mercoledì 11 giugno 2014

In Italia, senza Staminali si muore

Il metodo Stamina è un trattamento medico inventato da Davide Vannoni e proposto dalla Stamina Foundation, un'organizzazione da lui presieduta. Il trattamento con le cellule staminali è rivolto principalmente alle malattie neuro-degenerative e sembrerebbe che in certi casi i sintomi nel paziente vengano alleviati. Sebbene questo trattamento abbia comportato in alcuni casi effetti positivi sui malati, la comunità scientifica continua a non approvare il metodo non ritenendolo sicuro. Molti ancora chiedono di procedere con la verifica sperimentale del metodo per la quale è stata istituita, con gran fatica, una commissione dal ministero della Salute. Vannoni difatti non ha mai prodotto prove scientifiche relative all'efficacia del metodo nonostante ne abbia sempre propugnato la validità. Oltre Vannoni, a riferire di presunti benefici derivanti dal trattamento sono alcuni genitori di bambini malati e alcuni medici che hanno voluto aprirsi all’utilizzo di questo metodo non verificato.

Nel 2013 il metodo Stamina giunge sotto i riflettori dei media in seguito ad un servizio del programma televisivo Le Iene, che ne mostra l'utilizzo su alcuni bambini affetti da diverse malattie neuro-degenerative. Nel servizio si sostiene che le infusioni di staminali avrebbero generato significativi miglioramenti nello stato di questa malattia, e si suggerisce, senza certezza alcuna, che possa modificarne il decorso fatale. Il metodo Stamina diviene quindi oggetto di proteste popolari in favore della cura, molti sono i dibattiti che si aprono sulla questione e molte sono le voci importanti di medici, politici e personaggi dello spettacolo che si pronunciano in favore di questa presunta cura.

Sempre nel 2013 Vannoni pubblica alcuni studi delle cellule utilizzate, per rispondere alle accuse di non aver condotto valutazioni sulle cellule prodotte. I test mostrano dati positivi, ma ricevono critiche in quanto presentano “dati parziali”, “non contestualizzati”, “incoerenti” e su “campioni non significativi”.
Un tentativo di chiarimento sulla questione viene fatto quando la ministra della Salute Beatrice Lorenzin crea un comitato per decidere sulla possibile sperimentazione nel servizio pubblico. Il verdetto finale per molti era già scontato. La terapia è stata infatti giudicata come «fuori dai protocolli medici». Hanno prevalso le perplessità di gran parte dei membri del comitato, per i quali non ci sarebbero fondamenti scientifici tali da giustificare l’avvio della sperimentazione.

La scia positiva nei confronti del metodo Stamina incomincia a sfumare del tutto quando su Vannoni e la sua fondazione incominciano a piovere accuse gravi tra cui associazione a delinquere finalizzata alla truffa ed esercizio abusivo della professione medica.
Ad oggi la questione è da considerarsi ancora del tutto aperta. Il metodo infatti non è ancora stato fatto oggetto di una vera e propria sperimentazione e nessuno è in grado di dire con assoluta certezza se il trattamento con le staminali porti benefici o meno ai pazienti. Al momento ci troviamo in una situazione anomala in cui ad avere potere decisionale sono più i Giudici che i Medici, nonostante la questione dovrebbe riguardare più i secondi che i primi. Senza contare poi i numerosi casi di bambini che stanno perdendo la vita o per mancanza di cure con il metodo Stamina o in altri casi, a detta di alcuni, proprio a causa della terapia stessa. Giudici che interrompono i trattamenti, giudici che invece dispongono il via libera alla terapia, neanche la Legge è in grado di dire SI o NO in modo definitivo. Ci troviamo insomma in una situazione di assoluta confusione e poca chiarezza riguardo un fatto così delicato ed importante. L’ennesima dimostrazione di come il sistema italiano non funzioni come dovrebbe, un sistema che continua a dare riprova della poca serietà e soprattutto della leggerezza con cui vengono affrontate certe questioni.

