani significa anche essere orgogliosi del proprio patrimonio culturale, artistico, storico. Significa esaltare i propri monumenti, testimoni diretti di civiltà e storia. Significa preservare l'identità di ciò che “risiede” sul suolo italiano. Ogni pietra presente sulle nostre strade è parte integrante della nostra Nazione. Ognuno di noi deve essere consapevole che quel particolare monumento è stato eretto con il sacrificio di molti concittadini. Ecco quindi che chiunque non abbia a cuore le proprie cose,per noi viene considerato un traditore della Patria perché implicitamente non ha rispetto di tutto il popolo italiano. Chi svende tutto o parte del patrimonio italiano per noi sarà sempre un nemico. Ma in questo caos cosmico, c’è ancora chi ha a cuore la propria identità nazionale e che farebbe di tutto per difenderla.  Ci piange il cuore, dunque, vedere quello che è successo a un monumento come il Palazzo della Civiltà Italiana,conosciuto anche come colosseo quadrato, ormai divenuto dimora del marchio "Fendi".



L'edificio è al 90% gestito dal ministero dell'economia e delle finanze e al 10% dal Comune di Roma. Un’operazione che ha visto la società “Eur spa” affittare il maestoso edificio al famoso marchio della moda LVMH proprietario del marchio Fendi.  Dettagli dell’operazione: quindici anni di affitto a due milioni e  ottocentomila euro l’anno. E alla festa inaugurale di riapertura ben duecentocinquanta invitati, principalmente dell'alta moda, ministri e imprenditori,hanno potuto "sfruttare" quella meraviglia. Al terzo piano hanno costruito gli uffici solo con lastre di cristallo. Secondo il marchio "Fendi" ciò rende trasparente le loro attività in modo che possano essere ben visibili all'esterno. Noi diciamo che di chiaro in tutto ciò c'è solo il fatto di aver perso  qualcosa di molto importante per noi. Oltre alla perdita dell'edificio in sè c'è anche la perdita della dignità.

La splendida opera di epoca fascista fu realizzata nel quartiere Eur di Roma per l’esposizione universale del 1942. Dotato di una facciata con cinquantaquattro archi,ha una forma quadrata e razionale,espressione dello stile ineguagliabile di quel tempo. Mix di cemento armato e travertino in esterno e marmo all'interno. Superficie di circa ottomila mq, al piano terra ci sono ben ventotto statue che rappresentano talenti e mestieri italiani.

L'aver concesso a Fendi di impadronirsi del monumento (seppur in affitto) è come aver contribuito ad accelerare il processo di svendita culturale e identitaria, ormai comunque in corso da decenni. Ma non basta: in questo caso assistiamo anche ad una deturpazione dell’edificio stesso. Non contenti di aver preso possesso di qualcosa che non gli appartiene culturalmente e storicamente ,la "Maison Fendi" ha deciso anche di compiere opere di dubbia bellezza sul tetto dell’edificio, aggiungendo un piano in più per il Colosseo Quadrato . E c'è chi ha parlato di settantadue anni di abbandono di questa struttura e che grazie a "Fendi" ha ritrovato una nuova vita. Roba da pazzi!  Guadagnare con le nostre bellezze artistiche non è certo il miglior biglietto da visita. Da proprietà della nazione a proprietà privata, ecco il fantastico risultato di questo mondo perfetto! Tutto ciò comunque è avvenuto nel silenzio mediatico più assoluto.


Ma qualche mese fa, il gruppo militante Sempre Domani ha voluto manifestare il proprio dissenso contro questa oscenità. Manifesti con scritto "scempio in corso" sono comparsi nelle vicinanze del monumento. Di notevole impatto lo striscione "giù le mani dalla civiltà",a sottolineare che niente e nessuno deve avere il diritto di appropriarsi di qualcosa che non è suo, nè di nessuno... Ma di tutti! Insomma, finalmente qualcuno che ha fatto sentire una voce fuori dal coro del pensiero unico, atto a favorire sempre le solite lobby economiche, sfruttatrici ora anche dell'identità e della cultura italiana. 



