martedì 19 luglio 2016

"Mai Avere Paura- Vita di un Legionario non Pentito" di Danilo Pagliaro


Da poco presentato sulla terrazza di Casapound a Roma, la fatica letteraria di Danilo Pagliaro ci offre un vissuto autentico e personale all'interno della Legione Straniera.

Corpo militare d'élite dell'esercito francese, fondato nel 1831 dal re Luigi Filippo di Francia ha avuto nel corso della sua vita una fama sempre crescente, in parte per l'alone di mistero e fascinazione che riguardava le storie dei suoi membri ma soprattutto per le sue imprese sul campo di battaglia, una fra tutte la battaglia di Camerone.

Danilo Pagliaro ci riporta all'interno della vita dei legionari senza risparmiare mezzi termini contro chi ne parla a vanvera e senza cognizione di causa e talora smontando alcuni luoghi comuni sovente attribuiti ai soldati dal kèpi blanc.

Dalla sua vita precedente all'arruolamento, all'annullamento della stessa dopo l'arruolamento e dopo alcuni eventi significativi per lui, dalle battaglie più dure combattute dalla Legione al futuro della stessa al netto di una crisi di valori che secondo l'autore oggi non risparmia neanche questo ambiente, il libro in maniera chiara rende onore alla virtù del "mai avere paura", che spiega l'autore non significa non averne bensì non arrendersi mai di fronte a qualsiasi sfida, sia essa grande o piccola, che la vita ed il destino ci pongono davanti.


Senza indulgiare sul contenuto del libro che sicuramente merita di essere comprato e letto tutto d'un fiato, alla vigilia di eventi tragici come quelli che accadono nel nostro paese ed in paesi europei limitrofi la riflessione che suscita il libro del legionario Pagliaro è proprio l'attualità del suo titolo: nostro compito è non aver paura, non arrendersi di fronte a tutto ciò e continuare a difendere quella nostra patria europea, oggi oltraggiata sì da attacchi terroristici e politiche scellerate ma soprattutto dai suoi figli che l'hanno dimenticata.

martedì 12 luglio 2016

La sudditanza come malanno dello spirito


Gli ultimi recenti casi di cronaca che hanno visto la morte di due persone, un americano ed un nigeriano, rispettivamente a Roma e Fermo hanno nuovamente dimostrato come uno dei sentimenti più presenti e vivi spiritualmente tra gran parte degli Italiani sia quello della sudditanza.

Il nostro paese conosce una situazione di mancanza di sovranità economica e politica da ben settant'anni ormai, e ciò sembra avere avuto una sua ripercussione negli atteggiamenti morali e comportamentali di molti nostri compatrioti. Infatti in entrambi i casi sopra citati la reazione istintiva percepita tra social network, giornali telegiornali etc. è stata quella di "dover chiedere scusa". Costernazione, vergogna e ricerca del perdono, hanno riempito l'opinione pubblica mediante ogni canale di comunicazione immaginabile ma anche, e questo forse è l'aspetto più grave, mediante le spontanee esternazioni di tanti concittadini. Sarebbe sbagliato imputare a quest'ultimi, o almeno a tutti, la volontarietà di tali atteggiamenti, questi derivano a nostro avviso dallo smarrimento del ruolo più sottile ed importante della politica, che invece di celebrare eroi(laddove vi siano), costruire su questi eroi nuovi miti o riscoprire i più antichi(vedi l'Iliade), ed educare il nostro popolo al coraggio al destino, ha voluto appiattirsi seguendo i dettami di quest'epoca degradata, appiattendo però così le esistenze non solo degli interpreti politici ma anche dei destinatari ideali dei loro comportamenti, ovvero i cittadini.


Ritornando ai casi specifici, premettendo che di fronte ad ogni morte il silenzio è la pratica più sincera e corretta, vi sono nella nostra storia eventi e morti che ancora attendono una verità, un giudizio si pensi alla strage del Cermis o a quella di Ustica, dove guarda caso protagonista in negativo sono sempre gli Stati Uniti, nazione di provenienza di quel ragazzo, che di certo non per questo meritava di morire ma allo stesso tempo non si necessita, soprattutto per la dinamica fortuita dei fatti, di ulteriori prosternazioni o scuse.

