mercoledì 13 gennaio 2016

In lode di Hiroo Onoda




“E ora io solo tornavo, lasciando gli spiriti dei miei insostituibili camerati sull’Isola. Tornavo in un Giappone che aveva perso la guerra trent’anni prima. Tornavo nella terra dei miei avi, per la quale avevo combattuto fino al giorno prima. Se non ci fosse stata della gente intorno a me, avrei battuto il capo per terra, gemendo.
Per la prima volta, osservavo dall’alto il mio campo di battaglia.
Perché mai avevo combattuto laggiù per trent’anni? Per chi avevo combattuto? In nome di quale cause?
La baia di Manila era inondata degli ultimi raggi di sole.”
(“Dietro le linee”, edizioni Ar)

Parole del genere, pronunciate da Hiroo Onoda assumono tutt’altro significato se si conosce la storia della vita del soldato giapponese per eccellenza.
La sua carriera militare incomincia all’età di vent’anni nel 1942. Pochi anni prima per motivi lavorativi si era dovuto trasferire in Cina ed andò a trovare il fratello ad Hankow, già ufficiale, che preoccupato lo rimproverò: <<Non ti rendi conto che potresti rimetterci la pelle qui in Cina?>>, Hiroo prontamente rispose <<Se un uomo non è disposto ad accettare qualche rischio, non combinerà mai niente!>>.
Nel 1944 è già ufficiale e nel dicembre dello stesso anno, addestrato precisamente alla guerriglia, nella cittadina di Lipe nelle Filippine, ricevette i suoi ordini fatali dal maggiore Tanigushi: guidare la guarnigione di Lubang in operazioni di commando. L’obiettivo era quello di ostacolare l’attacco nemico su Luzon, distruggendo il campo d’aviazione ed il molo del porto di Lubang dapprima per poi organizzare la guerra di guerriglia. <<Ce la farò. Anche se non potrò avere noci di cocco, anche se dovrò nutrirmi di erbacce , ce la farò! Gli ordini che ho ricevuto sono questi, e li eseguirò!>>.
Ai suoi ordini Onoda non contravverrà per i successivi trent’anni anche quando i soldati del suo plotone cadranno sotto i colpi nemici, anche quando rimarranno lui e pochi suoi camerati a difesa dell’isola, anche quando rimarrà l’ultimo combattente.
Il suo addestramento prevedeva che egli resistesse nel caso di sbarco degli americani nell’isola di Lubang, resistere ad ogni costo in attesa di nuovi ordini, senza cedere in alcun modo a qualsiasi ingannevole invito alla resa.


Nel 1950 nella giungla sono rimasti solo Onoda e due suoi “sottoposti”, Shimada e Kozuka. Pochi mesi prima il soldato semplice Akatsu si era arreso ai Filippini ed incominciarono ad apparire messaggi dallo stesso firmati <<Quando mi sono arreso, i soldati filippini mi hanno accolto come un amico>>. Ma questo non scosse minimamente il morale dei tre, che anzi ad ogni volantino del nemico si rincuoravano che il momento dello sbarco dei Giapponesi a Lubang si avvicinasse sempre più, d’altronde per i tre non poteva esistere altro esito al conflitto per il paese dell’Imperatore che non fosse la Vittoria. Quattro anni dopo però, dopo dieci anni di combattimento nella giungla cadrà, sotto i colpi dei soldati filippini Shimada ed Onoda rimase con Kozuka, <<Io e Kozuka giurammo di comune accordo che in un modo o nell’altro avremmo vendicato la morte di Shimada>>.
Per anni il governo giapponese tentò invano di convincere i due soldati, attraverso volantini, giornali, foto che ritraevano o raccontavano la situazione del Giappone e del resto del mondo dopo la Guerra, persino i parenti di Onoda e Kozuka si recarono sull’isola nel disperativo tentativo di persuaderli ma essi rinnovavano ogni giorno il giuramento di guerra fatto con Shimada quindici anni prima e non era quindi contemplata altra opzione che non fosse la guerra.
<<Non dimenticherò mai il 19 ottobre 1972, perché è questo il giorno in cui Kozuka fu ucciso>>, quel giorno a causa di un conflitto a fuoco con la polizia filippina Kozuka morirà colpito prima alla spalla e poi al petto dai colpi del nemico.
<<Ormai ero rimasto da solo. Shimada era stato ucciso. Kozuka era stato ucciso. La prossima volta sarebbe toccato a me. Tuttavia giurai a me stesso che avrei venduto cara la pelle>>.

Per due anni Onoda continuò la sua guerra, fino a quando nel 1974 il suo maggiore in persona Taniguchi non si recherà sull’isola per trasmettere oralmente, come di regola per i reparti speciali, gli ordini per il soldato giapponese: <<La mia missione militare era la mia vita e la mia ragione d’essere. Ora quella vita stava per finire, e quella ragione d’essere mi era stata bruscamente tolta>>.
Non è facile comprendere da queste poche righe la guerra di Onoda, per questo sicuramente consigliamo la lettura del libro scritto dal soldato stesso edito da Edizioni Ar “Dietro le linee”. Leggendolo sicuramente esso ci catapulta idealmente nella trincea di Onoda, Shimada e Kozuka e così, per quanto possibile, apprezzare un uomo che nemmeno per un istante ha creduto nella sconfitta, che non ha tradito i suoi fratelli e che per questo, ha conosciuto la vittoria che il suo paese non ha conseguito militarmente, perché Hiroo Onoda non si è mai arreso.