Speriamo solo che "Fendi" e chi le ha permesso di affittare il monumento, non si accorgano delle incisioni sul Colosseo Quadrato “Un popolo di poeti,di artisti,di eroi,di santi,di pensatori,di scienziati,di navigatori,di trasmigratori”. Venisse loro in mente di modificare pure questo...

giovedì 14 aprile 2016

Susi Fantino, cronache di una presidenza a senso unico


L’attuale VII municipio(ex IX e X) ha conosciuto senza ombra di dubbio un ottimo presidente, più volte riconfermato in carica, ovvero Susi Fantino. Ottimo si, ma a senso unico. Infatti la maggior parte delle iniziative che hanno visto impegnata la presidente di questo municipio riguardano soltanto una certa area politica, e tutelano molto spesso gli interessi di determinate associazioni o centri sociali.

 Per chi come noi, abita all’interno di questo municipio, ma non appartiene all’endorsement politico di centro sinistra la presidenza Fantino è una vera e propria presidenza fantasma. Tanto più da quando si è scelleratamente deciso di incorporare gli ex IX e X municipio nell’attuale VII, che arriva a contare circa 300'000 ed un’estensione che va da San Giovanni a Morena, le istituzioni locali risultano sempre più assenti nel territorio. 

Numerose sono state le iniziative che hanno visto protagonista la presidente in persona: ha presenziato alla collocazione di monumenti per i partigiani a via Gallia o per ricordare il rastrellamento al Quadraro, ma anche l’archeo pedalata al Parco degli Acquedotti. Tutto bello se non fosse che per quanto riguarda i disservizi sociali e sanitari, i disagi legati al campo nomade della Barbuta o dell’ex cartiera di Via Assisi, la situazione sicurezza a Morena, l’annosa questione riguardo il Teatro di Villa Lazzaroni e della struttura polivalente di Arco di Travertino, il degrado di Villa Fiorelli, sono stati i cittadini stessi ad organizzarsi ed a volte risolvere questi problemi o quanto meno farli presente al municipio. 

A troppi di questi problemi le istituzioni hanno risposto con sole “segnalazioni”, o hanno scaricato il problema in mancanze di piani alternativi(vedi la Barbuta) o addirittura alzando un muro di gomma senza rendere conto del loro operato ai cittadini(vedi Morena). Insomma un quadro non proprio positivo, ma in tutto ciò non è mancata da parte della Fantino la difesa a spada tratta dei centri sociali di zona. Prima con il Corto Circuito(già nel 2014 la presidente esultava di aver restituito l’acqua alla struttura), poi con lo Scup. Nel secondo caso i comitati di quartiere che si battevano per la riqualifica di Villa Fiorelli hanno manifestato il loro dissenso per la scarsa attenzione che la presidente poneva alle loro istanze per una questione che a detta loro, e giustamente, ne richiedeva almeno la stessa dello sgombero del centro sociale In aggiunta a ciò, non vi è nemmeno un contesto politico saldo a nostro avviso perché questa presidenza possa risolvere tali problematiche in un’eventuale riconferma. Infatti negli scorsi anni la Fantino si è fortemente scontrata con una
corrente interna del suo partito arrivando a criticare fortemente le scelte di Renzi e Zingaretti nella Capitale, parlando addirittura di “politiche che consegneranno Roma al centro destra o ai grillini”.

Come nel caso del Movimento 5 Stelle quindi non vi è una linea politica chiara e forte in grado di contrapporsi al malaffare che a Roma è parte integrante dei partiti politici che hanno governato questa città.

martedì 12 aprile 2016

I punti principali del programma di CasaPound Italia per il VII Municipio


Proprio nel giorno della Festa della Donna, l'8 Marzo 2016,  che Rebecca Mogliani ha deciso di lanciare la propria candidatura alla presidenza del VII Municipio per la lista di CasaPound Italia.  Se nel precedente articolo abbiamo intervistato e conosciuto in maniera approfondita la giovane candidata, in questo analizzeremo il programma elettorale stilato dalla suddetta lista, per il VII Municipio. 
 