Per il secondo caso avvenuto a Fermo, non ci preme tanto sottolineare che lo stesso trattamento mediatico e politico non fu riservato ad un giovane italiano morto sgozzato pochi mesi prima a Terni, per dinamiche "simili", questo ennesimo sintomo di scollamento tra classe politica e popolo, ma tanto il fatto che questi stessi soggetti si siano subito dilungati in interviste, giudizi e dichiarazioni senza nemmeno aspettare le prime perizie che ad esempio ribaltano le iniziali versioni spiattellate qua e là, e senza tenere conto dell'esistenza di diversi testimoni le cui testimonianze discordano con la versione da Alfano Renzi e Boldrini sostenuta e divulgata.


Insomma comportamenti di getto quasi mossi da risentimento verso il loro stesso popolo, additato come razzista intollerante ma in realtà solo vittima di folli politiche immigrazioniste. 
Ebbene finché la politica non tornerà a ricoprire quel ruolo anzidetto, difficilmente molti cittadini potranno riscoprire un modus vivendi di coraggio verso ogni sfida posta dalla vita, ma continueranno a seguire la via delle scuse della costernazione, della sudditanza.

giovedì 23 giugno 2016

La triste situazione lavorativa in Italia

Quante volte abbiamo pubblicato articoli riguardanti il tema del lavoro con la speranza di poter invertire la rotta al prossimo approfondimento? Quante volte abbiamo analizzato queste problematiche, rilanciando a nostro modo risoluzioni concrete affinché risuonasse con sempre minor insistenza quella parola che dovrebbe far tremare anche i "potenti" comodamente seduti in poltrona? Purtroppo ciò che è stato continua ad imperversare tutt'ora: è ancora crisi lavoro.

Sì, ancora, perché nonostante una lenta ripresa del Mercato del Lavoro, continua a rimanere stabile il tasso di disoccupazione.


Se da un lato c'è chi esulta per l'abolizione dell'articolo 18, dalla parte opposta ci sono ancora centinaia di migliaia di persone in cerca di un impiego. Se a tutto ciò aggiungiamo anche le ormai consuete follie, partorite da vere menti criminali, circa l'obbligo morale di garantire un'occupazione stabile agli immigrati, non ci resta che assistere ad un vero e proprio capovolgimento della realtà. I numeri parlano chiaro: in Italia i cittadini "attivi economicamente" e con un lavoro sono nel 67% dei casi italiani, mentre nel 72% stranieri extraeuropei. Colpa di chi favorisce l'immigrazione incontrollata, di chi cerca manodopera a basso costo sfruttando i falsi profughi che occupano le nostre coste. L'Italia, in questo senso, è tra i paesi peggiori d'Europa.

Inoltre, dal mese scorso, il numero di ore di cassa integrazione è aumentato pericolosamente, così come le domande di disoccupazione.



La situazione sta precipitando; queste cifre da capogiro non sono semplici numeri scritti su carta; dietro tutto ciò ci sono migliaia di italiani che continuano, paradossalmente, ad ignorare non per colpa loro, l'espressione "arrivare a fine mese"; qui ci sono cittadini che stentano ad arrivare all'indomani. Poi ci si meraviglia se la percentuale dei cosiddetti "poveri" raggiunge picchi vertiginosi.
Ora più che mai è necessario favorire i nostri concittadini in difficoltà; basta parole al vento, pretendiamo fatti concreti!

martedì 14 giugno 2016

La crisi del welfare anche nei seggi elettorali




Proprio in questi giorni a Roma e in altri comuni sparsi in tutta Italia si stanno eleggendo i nuovi sindaci e i consiglieri comunali in carica. Le elezioni comunali, così come qualsiasi altro tipo di elezione volta a scegliere dei rappresentanti del popolo, dovrebbero avere come obiettivo quello di individuare le persone più competenti, più preparate, e quindi più idonee a svolgere il compito per cui verranno elette. La ricerca di un buon sindaco per una città si traduce anche in questo: individuare un uomo/donna abbastanza competente da poter migliorare, o addirittura garantire, il cosiddetto stato di Welfare.