Ad oggi il metodo Stamina è risultato essere un ottimo oggetto per fare notizia. Non essendo medici, a nostro parere personale al momento non si può pensare di essere pro’ o contro il Protocollo Stamina, non prima di aver effettuato una sperimentazione a 360 gradi. Ma una cosa sola è certa: senza le staminali per malattie neuro-degenerative si muore e non ci sono farmaci alternativi e altrettanto validi. Con le staminali alcuni bambini migliorano le loro tragiche condizioni … Ai posteri l’ardua sentenza!

domenica 8 giugno 2014

“Jobs act”, il famoso progetto sul lavoro di Matteo Renzi



Si chiama “Jobs act” o “Decreto Poletti”( dal nome del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti), il decreto legge sul lavoro approvato dalle camere con 279 voti favorevoli, 143 contrari e 3 astenuti ed entrato in vigore il 21/03/2014. Successivamente è stato convertito in legge , quando il 13 Maggio 2014  è stata votata la fiducia, ricevendo 333 voti favorevoli e 159 contrari. Ci si domanda però,  in cosa consista realmente e quali siano i benefici , che i cittadini ed i giovani in cerca di occupazione ne possano trarre.

Dal contenuto di tale legge infatti, emergerebbero alcune modifiche riguardo alla durata del rapporto a tempo determinato, la quale viene incrementata da 1 a 3 anni, con un massimo di 5 proroghe ( abolita quindi la pausa obbligatoria tra la fine del contratto ed il rinnovo dello stesso), il contratto stesso inoltre, può essere stipulato senza che vi sia indicata la causale. La suddetta ha introdotto  altresì un “Tetto”, il quale non consente che all’interno di un’azienda, vi siano un numero di contratti a tempo determinato che superino il 20%  dei contratti a tempo indeterminato; qualora tale direttiva non fosse rispettata, è prevista una sanzione amministrativa al 20%  ed al 50% della retribuzione per i mesi di durata del rapporto di lavoro. Questo “Tetto”  previsto dalla nuova legge però, non riguarda il settore della ricerca, nel quale i lavoratori, nonché ricercatori scientifici, possono avere un contratto a tempo determinato che abbia la durata del progetto al quale prendono parte.

Sono state poi introdotte delle disposizioni in materia di apprendistato, che introducono ulteriori modifiche nei rapporti lavorativi con componente formativa, i quali precedentemente prevedevano al termine del contratto, una soglia di stabilizzazioni pari al 30% per le aziende aventi più di 10 lavoratori. Attualmente invece, un datore di lavoro avente un numero minore a 50 dipendenti nella propria azienda, non incorre nell’obbligo di assunzione, ciò comporta inevitabilmente ad una riduzione della stabilizzazione al 20%. Per quanto riguarda invece la retribuzione dell’apprendista, fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva, si prevede che, in considerazione della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, si debba tener conto delle ore di formazione almeno in misura del 35% del relativo monte ore complessivo. Tutto ciò  favorirà, un incremento di contratti a termine e di apprendistato, i quali raggiungeranno circa l’80% degli avviamenti al lavoro.

Alcune delle disposizioni previste dal “Jobs act” del governo Renzi, sono volte a garantire il diritto di precedenza delle donne in congedo di maternità, integrando la stessa maternità nella durata del contratto a termine, sicché sia possibile il raggiungimento dei sei mesi, indispensabili per vedersi riconosciuto il sopracitato diritto. Inoltre viene tutelato il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, in relazione alle medesime mansioni oggetto del contratto a termine. Ciò significa che la l’applicabilità di suddetto diritto si estende, non solo ai contratti a tempo indeterminato, bensì anche a quelli a tempo determinato. Infine, si stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di richiamare espressamente il diritto di precedenza del lavoratore nell’atto scritto con cui viene fissato il termine del contratto.

Ma la vera novità è questa, nonché l’introduzione dei contratti a tutele crescenti, che consistono si, in veri e propri contratti a tempo indeterminato, ma i quali prevedono che per i primi tre anni, il dipendente non sia tutelato contro i licenziamenti senza giusta causa (tutela stabilita dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori)  e che per 36 mesi esso non avrà mai diritto a essere reintegrato all’interno dell'azienda, ma soltanto ad un risarcimento in denaro. Solo dal quarto anno in poi, il dipendente potrà godere della tutela prevista per gli altri lavoratori con maggiore anzianità lavorativa. Dal testo della legge-delega,  emergerebbe che l’introduzione di questo tipo di contratto potrebbe avvenire inizialmente in via sperimentale, dopo aver consultato le parti sociali, nonché qualora si arrivasse ad un accordo tra governo e sindacati. Inoltre, potrebbero essere eliminati alcuni contratti di lavoro già esistenti, come quelli precari o flessibili , i quali rischiano di confliggere con le altre nuove forme di assunzione introdotte dal governo.