Molte sono le problematiche politiche e sociali che da tempo affliggono il territorio: a queste la lista di CasaPound Italia controbatte proponendo iniziative, battaglie, risoluzioni dirette e concrete. Tra i punti salienti del programma si pretende non solo l'immediata chiusura del campo rom a La Barbuta e di tutti gli insediamenti abusivi, ma anche la demolizione di baraccopoli ed edifici fatiscenti come ad esempio l'ex Cartiera di Via Assisi, tematica che da anni viene portata avanti personalmente anche dalla stessa Mogliani; si esige la massima priorità per i cittadini italiani per quanto riguarda graduatorie, assegnazioni, bonus, maternità ed infanzia; si propone un contrasto attivo nei confronti del "caro nido", lo sviluppo ed il monitoraggio costante di edifici scolastici e la riappropriazione del controllo sulle strutture comunali, quali piscine, campi sportivi e teatri (come non citare il Campo Roma o il teatro di Villa Lazzaroni), lasciati alle associazioni assegnatarie senza alcun controllo. 
 
Nell'ambito del trasporto pubblico, oltre la proposta di una maggiore manutenzione del manto stradale, viene sottolineata l'importanza di un potenziamento delle linee urbane e la necessità di nuove aree sosta per taxi. 
 
Contro l'abusivismo si incoraggia la creazione di una confederazione di commercianti ed artigiani, dedicata interamente al turismo incoming; il recupero della struttura ad Arco di Travertino per ospitare o la Fiera del Libro Scolastico di Colli Albani o la trasformazione in un Centro della Salute polivalente. 
 
 
Per contrastare attivamente il degrado ambientale si richiede non solo la riqualificazione di tutte quelle specifiche aree verdi abbandonate ormai a loro stesse, non solo l'incremento di illuminazione pubblica e la bonifica del fiume Almone, ma in particolar modo la gestione ed il controllo di parchi e ville storiche da parte di uno specifico ente municipale, che possa coordinare in questo modo anche le attività di associazioni e comitati.
 
Questo e molto altro ancora è ciò che viene proposto per un'amministrazione seria ed efficiente del VII Municipio. Questo e molto altro ancora sarà possibile ascoltare direttamente da Rebecca Mogliani e dal candidato Sindaco Simone Di Stefano domenica 17 aprile dalle ore 10:30 presso il teatri Lo Spazio, in Via Locri 42 (Via Sannio). Esserci è altamente consigliato!

domenica 3 aprile 2016

Intervista a Rebecca Mogliani, candidata presidente al VII Municipio di Roma per CasaPound Italia

In questo bimestre analizzeremo le problematiche sociali e politiche del VII Municipio di Roma, la sua gestione istituzionale nel corso degli ultimi anni, la presenza di associazioni territoriali attive all'interno di esso. Abbiamo, dunque, recentemente contattato Rebecca Mogliani, giovane candidata di CasaPound Italia per la presidenza del VII Municipio di Roma, ma anche militante del comitato di quartiere Appio-Tuscolano, uno dei più attivi nel territorio, per farle alcune domande riguardo i punti del loro programma, le battaglie intraprese in questi anni e gli obiettivi nel prossimo futuro. La ringraziamo fin da subito per la disponibilità a rilasciarci l'intervista.

- Ciao Rebecca, cominciamo subito con una breve presentazione della tua persona: dove vivi, quali sono i tuoi titoli di studio, quando hai iniziato a fare politica e perche?