"Il welfare state", o stato del benessere, o ancora stato sociale, può essere definito come uno stato che garantisce ad ogni suo cittadino, come diritto politico e non come carità, degli standard minimi di reddito, di alimentazione, di salute, di abitazione, di educazione. Pertanto è un’organizzazione istituzionale, politica ed economica che si pone come obiettivo la produzione di benessere e di sicurezza sociale attraverso la politica sociale. Il welfare state utilizza il proprio potere organizzativo per modificare il gioco delle forze di mercato in almeno tre direzioni: “garantendo agli individui ed alle famiglie un reddito minimo indipendentemente dal valore di mercato del loro lavoro e della loro proprietà; restringendo l’arco dell’insicurezza, mettendo individui e famiglie in condizione di far fronte a certe ‘contingenze sociali’ (malattia, vecchiaia, disoccupazione) assicurando che a tutti i cittadinivengano offerti gli standard più alti in relazione ad una gamma riconosciuta di servizi sociali.

Queste elezioni che dovrebbero in qualche modo rappresentare una nuova possibilità e una speranza di migliorare il nostro stato di benessere generale, partono invece in maniera scoraggiante e con i presupposti più sbagliati anche nelle piccole questione sociali.


In occasione di queste votazioni per eleggere il nuovo primo cittadino di Roma sono stati coinvolti per le operazioni di seggio moltissimi dipendenti Atac e Ama. Nello specifico sono stati circa ottocento i permessi retribuiti a dipendenti Atac, in gran parte come scrutatori. Più contenuti ma non meno rilevanti i numeri relativi all’Ama, che contava ben quattrocento spazzini di servizio nei seggi.

La corsa di tutti questi dipendenti delle due aziende capitoline a fare i rappresentanti di lista mostra chiaramente l’alto grado di politicizzazione e di sindacalizzazione del personale. Ovviamente l’assenza sui posti di lavoro di questi dipendenti che nella loro quotidianità ricoprono ruoli essenziali per il corretto funzionamento della città e per il quieto vivere dei cittadini ha creato notevoli disagi. Le due aziende Municipalizzate sono costantemente alle prese con ricorrenti disservizi, numerosi sono gli scioperi che si susseguono nella capitale e in continuazione gettano un’intera città nel blocco totale. Ovviamente alcuni di questi scioperi c’erano stati anche prima della fase preliminare di queste elezioni, e il susseguirsi di questo ulteriore disagio relativo all’assenza dei dipendenti Atac e Ama dai posti di lavoro ha definitivamente gettato ancora una volta la città nel caos. Ed ecco che lo Stato già viene meno a quello che è il 3° punto fondamentale per un corretto welfare state.





Il meccanismo di selezione dei lavoratori ai seggi è una delle tantissime procedure che andrebbero riviste e modificate. L’inefficienza della legge italiana si vede anche in queste piccole cose. E’ assurdo che a fare gli scrutatori vadano categorie di lavoratori legati a servizi essenziali per il cittadino e vengano invece esclusi disoccupati, cassintegrati o quantomeno studenti e liberi professionisti che in ogni caso avrebbero la possibilità di organizzare in modo funzionale i loro impegni e il loro lavoro. E se vogliamo qui viene anche meno quello che sarebbe il 1° punto dello welfare state, visto e considerato che lo Stato pur potendo mettere a disposizione posti di lavoro (seppur a prestazione occasionale) a chi di lavoro non ne ha, concede invece la precedenza a chi il lavoro per sua fortuna già lo possiede.

Queste sono solo alcune considerazioni che potrebbero essere ulteriormente approfondite portando ad esempio tante altre situazioni anomale e prive di logica che possiamo riscontrare anche personalmente
ogni giorno in prima persona. Noi come al solito siamo abituati a soffermarci in particolare sul panorama romano essendo quello che ci tocca più direttamente, ma ovviamente lo Stato è uno, e la situazione nel resto d’Italia non è tanto differente da città a città.