La disoccupazione e la mancanza di stabilità lavorativa in Italia sono dilaganti, infatti secondo i dati Istat aggiornati al mese di marzo 2014, il tasso di disoccupazione nazionale è ancora stabile al 12,7% ,ma risultano disoccupati 4 giovani su 10 ed  in alcune regioni del sud si supera addirittura il 50%. L’introduzione di tali cambiamenti in ambito legislativo per quanto riguarda l’argomento lavoro, lascia un po’ perplessi, in quanto queste disposizioni, continuano sulla stessa scia delle riforme attuate da governi precedenti, non creando vere opportunità di lavoro per i giovani , la forza-lavoro sulla quale il Paese dovrebbe investire, bensì la lascia ancora inattiva. Si continua in questo modo, a potenziare fenomeni, come il precariato, apprendistati che nella maggior parte dei casi non prevedono al loro termine l’assunzione, oppure i contratti a tempo determinato. Tutto ciò  non permette ai cittadini la stabilità lavorativa indispensabile per condurre un’esistenza dignitosa, in quanto in concreto, non vi è ancora una reale tutela della figura del lavoratore.

 

giovedì 5 giugno 2014

Arrivederci e Grazie Italia....


Il “Made in Italy” ha sempre rappresentato un motivo di orgoglio nazionale. Essere consapevoli che un determinato prodotto veniva concepito in Italia ci trasmetteva una forte sensazione di potenza,quasi a sottolineare il fatto che,anche se indirettamente,noi stessi potevamo dire che avevamo contribuito alla sua nascita e realizzazione. Era bello sapere che quell’ “oggetto” nazionale andava ad abbracciare anche altri paesi. Ci sentivamo al centro del mondo perché la nostra cultura arrivava in ogni angolo della Terra. Il nostro marchio di fabbrica era il punto di forza e nessuno era in grado di essere alla nostra altezza. Forse questa visione un po’ presuntuosa è dettata dal fatto che purtroppo oggi le cose sono peggiorate e quindi ci aggrappiamo ad un po’ di sana nostalgia.

Questo nostro pessimismo trova riscontro quando nominiamo la Fiat. Essa rappresenta il simbolo della decadenza delle aziende italiane. La nuova azienda Fiat-Chrysler diventa una società internazionale avendo spostato la sede legale in Olanda e la sede fiscale nel Regno Unito. Perché questo spostamento,anzi questa delocalizzazione? Le risposte immediate che ci vengono in mente sono abbastanza conosciute:tassazione minore. E già perché l’Olanda è considerato un paradiso fiscale dove le tasse sulle rendite sono a zero e l’Inghilterra ha pur sempre una moneta propria nonostante sia in Europa.

Ma non sono solo queste le motivazioni che spingono un’azienda a migrare,c’è anche un minore costo dell’energia,una giustizia più veloce e una burocrazia certamente più snella rispetto a quella italiana. Tutti ingredienti che fanno pendere la bilancia a favore di questa migrazione dell’industria italiana. Il caso Fiat è solo il caso più eclatante ma molte altre aziende hanno seguito lo stesso percorso per gli stessi motivi. Secondo un’analisi dell’Istat nel periodo 2001-2006 circa 3000 imprese hanno applicato il processo di delocalizzazione. L’Europa è stata la meta più ambita,seguiti da Cina,Usa e Canada. In futuro si prevedono investimenti in India e in Africa.

Questo spostamento prevede che chi mantiene stabilimenti sul nostro territorio paghi sempre le tasse locali e regionali;quella che non viene pagata è la tassa sul reddito imponibile.  Il buon Marchionne ha aspettato il momento in cui i mercati erano al minimo e grazie agli aiuti americani ha acquistato la Chrysler. Anche l’ex ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni dimenticando che eravamo uno stato nazionale indipendente si è venduto all’Europa. Per lui gli stabilimenti rimangono dei centri di costo mentre i centri di profitto vengono spostati dove è più comodo. La stessa confindustria di Giorgio Squinzi si dichiara contraria ad uscire dall’Euro,e ciò non ci sorprende visto che i grandi imprenditori che stanno al suo vertice hanno già delocalizzato.