Sono nata e cresciuta nelle Marche e a diciotto anni mi sono trasferita a Roma per studiare Scienze Politiche con la speranza di poter cambiare le cose davvero. La politica è sempre stata una mia passione, tant' è che la prima sezione che ho frequentato è stata all' età di sedici anni nelle file di Alleanza Nazionale. Lo slancio per trasformare la mia passione in azione fu proprio un discorso di Giorgia Meloni (Io non rinnego il mio passato a differenza sua) che, sotto campagna elettorale, fece una cena nel mio paese e mio padre mi portò con lui. Grazie al mio responsabile ho così allacciato i rapporti con i ragazzi romani di Azione Universitaria ma, dopo soli 3 mesi e dopo essere stata eletta al consiglio di facoltà di scienze politiche, ho capito che la mia strada non poteva coincidere con la loro: troppe parole, troppi compromessi. Ho abbandonato così questo gruppo di piccoli politicanti e con i "fuoriusciti-non allineati" da Azione Universitaria e Azione Giovani abbiamo deciso di fondare il nostro nido di rivoluzione: SEMPRE DOMANI ROMA, l' unico movimento per cui darei la mia vita. Tutto ha avuto più senso quando nel 2013 abbiamo dato un tetto ai nostri sogni occupando lo SPAZIO LIBERO TENAGLIA: la nostra casa, il nostro laboratorio.


- Perche hai scelto di entrare a dare parte dello Spazio Libero Tenaglia e perchè candidata nella lista di CasaPound Italia?


Il Tenaglia per me è come un figlio da accudire, crescere ed educare affinché le nuove generazioni possano custodire dentro di essi quella fiamma che alimenta la loro anima così da poter trasformare il rancore e la rabbia che la fanno da padrona in questa società, in qualcosa di positivo per la Polis. I ragazzi di oggi sono abbandonati a se stessi e se neache noi ci sentiamo addosso la responsabilità di doverli svegliare da questo mondo pieno di ipocrisia, il nostro ruolo sociale rimarrebbe incompiuto. Dietro al nome "Tenaglia" si cela una famiglia di Uomini e Donne che, lasciando il proprio ego da una parte, quotidianamente affrontano a testa alta tutti i problemi che dovrebbero invece risolvere i nostri politici stipendiati dalle nostre tasse. Noi lo facciamo volontariamente, solo perché è giusto, e perchè bisogna farlo. Noi dobbiamo difendere le categorie italiane più deboli, coloro che si trovano in difficoltà, chi è stato lasciato indietro, perché ormai in questa società venduta e corrotta, sembra che essere Italiano non è più un onore ma solo un onere.

Riguardo, invece, la mia scelta di candidarmi alla presidenza del VII municipio con Casapound va spiegato innanzitutto perché è l'unico movimento in Italia che da quindici anni fa politica per strada, tra la gente e si schiera in prima linea a fianco degli italiani senza mai chiedere nulla in cambio e poi perché avere un ruolo istituzionale oggi è importante per cambiare le cose.
È importante perché si ha un peso politico, è importante perché la mia parola avrebbe più valore, è importante perché quando una famiglia italiana viene sgomberata, l' unica alternativa per noi non resta solo la resistenza fisica affinché questo non avvenga ma, con un ruolo istituzionale, avremmo la possibilità di prevenire il problema rivedendo a monte il sistema delle graduatorie per le case popolari in base a chi le merita e non a chi ti fa guadagnare di più


- Quali sono state le vostre principali bataglie nel VII Municipio portate avanti in questi anni?


Durante questi anni, come Tenaglia, ci siamo tolti tante soddisfazioni, dalle più piccole quali aver coperto una buca, ripristinato linee di autobus, cassonetti, riqualificato diverse aree verdi etc... Fino a quelle più grandi, come aver prestato assistenza legale a diverse famiglie italiane sotto sfratto, aver organizzato una raccolta alimentare permanente per famiglie italiane indigenti o l' aver sgomberato quel ghetto di immigrati delinquenti che si rifugiavano all' ex cartiera di via Assisi 157. Siamo sicuri che , con Casapound, le nostre battaglie si possono trasformare in una guerra e, con un ruolo istituzionale, finalmente vincerla. Il nostro obiettivo, o meglio programma elettorale, per dirla in termini tecnici, è un programma etico e morale perché a noi non piace fare promesse al vento, il nostro modus operandi è il nostro programma elettorale: azione, onestà, meritocrazia, coraggio, sacrificio, disciplina e dedizione. Le parole le lasciamo ai partiti.