Come ben sappiamo il prossimo fine settimana ci sarà una nuova chiamata alle urne, bisognerà decretare il nuovo sindaco di Roma con la fase di ballottaggio. Viene spontaneo chiedersi: verranno presi in considerazione gli errori di organizzazione delle recenti votazioni? Dubitarne ormai è diventata cosa lecita per noi italiani. Ma siamo sicuri che nulla cambierà, nè riguardo gli scrutatori nè tantomeno riguardo il nuovo sindaco (che vinca uno o l'altro è indifferente) e le sue proposte di miglioramento dello stato sociale e dei servizi offerti ai romani. Per esempio, si aprirà l'era degli autobus colorati, non dell'efficenza dei trasporti. D'altronde è quello che vogliono i romani...

domenica 12 giugno 2016

Non si fermerà la marcia. Nel ricordo di Luigi Guardiera...

Chi ha mai sentito parlare di Luigi Guardiera? Pochi. E allora ve lo spieghiamo noi per ricordarlo con giustizia: Luigi era un giovane ventitreenne francese, militante del Front National ucciso la notte del primo Maggio 2016 con La sua unica colpa di appartenere al più grande partito della destra francese il "Front National" . Aggredito in un parcheggio di una discoteca a Tarbes. Era talmente innamorato della sua patria che aveva il desiderio di arruolarsi nell’esercito francese.

"Stranamente" in Italia sotto campagna elettorale nessuno ha avuto il coraggio di ricordare questo ragazzo innocente ucciso da vigliacchi servi del sistema. Ma d'altronde cosa aspettarci da chi ha taciuto riguardo gli assalti ai banchetti elettorali di Casapound che hanno portato al ferimento di un ragazzo disabile e di una donna? Per i ridicoli e corrotti media italiani è più importante parlare del "coraggio" di una donna nera che fa il pugno chiuso davanti un corteo di nazionalisti svedesi. Ma il povero Luigi era un patriota e forse questa qualità non è ben vista dalla stampa. E da una parte è anche motivo di fierezza. Va aggiunto, inoltre, in questo caso che anche l’Europa è complice Sempre pronta a sputare sentenze senza sapere cosa c’è dietro un movimento radicale. La stessa Merkel giura che ce la metterà tutta per fermare l’avanzata del Front National sulla scena politica francese.


Tre anni fa perse la vita un militante antifascista francese e tutta la stampa scrisse di tutto contro chi aveva provocato la morte. Addirittura tutta la classe politica si espresse su quella vicenda. I colpevoli erano appartenenti ad un movimento nazionalista. Secondo loro però! Perché poi si scoprì che il giovane ragazzo era morto per scontri causati dagli estremisti di sinistra. Il solito discorso dei due pesi e due misure. Troppe anche in Italia sono state le morti "coperte". Siamo abituati,non dovrebbe essere cosi. E durante questa campagna elettorale nel nostro Paese abbiamo sentito le migliori promesse,ma nessuna parola è stata spesa per ricordare una vittima innocente. Giustamente non avrebbe fatto guadagnare voti una presa di posizione forte in merito.






C’è chi invece chiude le proprie campagne elettorali in posti come Acca Larentia, luogo simbolo per tutti i camerati che vogliono ricordare non solo i tre ragazzi caduti quel maledetto 7 gennaio 1978, ma tutti quei martiri che hanno sacrificato la propria vita per un ideale. Noi come comunità militante ci sentiamo in dovere di ricordare Luigi perché rappresenta anche la nostra scelta. Una scelta scomoda per molti. Ci sentiamo tutti Luigi Guardiera. Anche noi vogliamo fare una promessa a questo punto, ma non una promessa elettorale bensì un giuramento di lotta: NON SI FERMERA’ LA MARCIA!

martedì 31 maggio 2016

Governo Pinocchio, l'economia italiana non riparte


"Più piccola è la mente più grande è la presunzione" è un famoso detto di Esopo, scrittore greco antico. Un aforisma che ci sembra più attuale che mai, soprattuto se applicato alla politica italiana attuale con un chiaro riferimento al governo guidato dal presidente Renzi. Un governo che sembra vedere solo quello che vuole, solo quello che conviene loro. A sentrli parlare, infatti, l'Italia è ripartita, la crescita è costante e l'Europa è soddisfatta.