Pensiero furbo si direbbe questo della delocalizzazione,peccato che poi molti lavoratori operanti negli stabilimenti fiat in Italia non la pensino in ugual modo. Ma oltre alle sedi fisiche l’Italia perde qualcosa di molto più importante,perde la competenza che trova riscontro nella fuga di professionisti qualificati,ricercatori,laureati e manager. E per quelli che rimangono a lavorare in Italia le notizie purtroppo non sono positive. Si pensi che tra il 2002 e il 2012 i posti di lavoro persi dalla fiat a causa del fenomeno delle delocalizzazioni sono stati ben 20000. Come la fiat ecco anche Omsa,Dainese,Bialetti,Rossignol,Geox e tante altre ancora. E quando vediamo che tanti lavoratori vengono messi in cassa integrazione in seguito a ristrutturazione aziendale sappiamo benissimo che il più delle volte è una copertura,il motivo vero è proprio dettato dal fenomeno della delocalizzazione,figlio di questa nuova globalizzazione in cui non sappiamo però che ruolo stiano giocando le aziende italiane.

E purtroppo il popolo italiano continua ad andare a votare i soliti personaggi che rendono la nostra politica vecchia e troppo schiava dell’Europa. Il fallimento industriale italiano è dovuto anche a questa posizione di sottomissione alla Germania che ci considera inferiori. E non basta certo un video della famosa canzone “Happy” girato all’interno degli stabilimenti Fiat di Melfi a mascherare il brutto periodo che stiamo passando. Gli operai che ballano insieme al direttore dello stabilimento sono il falso volto del nostro Paese,calcolando che molti di quegli operai sono in cassa integrazione e che,facendo un piccolo esempio,per la realizzazione della grande punto sono stati soppressi dei turni di lavoro. Purtroppo siamo il solito Paese che vuole mostrarsi forte all’esterno ma che in realtà all’interno è praticamente vicino al tracollo. M oltre il danno anche la beffa: infatti se prima il nostro paese era svenduto solo alle potenze occidentali ora anche paesi emergenti come Brasile e Cina mettono le mani sui nostri gioielli. Insomma chiunque voglia può attingere nel piatto!! Non è certo la fine migliore che ci auguravamo. Ci vorrebbe un bel piano di ricostruzione industriale capace di far riemergere il nostro settore industriale.

Noi, da buoni nostalgici e protezionisti come amano definirci, lanciamo una proposta: ricostruiamo l’IRI. D’altronde altre alternative valide non le vediamo ….

 

lunedì 2 giugno 2014

Thomas Sterne Eliot, interprete di un'epoca


Provare a descrivere, con semplici parole, la personalita' disarmante di Eliot e' un compito assai arduo; la sua altissima coscienza artistica fa si che egli sia da considerare come uno dei poeti che piu' lucidamente hanno interpretato il XX secolo.

Nacque nel 1888 a Saint Louise, nel Missouri, da una famiglia trasferitasi nel Middle West, le cui origini americane erano legate al New England. Frequento' fin da giovane ambienti intellettuali assai vivi e stimolanti, che risultarono fondamentali per la sua formazione culturale. E' in questi anni che Eliot intraprende la conoscenza dei maggiori esponenti del postsimbolismo francese, dei metafisici ed attraverso la mediazione di Ezra Pound, degli stilnovisti, approfondendo il genio di Dante Alighieri. Dopo diversi spostamenti nelle principali citta' europee, si stabili' definitivamente a Londra, ottenendo la cittadinanza inglese nel 1927, convertendosi all'anglicanesimo e dedicandosi in modo definitivo all'attivita' letteraria. Nel 1948 gli venne conferito il premio Nobel per la Letteratura. Mori' a Londra il 4 gennaio 1965.

L'estro critico-poetico di Eliot assume una diversa connotazione nel momento in cui egli decide di convertirsi. Negli anni che precedono tale scelta, i suoi versi esprimono con estrema potenza un mondo privo di significato, in cui il crollo degli antichi valori tradizionali e' tale da impedire la rinascita di nuove certezze. Un mondo pienamente sintetizzato in quel poema considerato il suo piu' autentico capolavoro: "La terra desolata".


