sabato 27 aprile 2013

L' Europa assadista


Il 15 marzo 2011 è una data che ben pochi conoscono ma che ha rappresentato un punto di svolta per le politiche estere internazionali. E’ infatti da due anni a questa parte che in Siria è scoppiato un conflitto dilaniante che ha costretto i paesi di tutti il mondo a “schierarsi” con una fazione o con l’altra: da una parte l’Esercito Arabo Siriano a favore del governo di Bashar Al Assad, dall’altra l’Esercito Libero Siriano spalleggiato in Oriente dalle frange terroristiche islamiche ed in Occidente dalle più grandi potenze mondiali. L’Europa ha deciso di appoggiare i cosiddetti ribelli e disconoscere il legittimo governo di Assad, dipinto dai media come un criminale assassino che accaparra ricchezze mentre il suo popolo muore per le strade.
Dopo mesi di bugie e mistificazioni però alcuni attivisti europei hanno deciso di schierarsi contro tutto ciò e rendere onore alla lotta del popolo siriano e del suo presidente. Da questa idea nasce nei primi mesi del 2013 il Fronte Europeo di solidarietà per la Siria, che in poco tempo ha raccolto adesioni in Europa e nel mondo. Esso accoglie al suo interno tutti coloro che amano la Siria, che sostengono le ragioni del presidente Assad e solidarizzano con la nazione siriana e il suo esercito. Dalla spinta volontaristica di pochi elementi oggi questo Fronte conta attivisti e simpatizzanti in tutto il mondo che fin da subito hanno dimostrato il loro appoggio alla causa con importanti azioni. Numerose sono state le affissioni di materiale in tutta la Grecia da Atene a Tessalonica passando per Corfù, Corinto, Nicosia, Volo e Lamia, così come in Spagna(Santander, Siviglia, Madrid, Burgos, Soria e Mèrida), in Romania, in Belgio ed a Malta.
 Anche in Italia molti volontari, assieme alle comunità siriane presenti nei territori, hanno dato vita ad una serie di iniziative che hanno coinvolto ogni ambito immaginabile. Basti pensare alle bandiere siriane fieramente sventolate negli stadi di calcio o durante l’Angelus del Papa a Roma, alle svariate conferenze organizzate anche nelle scuole superiori, alle raccolte di fondi per finanziare direttamente l’esercito siriano, fino alla contro-manifestazione del 14 Aprile in cui una trentina di attivisti ha deciso di dimostrare il proprio dissenso nei confronti di chi ostenta solidarietà e supporto a chi da due anni si macchia di crimini immondi contro il popolo siriano.
Oggi il Fronte ha deciso di dare una svolta a questa battaglia ed ha indotto una manifestazione europea per il 15 Giugno a Roma. Le adesioni sono arrivati da ogni angolo della terra(Canada, Irlanda, Australia, Germania, Svezia, Danimarca, Olanda, Finlandia, Ucraina, Gran Bretagna) e sono in continuo aumento. Essa rappresenta un’occasione fondamentale per dimostrare ancora una volta al popolo siriano ed al suo eroico esercito che in questa guerra non sono soli e che la vera Europa supporta la loro lotta contro tutto e tutti. Partecipare il 15 Giugno è quindi di vitale importanza perché oggi difendere la Siria significa difendere, oltre i confini territoriali, la propria patria.
Un grido schiaccerà i nemici della Siria: ALLAH SURYA BASHAR WA BASS!

giovedì 25 aprile 2013

Verba Volant, Politicus Manent: Buon 25 Aprile




Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istat, la disoccupazione in Italia si attesterebbe al 11,6%, mentre quella giovanile supera addirittura il 30%. Le delocalizzazioni delle nostre industrie all’estero hanno, inoltre, provocato la perdita di 35000 posti di lavoro in soli due anni. Secondo la Confcommercio, invece, sono ben quattro milioni i poveri in Italia. Quattro milioni di cittadini italiani che non riescono più a sopravvivere dopo l’inasprimento del carico fiscale e la continua crescita della precarietà. Sempre secondo la Confcommercio una famiglia italiana su due non arriva alla metà del mese. Soltanto l’1% è invulnerabile alla crisi. Per l’Inps gli esodati sono molti di più di quelli calcolati dal ministro Fornero e il fondo di solidarietà non basta a coprire le loro pensioni. Per la CGIL sono quasi cinque milioni i lavoratori precari in Italia. Le famiglie hanno perso il loro valore d’acquisto in quanto hanno detto addio ai propri risparmi. Infine, le bollette della luce e del gas non sono mai state cosi salate nella storia d’Italia.