Recenti dichiarazioni del ministro dell'economia Padoan raccontano di " una crescita che accelera in buona parte trainata dall'effetto delle misure del governo e si accompagna al miglioramento continuo delle finanze pubbliche sia in termini di deficit che di debito» durante la stesura del DEF,il Documento di economia e finanza, annunciando che il Pil 2016 crescerà dell'1,2, rispetto all’1,6% precedentemente previsto. L’aumento del Pil sarà dell'1,4% nel 2017 e dell'1,5% nel 2018. Quanto alle privatizzazioni «l'obiettivo fissato è dello 0,5% di Pil di introiti». «Stiamo esaminando varie opzioni che ci permetteranno di raggiungere quell'obiettivo» ha aggiunto Padoan.

Dichiarazione accompagnate da quelle del primo ministro Matteo Renzi che afferma "Spero che nel prossimo anno possiamo tornare ai livelli di media europea. l'Italia ha avuto nel 2012 con il governo Monti una crescita negativa. Nel 2013 con il governo Letta ha avuto -1,9. Ora siamo a +0,8 "

Ma i numeri, forniti soprattuto dall'Istat, e i fatti, non concordano con queste ottimistiche visioni.

Negli ultimi dodici mesi hanno chiuso ogni giorno oltre 390 imprese ed è stato osservato che lo scorso anno si è consumata una vera e propria strage di piccole e medie imprese.I principali responsabili di questo disastro sono: lo stallo del mercato interno, l’aumento del prelievo fiscale, il crollo del credito e l’incremento del peso di adempimenti inutili e costosi.

Ma, la crisi non è uguale per tutti. Se, infatti, gli imprenditori italiani arrancano, l’esercito delle aziende condotte da immigrati continua a ingrossarsi: oggi sono oltre cinquecentocinquantamila, ovvero il 9,1% delle aziende totali. Di queste, la stragrande maggioranza (94,2%) è di esclusiva conduzione straniera.


Ma, il dato più importante è quello che riguarda soprattutto il saldo tra imprese nate e cessate nel 2015: quello degli stranieri è in attivo di 24.795 unità, al contrario, le imprese italiane mostrano un saldo negativo di circa diecimila unità. I dati testimoniano la crescente importanza dell’imprenditoria straniera: una realtà in crescita in tutte le regioni e in tutti i settori. Ciò dimostra che  solo con un sistematico sfruttamento della manodopera si può ridurre l’impatto delle tasse sui ricavi delle imprese. Il fisco per le aziende italiane è  un socio occulto che pur non condividendo il rischio d’impresa partecipa alla distribuzione degli utili.  Siamo il paese in Europa che subisce invadenza dello stato nelle attività economiche dei cittadini e delle imprese attraverso la leva del fisco. Il fisco italiano pesa sulle imprese con un tax rate del 64,8%. Inoltre, la burocrazia certo non incoraggia la voglia di investire. L’Italia, infatti, è ultima per costi degli adempimenti burocratici per pagare le tasse (7.559 euro) staccando pure la Germania (7mila euro circa) e il Belgio (6.295 euro). A questi costi si aggiunge la perdita di tempo (e di denaro) per pagare le tasse (269 ore annue): solo in Europa dell’Est le procedure sono più farraginose delle nostre.

Ma andiamo avanti: nel mese di gennaio 2016, la richiesta di elettricità in Italia ha fatto registrare una flessione dell’1,0% a parità di calendario rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Ovviamente possiamo ipotizzare che di anno in anno i comportamenti degli italiani diventino più “parsimoniosi”


Sale solo il consumo di petrolio a gennaio ma meno bene sono andati i prodotti di autotrazione, con la benzina che nel complesso ha mostrato un calo del 6,3% rispetto a gennaio 2015 (livello più basso da 10 anni).