433 versi in cui la potenza linguistica si concretizza in immagini simboliche troppo spesso male interpretate dalla critica. Pietra miliare della poesia moderna, all'interno dell'opera confluiscono diversi aspetti del mito e della tradizione letteraria, della filosofia orientale, dell'antropologia, dell'ermeneutica e delle profezie bibliche: un sapere enciclopedico di straordinaria bellezza. Impossibile ignorare il grande contributo dato da Ezra Pound, al quale l'opera e' interamente dedicata. Pound, "il miglior fabbro", il lettore ideale, colui che non ha bisogno di alcuna spiegazione per comprendere l'alto significato di ogni singola parola, proprio colui che esegui' la "cesarea Operazione", ridimensionando il poema cosi' come si presenta allo stato attuale.
Con la conversione all'anglicanesimo Eliot sembra aver trovato una soluzione ai demoni che tanto lo hanno influenzato, invitando l'uomo all'umilta', al distacco ed al raccoglimento.

Propugna un metodo critico-poetico intriso di intelletto e sentimento. L'esperienza delle due guerre lo tocco' profondamente: per questo motivo cerco' di elaborare e dominare il caos generato da questi avvenimenti con la composizione di articoli e saggi critici, in cui la sua ideologia risulta sempre piu' conservatrice. Ma e' con "Tradizione e talento individuale" che Eliot esprime coerentemente la sua vera ed essenziale poetica. Il classicismo di Eliot e' lontano dall'impassibilita' dei parnassiani e dall'astratto intellettualismo di Valery. Per il poeta cio' che conta e' il senso storico che egli deve avere di se' e del proprio tempo: " la tradizione non e' un patrimonio che si possa facilmente  ereditare; chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica. Essa esige che si abbia, anzitutto, un buon senso storico (...); avere senso storico significa essere consapevoli non solo che il passato e' passato, ma che e' anche presente." E dunque: " il presente, quando sia consapevolezza, e' consapevolezza del passato in un senso e in una misura mai raggiunta come consapevolezza di se'."

Classicismo e' dunque concepire il passato come premessa organica del presente. I temi del tempo e della salvezza ricorrono costantemente nelle opere del poeta: dall'incapacita' di agire all'essere successivamente coinvolto nelle trame del proprio essere. La meditazione sulla storia e sul rapporto del divino con essa rimarra' fondamentale in Eliot, fino a costituire nei "Quattro quartetti" la spiegazione finale della sua stessa poesia. La sua razionale scelta religiosa nasce dunque dalle ceneri dell'intelletto; il sentimento del tempo e' tale per Volonta' divina.


Dall'uso del correlativo oggettivo alle polemiche antiromantiche, dalla visione tradizionale ai rapporti con illustri maestri, dalle scelte radicali ai mutamenti poetici, Eliot e' e rimarra' culmine e principio della poesia moderna, fautore "dopotutto di un grande periodo letterario." (E. Pound)


sabato 31 maggio 2014

In un Mondo che Non Ci Vuole Più


La finale. O meglio l’atto finale. Perché sembra il copione di un film in cui ci si riduce ad esaminare la scena più importante. Ma non è una pellicola, bensì una partita di calcio. Due squadre in campo,due tifoserie sugli spalti. O vittoria o sconfitta. Il palcoscenico è Roma, la capitale. Napoli da una parte,Fiorentina dall’altra.

E in mezzo? La domanda che vale un milione di euro perché del risultato sportivo se ne è parlato veramente poco e con il passare del tempo questa edizione della Coppa Italia verrà ricordata per ben altri motivi. D’altronde si sa, il calcio in Italia è uno degli argomenti che attira di più e proprio per questo motivo in tanti si sentono giustificati a giudicare quello che anche ruota intorno al calcio e che con il pallone vero e proprio sembra non avere niente a che fare. O almeno così ci vogliono far credere alcuni personaggi.  Facile quindi sentire opinioni fuori luogo fatte da persone che neanche sanno di quello che parlano.
Succede tutto nelle vicinanze dello stadio Olimpico, in una via che cade proprio a ridosso dell’impianto. Ci sono tifosi napoletani,c’è una pistola e vengono colpiti tre tifosi di loro tra cui uno rimane molto grave e ancora oggi versa in condizioni critiche. Vogliamo riassumere così ciò che è successo fuori lo stadio perché non è il nostro compito fare nomi e riportare quello che ormai tutti hanno scritto. Ovviamente cosa è successo realmente lo possono sapere solo i diretti interessati e non ci piace dare l’ennesima versione.