Infine volevo dare appuntamento a tutti i lettori del vostro giornale per il 17 Aprile alle ore 10.30 presso il teatro "Lo Spazio" in Via Locri 42 a Roma in quanto insieme a Simone di Stefano, candidato sindaco al comune di Roma, presenteremo il programma territoriale e municipale di CasaPound Italia. Non mancate perchè sarà un bell'evento all'insegna della sana politica.


Grazie Rebecca sei stata assolutamente esaustiva ed esplicita. In bocca al lupo per le elezioni e per le vostre prossime battaglie politiche e territoriali.

domenica 28 febbraio 2016

Il sistema penitenziario nel ventennio fascista

Le misure carcerarie del ventennio furono principalmente legate alle riforme introdotte da Arturo Rocco, ministro della giustizia dal 1925 al 1932 e autore di quello che passò alla storia come "Codice Rocco", corpo di norme in tema di diritto penale. L'idea di fondo del nuovo codice consisteva da un lato, in una maggiore severità contro la delinquenza in nome della difesa dello Stato e degli interessi individuali e collettivi ritenuti da questo meritevoli di tutela, e dall'altro, nell'introduzione di nuovi istituti considerati più moderni e adeguati alla prevenzione del delitto, come le misure di sicurezza.

Il testo definitivo, accompagnato dalla relazione al re, venne pubblicato il 19 ottobre 1930 ed entrò in vigore il I luglio 1931. Il codice fu poi modificato dopo la caduta del fascismo nel 1955.

In Italia la pena di morte fu reintrodotta da Benito Mussolini ed operava principalmente per punire coloro che avessero attentato alla vita o alla libertà della famiglia reale o del capo del govero e per vari reati contro lo stato. C'è da dire comunque che negli anni trenta quasi tutti gli Statoi del mondo adoperavano la pena di morte come pena massima.



Ma Oltre alla pena di morte, durante l'epoca fascista, era in funzione anche il "confino", o meglio noto come "domicilio coatto". Esso era sinonimo di messa al bando dalla società civile e di reclusione di fatto in remote località della nazione, dove vi erano poche vie di comunicazione. Al confino finirono sia antifascisti che fascisti dissidenti, forzatamente isolati su minuscole porzioni di terra in mezzo al mare o in paesi del Sud Italia, così da separarli fisicamente, moralmente e socialmente da qualsiasi contatto con il resto del Paese. Il confino aveva una durata massima di 5 anni, che tuttavia potevano essere rinnovabili. Questo era formato da due tipologie: confino politico e confino comune.

L'uomo che commetteva il reato aveva comunque una leggera libertà personale. Le carceri, ebbero un radicale cambiamento. Quella che era la direzione generale delle carceri e dei riformatori assunse la nuova denominazione di direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena. venne approvato da Rocco il nuovo “Regolamento per gli Istituti di prevenzione e di pena”, fedele traduzione dell’ideologia fascista nel settore penitenziario. Rimasero le tre leggi fondamentali della vita carceraria, ovvero: lavoro, istruzione civile e pratiche religiose che divennero in seguito tassative. I detenuti non avevano collegamenti con il mondo esterno.