In questo scenario apocalittico, non può essere poi di certo dimenticata la politica italiana. Con i suoi 630 deputati e 315 senatori, con i suoi milionari rimborsi elettorali ai partiti e con le sue infinite spese di mantenimento (auto blu, pensioni d’oro, ecc. ecc.) il quadro diviene sempre più deprimente. La spesa pubblica italiana è ipersatura. È un chiaro insulto alla situazione drammatica delle famiglie italiane.

Eppure, come da solito e decennale copione, ogni buon politico, quindi democratico, moderato e liberale con la giacca, la cravatta e il capello pettinato, e di conseguenza avverso agli “estremismi” e al “populismo” in jeans e  felpa, si ritiene contrario a questa situazione. Ogni buon uomo di partito, solo due mesi fa, infatti, in vista delle elezioni, si era detto assolutamente favorevole all’immediato taglio dei costi della politica (partendo innanzitutto dal proprio salario, passando per il taglio al rimborso elettorale per i partiti e arrivando fino all’abbattimento delle pensioni d’oro e delle auto blu). Passati due mesi, e soprattutto passate le elezioni, tutto ciò stranamente non si è ancora avverato. Ma poche e isolate restano le voci che ricordano a questi intoccabili individui quanto promesso in precedenza.
D’altronde quanto sopra citato non sembra oggi essere una battaglia da portare in parlamento e sulla prima pagina dei quotidiani. Prima della povertà delle famiglie, del sovraccarico fiscale, della disoccupazione e precarietà giovanile, va formato un nuovo governo di responsabilità nazionale anche a costo di scendere a compromessi con l’acerrimo avversario del PD o del PDL. Le elezioni vanno scongiurate, rischierebbero infatti di fargli perdere il posto come alcuni dei loro colleghi in precedenza. Rischierebbero di non trarne vantaggio da questo circo che è la politica italiana. Ma prima ancora di accordarsi su come mantenere i propri privilegi va nominato il Presidente della Repubblica. Questa più che onorevole carica democratica che costa ai cittadini più di 250 mila euro anno, è simbolo di Pace, Libertà e Democrazia. Una carica che firma patti di stabilità con l’Europa costandoci oltre cento miliardi di euro in poco meno di venti anni, che si aumenta lo stipendio in un periodo di collasso economico e finanziario, una carica che permette ad un paese come l’India di arrestare due nostri soldati rei di aver ucciso due pescatori in acque sottoposte al diritto internazionale senza alzare mai la voce. Insomma va nominata una carica fantoccio. Un pupazzo democratico da esibire in giro per il mondo come simbolo di anti sovranità dell’Italia. Un anziano borghese che il 25 Aprile pronuncerà il solito discorso di vittoria e liberazione contro il potere totalitario nazi fascista in Italia augurandosi che questa pace, questa libertà e questa democrazia restino intatte fino alla fine dei tempi. Augurandosi che il populismo sia sconfitto in quanto figlio della demagogia. Augurandosi che la politica italiana trovi una soluzione di unità e compattezza per risolvere i problemi del paese e per spegnere definitivamente questi  sentimenti di rivoluzione.
In definiva quindi passano gli anni, i lustri, i decenni; passano le parole, i programmi e le promesse elettorali ma ciò che rimane sono sempre loro: i politici italiani in giacca e cravatta. Simboli mafiosi, corrotti e succubi di un paese in ginocchio.
Il 25 Aprile pensa a chi ha vinto la guerra  prima di festeggiare.

sabato 20 aprile 2013

“Chavez no soy yo, Chavez somos todos”