Quello che ci da fastidio è sentir parlare subito di alleanze tra estremisti del tifo e della politica “ultradestra” perché è la via più facile per trovare il capro espiatorio. Un disegno già visto in passato anche in occasione del raid ai danni dei tifosi del Tottenham avvenuto a Campo de’ Fiori. Di esempi ce ne sarebbero molti,tutti che hanno pesato sulla giustizia italiana, allora come oggi. Quello che notiamo è che la giustizia,qualora ci sia,è lenta,la verità risulta distorta e di certezze non ce ne sono mai. Il disegno è sempre lo stesso.

Vogliamo però focalizzarci sul movimento ultras in generale e su come si sta rapportando con i tempi di oggi. Una volta scene come quelle viste all’interno dello stadio Olimpico in occasione della finale non si sarebbero mai viste. Era impensabile qualche anno fa avere dei dialoghi con chi non la pensava come te e che invece cercava di metterti i bastoni tra le ruote. Certo sicuramente c’era molta meno repressione e le diffide non erano ancora così pesanti. Quindi vedere un ultras parlare con le forze dell’ordine e con altri funzionari dell’ordine pubblico può fare uno strano effetto. Alla base c’è appunto il discorso su cosa è veramente l’ultras. Non c’è una definizione vera e propria. Possiamo dire però che l’ultras in se per se nasce nelle strade e assume quindi regole imposte dalla strada. Se partiamo da questa affermazione allora non possiamo certo rimanere scioccati se spuntano bastoni,coltelli e pistole,sarebbe da dire che la strada è come la giungla dove vince il più forte.  


 Quando però si arriva a situazioni un po’ più pesanti allora ci si sofferma un attimo. Ed ecco qui che entrano in gioco tutti i benpensanti che vorrebbero farci la morale quando invece sono i primi che dovrebbero farsi un bell’esame di coscienza. Ci fanno quindi sorridere le parole del ministro dell’interno Angelino Alfano che afferma che lo Stato non tratta con le curve quando invece l’11 aprile si è tenuto un dibattito sulla tessera del tifoso tra tifoserie e delegazioni parlamentari,tra cui m5s,pd,fratelli d’italia,radicali. Si è cercato di affrontare il problema del fallimento di questa benedetta tessera che ha spaccato in due il movimento ultras. Se infatti all’inizio vedeva compatte quasi tutte le tifoserie d’Italia nel giudicare anticostituzionale questa carta ora le tifoserie rimaste che ancora non l’hanno sottoscritta sono pochissime. Qui non vogliamo giudicare chi sceglie una strada rispetto all’altra però è pur vero che nonostante sia stato introdotto questo strumento,gli incidenti sono continuati ad esserci,forse in numero minore,ma poi quando arriviamo all’episodio della finale di coppa Italia allora possiamo affermare che questa tessera non è servita ad evitare altri incidenti.

Il dopo Raciti è stato un periodo di dura repressione e tante curve hanno pagato con diffide il loro troppo amore per la squadra. Ora siamo di nuovo qui a sentire di ennesimi inasprimenti contro i
violenti. Già il famoso articolo 9 della tessera del tifoso è micidiale,chiunque abbia ricevuto condanne da stadio non può più assistere a manifestazioni sportive. In pratica anche chi ha ricevuto condanne e scontato il suo “peccato” è inibito per sempre dall’entrare in un impianto sportivo. E anche una sentenza non definitiva rientra nei motivi ostativi che ti bloccano nel fare la tessera del tifoso. C’è poi il caso che una persona venga diffidata per un anno,ma trascorso il periodo di fermo, il processo può durare cinque anni e quindi per altri quattro anni il soggetto è comunque inibito. Questa purtroppo è la burocrazia italiana che rallenta ogni tipo di cosa. Stiamo parlando quindi di una diffida vita natural durante. Ecco perché abbiamo assistito a manifestazioni in tutta Italia contro la tessera del tifoso. Se non fosse per questo articolo 9 sicuramente il clima sarebbe un po’ più sereno visto che i biglietti nominativi già c’erano prima e naturalmente chi è sottoposto a daspo non poteva comunque entrare fino alla scadenza di questo.