Il Regolamento carcerario del 1931 suddivideva le carceri in tre gruppi: carceri di custodia preventiva, carceri per l’esecuzione di pena ordinaria e carceri per l’esecuzione di pena speciale. Il carcere giudiziario, pooi, era una "permanenza" per le persone arrestate, ma ancora non ritenute colpevoli. I detenuti dovevano indossare apposite divise, farsi trovare vicino alla branda ben ordinate tutte le volte che le guardie entravano in cella. Era consentito scrivere due lettere in una settimana, ma non con lo stesso mittente. Tuttavia, non era permesso possedere o leggere giornali, cantare o avere carte da gioco. Durante i colloqui con i parenti, che avvenivano tra reti metalliche distanziate, era previsto l'ascolto da parte delle guardie. Le punizioni andavano dalla semplice ammonizione del direttore alla cella d'isolamento, ed erano previste sanzioni come il divieto di fumare, di scrivere, di lavarsi, di radersi per alcuni giorni, l'interruzione dei colloqui, la sottrazione del pagliericcio, fino al letto di contenzione (non solo nei manicomi), la camicia di forza e la cella "imbottita". Molte infrazioni avevano risvolti "penali" ossia facevano scattare denunce e condanne che allungavano la pena.


Ma il beneficio principale in un sistema penitenziairio così aspro, stava nella possibilità di accedere al lavoro in carcere, oppure, nell'asseganzione a un carcere aperto. Il detenuto nella sua permanenza in carcere, possedeva una "cartella biografica" nella quale si annotava il comportamento all'interno del carcere, ma anche i reati commessi dai suoi familiari e sopratutto le idee politiche di ogni membro della famiglia. Nel 1939 fu approvato il Tribunale Dei Minori e le case di rieducazione per i minorenni, ancora oggi in funzione. Nel secondo dopoguerra, le carceri rimasero invariate e solo intorno al 1960 ci furono dei cambiamenti all'interno delle ultime.

mercoledì 24 febbraio 2016

Rieducare per Poter Vivere



Salvaguardare la pace e la sicurezza sociale. Con questi concetti ha inizio il problema penitenziario. Isolare chi ha violato l’ordine costituito e rinchiudere il soggetto indicato in apposite strutture,le carceri. Carceri però troppe volte intese solo ed esclusivamente come edifici in cui “sbattere” dentro il colpevole. Per tanto e troppo tempo questa è stata l’unica funzione principale del penitenziario. E purtroppo ancora oggi assistiamo nel nostro Paese a questo concetto esclusivo di detenzione basato solo sulla pena. Si va contro persino la Costituzione che nell'art. 27 del codice penale sottolinea che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Ecco quindi che chi esce dal carcere,esce con uno spirito vendicativo nei confronti della società perché non si è agito sul recupero soprattutto psicologico del detenuto. E la società risente di questa mala gestione delle carceri.

Nell’antica Roma si distinguevano pene di carattere privatistico che culminavano in processi civili e pene di carattere pubblicistico che riguardavano tutta la società. Le pene di quest’ultimo tipo sono cambiate con gli anni,si andava dalla più grave che era la pena capitale,ma c’era anche l’esilio,la fustigazione,le pene pecuniarie e i lavori forzati. E come notiamo sono tutte pene atte alla punizione,senza possibilità e volontà di recupero del condannato. Un cambiamento si ha nel XVI secolo quando in Inghilterra si comincia a capire che la funzione di un carcere non è solo quella punitiva. Ladri,prostitute,vagabondi vengono raccolti nel palazzo concesso dal sovrano e obbligati a riformarsi attraverso il lavoro e la disciplina.
Nel corso del tempo e fino ai nostri giorni il sistema carcere per noi è peggiorato. Oltre a non rieducare il detenuto,da una visione ancora più negativa dei suoi “pazienti”. Li vuole isolare,sia mentalmente che fisicamente. Per il carcere sono elementi improduttivi per la società e quindi bisogna tenerli lontano dal progresso della società. Spesso si mette a rischio la vita o l'incolumità dei detenuti nonostante ci siano circolari ministeriali che indicano di ricorrere a trattamenti multi disciplinari e multi professionali. La sorveglianza verte soprattutto sulle condizioni sanitarie. C'è un numero altissimo di detenuti affetti da gravissimi disagi psichici che favoriscono l'emergere di un comportamento aggressivo che costringe alla custodia detentiva.