A dicembre 2015 il fatturato dell’industria registra una diminuzione dell’1,6% rispetto a novembre (-1,7% sul mercato interno e -1,4% su quello estero). Negli ultimi tre mesi, l’indice complessivo registra una flessione dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti

A dicembre gli indici del fatturato segnano flessioni congiunturali per l’energia (-4,6%), per i beni strumentali (-2,2%), per i beni intermedi (-1,2%) e per i beni di consumo (-0,7%).

La spesa pubblica, elevatissima e causa di una pressione fiscale abnorme, non accenna a calare. Lo scorso anno essa è aumentata di 52 miliardi di euro e le tasse sono cresciute di quasi 26 miliardi. Rispetto al 2014, nel 2015 le uscite correnti del bilancio pubblico sono passate da 483,8 miliardi a 536,4 miliardi, mentre le entrate tributarie suono salite da 407,5 miliardi a 433,4 miliardi.


Nel nostro Paese il pil  è sceso di oltre 8 punti, i consumi delle famiglie di 6,5 punti e gli investimenti quasi 27,5 punti percentuali. La disoccupazione, invece, è pressoché raddoppiata.
Per recuperare il terreno perso ci vorrà molto tempo. Se nel prossimo futuro il pil crescesse di almeno 2 punti ogni anno, il nostro Paese  tornerebbe alla situazione pre-crisi solo nel 2020. E così non sarà; l’Ocse rivede al ribasso le sue stime per il Pil italiano per il 2016, prevedendo una crescita all’1%

Non riparte la produzione industriale, che dopo il dato di febbraio (-0.6%) fa segnare un’altra performance non esaltante. l’Istat nel suo bollettino di Maggio 2015, segna una variazione nulla rispetto a febbraio. Zero percento netto. La produzione industriale è un indice anticipatore della tendenza di medio periodo, che non sembra così capace di confermare le attese: non più tardi di inizio mese l’Ue ha già limato  di 0.3 punti, a +1.1% (per confronto: è un taglio di oltre il 20%) la crescita del Pil nel 2016.

A ottobre il tasso di disoccupazione in Italia si è attestato all’11,5 per cento, raggiungendo livelli minimi dal dicembre del 2012 quando era all’11,4 per cento. Lo ha riferito l’Istat. Bisogna considerare che il tasso di disoccupazione non tiene conto del numero di persone senza un lavoro che non stanno cercando un impiego, quelle che rientrano nella categoria statistica degli “inattivi”, che sono aumentati.

Tra l’ottobre del 2014 e l’ottobre 2015, il numero degli occupati è cresciuto dello 0,3 per cento, con 75mila occupati in più, ma il dato positivo non è strettamente legato alla creazione di nuovi posti di lavoro perché molto dipende anche dall’invecchiamento della popolazione. Infatti, il numero di occupati è aumentato soprattutto tra le persone con più di 50 anni, fascia di età che dall’inizio del 2013 è cresciuta del 4,7 per cento.

I lavoratori permanenti diminuiscono di 97mila unità. Dopo la forte crescita registrata a gennaio 2016 (+0,7%, pari a +98 mila), presumibilmente associata al meccanismo di incentivi introdotto dalla stabilità 2015 il calo dell’ultimo mese riporta i dipendenti permanenti ai livelli di dicembre 2015 A febbraio 2016 la disoccupazione torna a salire (+0,1%) e calano gli occupati (-97mila posti) a causa della riduzione dei lavoratori permanenti. A pesare è la fine dell’effetto degli sgravi fiscali per le assunzioni a tempo indeterminato previsti dalla legge di stabilità del 2015.

Secondo i dati provvisori diffusi dall’Istat, il tasso di disoccupazione a febbraio 2016 è pari all’11,7 per cento, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a gennaio. L’istituto stima che i disoccupati siano aumentati di circa 7mila unità.

La disoccupazione giovanile a febbraio 2016 è stata pari al 39,1%, in calo di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente.