Questa tessera ha svuotato gli stadi,ha diviso i tifosi e il calcio esiste perché ci sono i tifosi,senza tifosi il calcio muore. Ci piacerebbe mollare tutto e vedere come poi si divertono con il loro giocattolo,da soli. Ci stiamo provando con il calcio popolare,riscoprendo quei vecchi valori che ti portano a frequentare le gradinate e a fare sacrifici per la tua squadra. Ci state allontanando ma combatteremo,ripartiremo dal basso ma saremo sempre vivi. Siamo consapevoli di quello che facciamo e se sbagliamo siamo pronti a pagare. Ma il nostro amore non ha prezzo, e dunque…. Vi regaleremo il nostro disprezzo!

 

martedì 15 aprile 2014

Uscire dall'Euro: Vantaggi principali


Con le prossime elezioni Europee si riaffaccia un problema a lungo discusso negli ultimi anni, quello della moneta unica e del panorama che si andrebbe a definire a fronte di un’ipotetica uscita dall’Euro da parte dell’Italia. Riguardo questo dibattito sono stati compiuti moltissimi studi e ognuno ha messo in risalto aspetti diversi della questione. Su una cosa possiamo senza dubbio concordare: la maggior parte di queste analisi (effettuate da economisti, esperti del settore e perfino premi Nobel) vede il recesso dall’eurozona come la scelta ottimale per l’Italia.        

I vantaggi derivanti dall’uscita dal’euro sono svariati, noi ci limiteremo per ora ad esporre i due più interessanti:

1.      In primis c’è da considerare la riconquista della sovranità monetaria da parte dello Stato italiano, cosa che gli consentirebbe nuovamente la possibilità di spendere a deficit, eliminando l’ostacolo costituito dalla necessità di approvvigionarsi del denaro mediante l’imposizione di tasse o la vendita di titoli di Stato sui mercati.
Oggi infatti, essendo utilizzatori di valuta ma non potendola emettere, per ogni centesimo che spendiamo dobbiamo necessariamente contrarre prestiti e i tassi d’interesse sono ovviamente sempre a nostro svantaggio.                                                          

 A questo punto è utile chiarire cosa sia la spesa a deficit: fare un deficit significa spendere più di quanto si incassa, teniamo presente poi che ad ogni deficit corrisponde sempre un surplus; vale a dire che se ad un conto corrente vengono sottratti dei soldi ad un altro conto corrente la stessa quantità di soldi viene invece accreditata. In altre parole possiamo dire che con questo processo è stato generato del lavoro; i soldi infatti vengono utilizzati per scambiare beni e servizi tra le persone, quindi un certo movimento di soldi corrisponde ad una certa quantità di lavoro.

Tutto questo per dire che la spesa a deficit non deve essere vista come un fattore negativo se lo relazioniamo ad uno Stato;  lo Stato di per sé infatti ha, teoricamente, un potere di spesa illimitato. Di fatto però l’Italia dell’euro non ha potere di spesa illimitato, noi non possiamo emettere moneta appartenendo all’eurozona ma possiamo solo farcela prestare andando ad accrescere i nostri già gravosi debiti.  Quindi per far fronte a questa situazione tanto drammatica quanto paradossale, non c’è altro modo che riottenere il controllo dell’emissione della valuta e quindi della possibilità di spendere a deficit ed eliminare buona parte della disoccupazione.

 

2.      In secondo luogo va considerata una probabile quanto realistica ripresa della produzione industriale per il nostro paese.  Secondo analisi approfondite è apparso chiaro come negli ultimi 20 anni l’Euro ha causato un trasferimento massiccio di produzione industriale da tutti i paesi periferici verso la Germania. Rimanere nel sistema dell’eurozona significherebbe continuare su questa scia, ed osservare impotenti la crescita della Germania a nostro discapito. Sciogliersi dal sistema dell’euro vorrebbe dire in parole povere subire molto meno l’influenza del gigante tedesco e potersi concentrare su una vera e non fittizia ripresa delle nostre industrie.

 

Ci siamo limitati ad illustrare quelli che sarebbero i vantaggi principali per non cadere in una noiosa arringa di un’ipotetica uscita dall’euro. Già questi da soli, infatti, a nostro parere, basterebbero a giustificare l’abbandono della moneta unica in nome di una ripresa (industriale e occupazionale) assolutamente necessaria per un Italia da troppo tempo sfruttata e lasciata ai margini della crescita europea e mondiale.