Hugo Chavez viene ricordato con amore dal suo popolo e muore lasciando un vero esempio di Stato sociale sovrano e indipendente, quello vero che va contro la distorsione del neoliberalismo carnefice di popoli e della giustizia sociale.
Egli è definito uomo di sinistra ma anche colui che ha ridato dignità agli strati più poveri e disagiati della popolazione , ha poggiato la sua azione di governo su un ideologia del tutto nuova, “bolivariana”.
Dopo aver fondato un movimento interno alle forze armate il Comandante tentò un colpo di stato nel ’92 che però gli fece guadagnare due anni di prigione, fino ad arrivare alla guida del Venezuela nel 1999.
Chavez nei suoi 14 anni di governo ha proiettato dal Venezuela in tutto il mondo una grande luce di speranza in un momento particolarmente difficile per l’umanità. Tutto ciò è stato possibile grazie al raggiungimento materiale di quell’idea di Stato Sociale, tanto decantato dagli Stati Europei, in particolare avviando il processo di nazionalizzazione delle risorse del paese, sottraendole allo sfruttamento delle grandi potenze internazionali statunitensi, riportando  finalmente le ricchezze petrolifere ad essere distribuite con giustizia.
E’ l’uomo che ha ridato la terra ai contadini supportandoli con attrezzature, strumenti e diffusione di tecniche e conoscenze agricole per rendere i beneficiari autonomi ed evitare che le terre rivenissero vendute ai vecchi latifondisti.
E’ colui che attraverso l’assistenza pubblica ha ridato dignità agli strati più poveri della popolazione diminuendo la povertà media dal 50,5 % al 23 % per poi arrivare a quella estrema dal 23 % all’8 % attraverso le sue missioni sociali come la “la Misìon Barrio Adentro” garantendo la sanità di base, la Mìsion Vivenda garantendo il diritto alla casa , la Mìsion Ribas garantendo l’istruzione superiore e l’università aperta a tutti senza che vi sia una retta o tassa annuale previsti inoltre per gli studenti trasporti  e pasti gratuiti.

Attraverso queste reali e concrete missioni in Venezuela l’analfabetismo è sconfitto, la sanità di base è garantita, la casa è un diritto. Le istituzioni sono al servizio del popolo e della sua sicurezza alimentare medica ed educativa.
Il salario in Venezuela è il secondo più alto nell’America Latina, la bolletta del gas è la più economica del mondo e l’elettricità è di 1,5 € al mese.
In politica estera ha stretto rapporti con Cuba, Iran e Cina diventando così il nemico numero uno del governo di Washington che include il Venezuela nei cosiddetti “Stati non allineati” o meglio detti “Stati canaglia”.
Il suo amore per il proprio popolo unito al suo carisma diedero il via ad un esperimento di riunione Sudamericana  attraverso il progetto ALBA (Aletrantiva Bolivariana para America Latina y el Caribe) l’UNASUR (Unione delle nazioni Sudamericane) facenti parte oggi Brasile, Nicaragua, Bolivia, Ecuador, Uruguay, Argentina. Lo scopo primario era di creare reciproca solidarietà economica e politica tra i vari Paesi sudamericani, così da poter contrastare il peso colonialista e imperialista nord americano che continuava e continua a schiacciare con le sue politiche l’intera popolazione, svilendo il concetto di Sovranità e indipendenza Nazionale.
Però se tutto questo ha voluto dire amore per il proprio popolo, a livello internazionale ha accresciuto i suoi nemici, che per interessi economici, politici e sociali, hanno definito quest’uomo un dittatore fino  forse a desiderarne l’eliminazione, fregandosene e nascondendo tutto il bene donato alla sua terra calpestando ogni codice etico, morale e universale.

Chavez lascia alla sua terra, all’interno del Sudamerica e al resto del mondo il suo esempio di misura anti-imperialista, un collante per diverse entità politiche da prendere come esempio.

Come spesso accade però volendo uccidere un uomo scomodo hanno involontariamente creato un mito.