Emerge dunque un dato incontrovertibile: finiti gli incentivi fiscali alle aziende (che sono soldi dei cittadini, non di Renzi), la disoccupazione risale. La sensazione è che il Def 2016 sia costruito in funzione di continuare una politica di qualche aggiustamento di qualche decimale che, non determina le condizioni per quella crescita di cui il Paese ha bisogno. Per tornare a livelli pre-crisi, di questo passo, potremmo metterci più di venti anni. Complimenti vivissimi per il lavoro svolto, presidente Renzi ma soprattutto complimenti vivissimi per la presunzione quotidiana che ormai vi contraddistingue. Presuntuosi e Bugiardi!


mercoledì 18 maggio 2016

"Il Faro di Mussolini" di Alberto Alpozzi

"Il Faro di Mussolini" (l'opera coloniale più controversa e il sogno dell'Impero nella Somalia Italiana) è l'ultima ricerca storica,presentata anche presso lo Spazio Libero Tenaglia, di Alberto Alpozzi, fotoreporter piemontese che ha lavorato per "La Stampa", "Il sole 24 Ore", "Il Giornale" e "Famiglia Cristiana" documentando le guerre in Afghanistan, Libano, Kosovo e la missione antipirateria in Somalia.

Si tratta di un'accurata analisi storico-politica sul più grande faro con la forma di un fascio littorio al mondo, ancora oggi alto più di venti metri, dedicato a Francesco Crispi e finito di realizzare nel 1924 dopo decenni di progetti e discussioni sui costi, situato a capo Guardafui ("guarda e fuggi" dal portoghese, per la poca cordialità degli autoctoni), nel Corno d'africa, la punta più ad est del continente africano.

Una dettagliata analisi che racconta, oltre alle principali informazioni sull'opera (tempi del progetto, costi della realizzazione, discussioni politiche) addirittura la fase preparatoria della costruzione, i primi viaggi dei turisti italiani in Somalia, le celebrità che lo inaugurarono e visitarono, il destino del monumento durante la Seconda Guerra Mondiale.

Alpozzi descrive in maniera estremamente minuziosa la storia di questo importante monumento non solo per la Somalia ma per tutte le nazioni del mondo, visto l'enorme quantitativo di navi che attraversavano in quegli anni (e ancora oggi) il Corno d'Africa (afflusso inferiore solo al Canale di Suez). Una storia che svela una serie di retroscena politici non indifferenti: in primis la meschina politica inglese in Somalia che più volte sottolineò, anche sotto il suo protettorato, la necessità di costruire un faro in quel promontorio nel quale centinaia di navi, in pochi decenni, erano finite nelle trappole dei pirati somali (con i marinai che più volte subirono casi di razzia e di cannibalismo) ma che non si volle mai far carico delle spese della costruzione e del mantenimento. In secondo luogo, la politica coloniale italiana in Somalia mai aggressiva (la Migiurtina, la regione più a nord della Somalia, divenne protettorato del Regno d'Italia ma non fu mai conquistata militarmente ma solo concessa dagli inglesi in virtù di accordi politici) ma anzi sempre propensa a cercare via conciliative con i sultani locali (nonostante più volte tradirono gli accordi presi) e addirittura più volte lodata da giornali e ufficiali inglesi (testimonianze presenti nel libro), che seppur in origine restii a complimentarsi col nostro paese, alla fine non poterono far altro che ammettere la differenza sostanziale tra i due colonialismi: il loro governo depredava, l'Italia costruiva.

Il Faro fu comunque costruito dal regime fascista nonostante gli enormi costi di costruzione e di mantenimento dell'opera (provviste, militari a difesa, tecnici specializzati) e soprattuto senza l'aiuto economico di nessun altro paese al mondo che ne beneficerà direttamente con il passaggio sicuro delle proprie navi (a Suez per esempio fu imposta una tassa durante il passaggio delle navi per le spese di mantenimento del canale).

"Così l'italia irradiò ormai con una triplice luce di grande portata una delle vie più importanti della navigazione mondiale, via di comunicazione tra mari asiatici e africani con il Mar Rosso e il Mediterraneo, ponendo fine a suggello all'ecatombe di navi e di uomini du quella costa infausta e desolata dell'Africa Orientale" (Cesare Cesari, 1935, scrittore, "Somalia Italiana")