Essere contro l’Euro e contro i suoi istituti di credito privati non significa essere antieuropeisti. La nostra visione dell’Europa ci impone di difendere la sovranità politica ed economica delle nazioni per una cooperazione tra paesi più forte e più libera dagli interessi delle lobby private e internazionali.

Ci possono anche essere svantaggi per un’ipotetica uscita dall’Euro, come per esempio l’isolamento politico e magari energetico a cui possiamo andare incontro, ma questo è il prezzo che dovremo pagare per ridare lavoro e speranze ai giovani italiani. Con due mila miliardi di debito pubblico e con il Fiscal Compact sulle spalle, provano a gettarci fumo negli occhi promettendoci ottanta euro in più a fine mese. Non cascateci italiani,  il sistema sta per implodere. 



mercoledì 2 aprile 2014

Marine Le Pen: Regina d’Europa


Già nel nostro articolo di Aprile 2012 evidenziammo i grandi risultati elettorali del Front National alle elezioni nazionali (che proclamarono presidente della Repubblica francese il “socialista” Hollande) poiché raggiunse il massimo storico del 17,8%. Sottolineammo anche come nonostante il pessimo sistema elettorale francese, con un ballottaggio al secondo turno messo a punto per punire i partiti non conformi al liberismo, i suo voti crescevano di tornata elettorale in tornata elettorale. Già nel 2002, il Front National fu sconfitto solo de Chirac in quanto i partiti di dentro destra e centro sinistra, nella fase finale del ballottaggio, fecero confluire i loro voti sul presidente uscente per non far eleggere il nazionalista Jean Marie Pen (padre della odierna leader del “Front National”, Marine Le Pen).

Dunque non si siamo rimasti certo stupiti quando pochi giorni fa il Front National di Marine le Pen ha conquistato ben tredici comuni stracciando il vecchio record di quattro comuni conquistati nel 1995 e nel 1997, nonostante il partito nazionalista francese fosse candidato in soli 600 comuni su oltre 3.600 totali.

Punti cardine del programma di Le Pen sono l’uscita dall’Euro e dall’Unione Europea tramite referendum nazionali consultivi e abrogativi e ritorno alla sovranità monetaria, politica interna di protezionismo del’industria pubblica francese che negli ultimi decenni ha subito un processo graduale di smantellamento, cancellazione degli accordi di Schengen per diminuire l’aberrante flusso immigratorio che sta contaminando la Francia, la priorità e la superiorità delle norme interne su quelle internazionali, freno totale ai piani di privatizzazioni delle aziende francesi.
Grazie a questi punti programmatici radicali il Front National si colloca nelle proiezioni elettorali come il primo partito nazionale sfiorando di poco il 20%. Ben più indietro si collocano “UMP” ( il centro Destra) al 17%   e “PS” (il centro sinistra) al 15%. Senza considerare il fatto che tra i giovani dai 18 ai 25 anni, Le Pen è il leader politico più apprezzato e votato.

In questo scenario di assoluto ottimismo, con previsioni solari per noi contrari a questa Unione Europea comandata da lobby finanziarie e banche spietate,  l’unica nota negativa, paradossalmente viene sempre e comunque dai media e dalla politica italiana, perché come al solito, non hanno perso l’occasione per accendere il cervello e chiudere la bocca. I primi, sempre pronti a etichettare i movimenti antiliberali come razzisti, xenofobi, omofobi e chi più ne ha più ne metta per servire il padrone che li paga. I secondi sempre pronti a strumentalizzare le vittorie altrui per gettarsi sul carro dei vincitori. Addirittura partiti che propugnano la frantumazione dell’unità statale hanno provato a chiedere strane alleanze in chiave antieuropea ai nazionalisti francesi. Oppure partiti che fino a ieri sedevano al tavolo delle grandi coalizioni liberal-democratiche italiane, complici di governi illegittimi e filo europeisti, oggi improvvisamente, a due mesi dalle elezioni per il Parlamento Europeo, hanno trovato nella battaglia contro l’euro un valido motivo per racimolare qualche voto in più e per chiedere anomale alleanze con i patrioti transalpini.

Insomma, mentre Marine Le Pen sta per essere incoronata regina d’Europa, loro non perdono occasione di dimostrarsi degli umili servitori.

Ad Maiora Marine!