In ogni caso la rieducazione di un detenuto deve tendere alla creazione di particolari motivazioni che spingano ad un comportamento corretto facendo però leva sulla responsabilità delle azioni del detenuto e alle conseguenze di ogni sua azione. Ecco che si inserisce quindi il concetto di premialità progressiva,cioè attenuazione della pena qualora si riscontri un'acquisizione di abitudini sociali che permettano l'interazione in un ambiente differente da quello carcerario.  Ma molto articolato è l'ordinamento penitenziale italiano a riguardo. L'art.54 prevede che se il condannato risulti partecipe all'opera di rieducazione,per esempio un tossicodipendente,gli può essere concesso un periodo di liberazione anticipata con la clausola che se durante questo periodo il condannato dimostri invece tutto il contrario allora c'è l'immediata cessazione del programma di recupero.

Negli ultimi anni,anche soprattutto al problema del sovraffollamento delle carceri,si è puntato molto alla forma di detenzione domiciliare,ovviamente il tutto assistito e controllato rigidamente. E sempre più ovvio questo caso si applica a detenuti che non hanno commesso gravi reati e che sono già predisposti per un reinserimento immediato nella società. Purtroppo non sempre queste iniziative da parte del sistema carcerario sono applicate "secondo copione". Nel nostro Paese spesso non c'è il senso della certezza della pena e non abbiamo una giustizia rapida. Sia ha differenza troppo marcata tra l'interno e l'esterno della struttura carceraria. Assistiamo alla completa ghettizzazione dei detenuti. E le conseguenze sono note. I numeri purtroppo dicono sempre la verità e si calcola che dal 2000 ad oggi sono circa 1000 i detenuti che si sono tolti la vita. Se poi pensiamo che tanti clandestini che arrivano in Italia vengono arrestati e subito rilasciati arriviamo da soli a capire che qualcosa nel nostro sistema carcerario non va. Il ministero dell'interno propone la costruzione di nuove carceri ma non riesce a capire che il progetto vero e proprio dovrebbe andare nella direzione della rieducazione. E il problema in Italia è lo scarso numero di personale che dovrebbe compiere questa rieducazione. Addirittura si arriva in certe strutture ad avere un solo agente penitenziario ogni 150 detenuti il che presuppone che un problema cosi grande si può solo contenere e risulta impossibile un'operazione di recupero.

Purtroppo i problemi ci sono,ne siamo consapevoli. Ma siamo anche certi che non sempre i problemi si vogliono risolvere,anzi molte volte creare problemi favorisce la lotta tra i vari partiti politici per cercare di accaparrarsi il diritto di risoluzione del problema poi invece troppe volte lasciato senza soluzione. Noi siamo dalla parte di ogni tipo di progetto di recupero del detenuto purchè si segua un protocollo ben definito e dettagliato. Il concetto del "chi sbaglia paga" vale sempre. Soprattutto in casi particolari possiamo anche non accettare altre strade. Ci riteniamo persone che non si pentono di quello che scrivono e che fanno assumendoci ogni responsabilità perchè non abbiamo una maschera e quindi siamo sinceri. Siamo però pronti a poter dare una alternativa valida alla punizione carceraria vera e propria per alcuni reati, per i quali vale il concetto: rieducare per poter vivere!







sabato 20 febbraio 2016

Le misure alternative alla detenzione

Da diversi anni ormai grava sull’Italia un problema che molto spesso non riceve le dovute attenzioni, probabilmente perché per molti di noi la faccenda non rientra tra le questioni più impellenti da risolvere, non ci sentiamo direttamente toccati dal problema, eppure ci sono molti individui che scontano questa situazione e ne subiscono i conseguenti disagi: stiamo parlando del sovraffollamento delle carceri.
Troppi detenuti e troppi pochi posti nelle strutture carcerarie, quello che ci si chiede continuamente è quali possano essere le soluzioni a questi problemi, e una delle possibilità che da sempre ha ricevuto svariati consensi, presentandosi come la scelta più conveniente sia a livello umano che a livello pratico, è quella della rieducazione tramite i servizi sociali. In questo modo si cerca di facilitare il reinserimento del condannato nella società civile sottraendolo all'ambiente carcerario.