mercoledì 17 aprile 2013

Delocalizzazioni Selvagge


C’era una volta l’industria italiana,o meglio,c’era una volta lo stabilimento che produceva in Italia. Il periodo della crisi sembra non finire mai e l’industria italiana appare in chiara difficoltà. Chiudono le diverse filiali presenti sul territorio italiano,e si trasferiscono oltreconfine;come si suol dire si “delocalizza”. Ma perchè? Come risposta immediata gli imprenditori affermano che è un modo per abbattere i costi di produzione,quindi facendo uso di manodopera a basso costo. Ma un altro motivo è sicuramente che molti Paesi adottano un regime fiscale più conveniente rispetto all’Italia. Considerando anche leggi meno severe sulla salvaguardia dell’ambiente e presenza di materie prime nella zona il gioco è fatto. Purtroppo abbiamo l’altra faccia della medaglia che è molto negativa per la nostra nazione.
Molti sono gli stabilimenti industriali in Italia,alcuni dei quali sono prettamente facenti riferimento ad aziende native italiane,mentre altri ancora sono filiali di aziende straniere che operano sul nostro territorio. Ed è il caso della Bridgestone,l’azienda giapponese produttrice di pneumatici che sta vivendo in Italia un periodo negativo causato prevalentemente dalla crisi che sta attraversando il nostro Paese. Come conseguenza l’azienda ha comunicato di voler chiudere lo stabilimento italiano di Bari entro il 2014. Viene quindi di nuovo coinvolto il sud Italia già recentemente tirato in ballo con il caso Ilva di Taranto. Siamo di nuovo di fronte alla concreta possibilità di svendita di un’azienda operante nel nostro territorio. Analizzando più in dettaglio la situazione dello stabilimento di Bari risaltano problematiche legate alla presenza di amianto e questo si ricollega al nostro discorso iniziale sul cercare all’estero territori che offrano una maggior sicurezza ambientale con regole meno ferree. Quindi lo stabilimento di Modugno(Bari) che produce pneumatici di “bassa gamma”,come si sente spesso,va chiudendo in favore di stabilimenti che produrrebbero pneumatici di qualità elevata e le solite scuse sono le poche vendite,la concorrenza e i costi di produzione elevati. Ma la verità è che si preferisce produrre all’estero proprio perché il lavoratore viene pagato una miseria e quindi sfruttato. Ma come sempre i problemi vanno ricercati in più ambiti e anche il fatto che i sindacati non sono molto vicini ai veri problemi dei lavoratori facilita questa regressione industriale italiana. Occorrerebbe la rottura tra sindacati e vecchia politica, che ancora continua a manipolare le menti degli Italiani. Ci vorrebbe una decisa presa di posizione a sostegno delle famiglie che rischiano di rimanere senza lavoro. Addirittura Vendola è riuscito a dire che così non può andare,ma le sue resteranno solo parole,ora abbiamo un disperato bisogno di fatti. E il sindaco di Bari come prima mossa ha deciso l’occupazione dello stabilimento,come dire…chi ben comincia è a metà dell’opera.

Purtroppo il caso Bridgestone non è l’unico in Italia e l’elenco è lunghissimo. Entrano in gioco le aziende italiane che quindi sono nate in Italia. C’è l’Omsa,l’azienda che produce calze,l’azienda della Golden Lady per capirci,che vuole attuare un licenziamento collettivo e trasferirsi all’estero.

C’è poi la Fiat che vuole andare a produrre in Serbia,nello stabilimento di Kragujevac dove il salario del singolo operaio sarebbe molto al di sotto rispetto a quello di un lavoratore torinese. L’accordo prevede che il Lingotto non debba pagare tasse ne al governo di Belgrado ne al comune di Kragujevac,ecco trovato il motivo principale per fuggire dall’Italia…e scusate se è poco!!!
Chiusura di stabilimenti e prolungamento della cassa di integrazione per il lavoratori del Lingotto sono inaccettabili. Marchionne purtroppo non esclude la chiusura. Sono molti i dipendenti a rischio,i settemila di Melfi,i cinquemila di Cassino,i quasi seimila di Mirafiori e i seimiladuecento della Sevel di Atessa. Numeri che fanno venire i brividi. E l’apertura dello stabilimento Fiat in Brasile non prelude a nulla di buono. Una norma del 1980 prevede che le case automobilistiche che vanno ad investire in Brasile possano accedere a finanziamenti e agevolazioni fiscali. In pratica le aziende italiane in Brasile riescono a raggiungere accordi per non pagare tasse sugli utili almeno per un certo periodo di anni. E qui qualche sospetto comincia allora a sorgere.

C’è poi la Bialetti,l’azienda della moka che si è venduta alla concorrenza turca…bye bye anche alla caffettiera italiana per eccellenza.

I dati poi parlano chiaro,secondo l’Istat da marzo 2009 a marzo 2010,cioè in un anno,367.000 persone che lavoravano in Italia sono emigrate all’estero. Perfino i call-center,simbolo massimo del lavoro precario,stanno chiudendo filiali in Italia,si parla qui di 5.000 posti di lavoro. Tutto ciò è vergognoso.

Come possiamo notare,il fenomeno della delocalizzazione non è nient’altro che la conseguenza di quel capitalismo che tanto sta a cuore a molti e che toglie sempre più visibilità alla nostra nazione in favore di culture tra le più variegate. Perdiamo l’identità e la maggior parte delle persone non se ne accorge perché vive questo declino quotidianamente. La nostra produzione italiana va all’estero e questo purtroppo è un dato di fatto. La rivoluzione che tutti noi sogniamo raccoglie anche questo aspetto e sicuramente rappresenta un tassello fondamentale di tutto quel mosaico che stiamo cercando di ricomporre. Chiediamo per questo la nazionalizzazione delle aziende perché il motore pulsante della nazione è l’industria,è da qui che può e deve nascere il benessere del Paese.