A tal proposito andiamo a fare riferimento alla legge n.354 del 26 luglio 1975, tramite la quale l’Ordinamento Penitenziario ha introdotto alcune modalità alternative di esecuzione delle condanne rispetto alla tradizionale reclusione in carcere. Riportiamo qui di seguito un estratto:

Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanita' e deve assicurare il rispetto della dignita' della persona. Il trattamento e' improntato ad assoluta imparzialita', senza discriminazioni in ordine a nazionalita', razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose. Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le
esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabilia fini giudiziari. I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loronome.Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato
al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.
Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento e' attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.


Nella parte conclusiva viene posto l’accento proprio sull’aspetto al quale abbiamo pocanzi accennato, ovvero la possibilità per molti detenuti di riabilitarsi nella società con la pratica di lavori utili all’intera comunità. E’ ovvio che questa possibilità non può essere applicata a chiunque indistintamente, come dice il testo stesso della legge bisogna attuare un criterio di selezione che individui le persone idonee e predisposte a poter intraprendere un percorso di questo genere.

Vi possono accedere i detenuti che devono scontare un residuo di pena nei limiti fissati dalla legge: fino a tre anni o fino a sei nel caso di problemi di tossicodipendenza o dipendenza da alcol. I criteri di ammissibilità tengono conto inoltre di determinate condizioni soggettive (età, stato di salute, stato di gravidanza, presenza di figli con età massima di dieci anni). Se la persona rientra nei parametri richiesti viene presa in carico dall’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna, che ha il compito di assistere e sostenere i condannati in libertà vigilata o coloro che siano stati ammessi a queste misure alternative. A decidere o meno la concessione di queste misure è il Tribunale di Sorveglianza sulla base di un’inchiesta del Centro di servizio sociale a cui il condannato deve essere affidato. Con un’ordinanza il Tribunale di Sorveglianza stabilisce anche le regole che il condannato dovrà seguire sul lavoro, sul luogo in cui dovrà abitare, sui suoi rapporti con il Centro di Servizio Sociale e sulla sua libertà di movimento.

Gli obblighi  possono prevedere anche il divieto di frequentare determinati posti, di svolgere alcune attività o di avere rapporti personali che possano portare «al compimento di altri reati». L’affidamento può essere revocato «se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova». Se il condannato invece rispetta l’ordinanza, per il periodo che corrisponde alla condanna da scontare, la pena viene considerata estinta.

Abbiamo appena visto quelli che sono i meccanismi e le dinamiche che permettono l’attuazione di questa forma di condanna propositiva e abbiamo soprattutto constatato l’effettiva possibilità di scontare una condanna tramite una forma molto più produttiva della semplice detenzione. La possibilità di scontare una pena tramite i servizi sociali è una realtà quindi assolutamente attuabile, quello su cui vogliamo porre l’accento è però la difficoltà con cui questa misura fatichi ad essere adottata. Non è una novità che quella italiana sia una giustizia lenta e farraginosa. Una magistratura che predilige le manette e la punizione alla rieducazione, una magistratura che spesso sbaglia e che nel dubbio preferisce risparmiare tempo e chiudere dietro le sbarre piuttosto che considerare altre soluzioni che richiedono un minimo sforzo in più.

Il problema a monte è sempre lo stesso, la mentalità con cui vengono affrontati i problemi, l’approccio sbagliato che spinge a cercare sempre la soluzione più veloce e apparentemente anche più economica; ma a lungo andare ci si rende conto di come queste misure quantomeno discutibili non siano altro che atteggiamenti di pura pigrizia e menefreghismo da parte di certi organi governativi, gli stessi organi che risultano essere lo specchio di una società fatta di individui sempre più indifferenti ai problemi del prossimo e indirizzati a risolvere solo le questioni che rientrano negli interessi personali e privati, senza preoccuparsi delle conseguenze che possono derivare da questo tipo di atteggiamenti e di scelte.