domenica 25 ottobre 2015

Sintesi del Sesto Appuntamento con Gymnasium


Martedì 8 Settembre, data infausta per la nostra terra , ha avuto luogo l’ultimo appuntamento del Centro Studi Gymnasium presso “L’Universale”.
Dopo una doverosa parentesi sull’accaduto del 8 Settembre, gli argomenti svolti sono stati l’omicidio Gentile e la stage di Codevigo.
Giovanni Gentile, nasce a Castelvetrano il 29 Maggio 1875,  fu un fascista liberale e considerato uno dei pochi che avrebbe potuto gestire l’Italia nel dopo guerra. Proprio a causa di questa sua capacità, della sua grande cultura e del suo grande senso di umanità Giovanni Gentile venne assassinato. Testimonianza dei suoi grandi progetti per l’Italia, fu il discorso del 24 Giugno del 1943 al Campidoglio, pochi giorni prima dello sbarco degli americani in Sicilia. Il suo intervento  si basava sulla difesa della nostra identità ma anche su un profondo senso di pacificazione. Il 15 Aprile del 1944 Giovanni Gentile venne assassinato.
La strage di Codevigo, avvenuta tra il 29 Aprile e il 15 Maggio del 1945, segnò una tragica pagina della nostra storia che fu per molto tempo tenuta nascosta.

L’IIX armata britannica affiancata dal gruppo di combattimento di Verona, attraversava il Po’ in marcia verso Nord, a guerra praticamente finita. I cosiddetti “liberatori”, arrivati a Codevigo il 29 Aprile, per prima cosa uccisero la maestra del paese e altre tre persone. Successivamente si fecero dare degli elenchi dal comitato di liberazione nazionale, dei fascisti fatti precedentemente prigionieri. Li unirono in un solo gruppo e gli promisero di portarli a Verona per essere processati. Nessun fascista arrivò mai a Verona, ma vennero tutti uccisi a Codevigo e i loro corpi buttati e abbandonati nei fiumi.

giovedì 22 ottobre 2015

Pressione fiscale all'italiana

Ormai è cosa risaputa che in Italia la pressione fiscale abbia raggiunto livelli inaccettabili che stanno sempre più schiacciando famiglie e piccole-medie imprese. Ne abbiamo parlato già in passato e ne stiamo parlando in questo bimestre. Poche sono state le iniziative governative atte ad inventire il trend di crescita delle tasse e a finanziare l'industria, vero motore di un paese. Che sia frutto di un disegno più alto, non è dato saperlo con certezza, ma certo ormai è difficile non pensare che ci sia qualcosa sotto. Non serve una laurea in economia e commercio per capire che l'austerità non porta benefici all'economia reale. Non serve una laurea in scienze politiche per capire che l'impoverimento porta malumore sociale e quindi instabilità politica. Eppure i sapientoni dell'alta politica italiana continuano a fare finta di nulla...

Secondo i calcoli dell'Ufficio studi Confcommercio, il peso del fisco in Italia è al 53,2% del Pil. La cifra più alta del mondo. Più delle storiche alte pressioni fiscali danese o francese. Sempre secondo questi recenti dati, a fronte di un aumento della pressione fiscale in Italia del 5% dal 2000 al 2013, il Pil procapite è sceso del 7%. Insomma, aumentano le tasse e aumentano i danni. E lo sapete qual è il bello? Che abbiamo avuto anche governi "tecnici" con gente lureata alla Bocconi che millantava titoli di studio per risolvere problematiche della nazione. Ma andiamo avanti...


Pochi giorni fa il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il ministro dell'economia Padoan hanno illustrato quelli che sono i loro progetti di finanziaria per la fine dell'anno. Lo hanno chiamato "Patto con gli italiani". Praticamente, secondo loro, gli italiani rinnoveranno loro la fiducia elettorale. Anzi gliela concederanno per la prima volta, visto che sono al governo solo grazie a un ricchissimo quanto inutile ottantenne di nome Giorgio Napolitano, per gli amici "Re Giorgio", mentre il governo si impegnerà ad abbassare le tasse di cinquanta miliardi in cinque anni. Prima via le tasse sulla casa (che loro votarono, sempre sotto il potere di Re Giorgio), successivamente diminuizione dell'Ires, e infine tagli ll'irpef. Insomma un garande impegno che è costato al duo Renzi-Padon ben sei mesi di ricerca delle coperture per questi cinquanta miliardi. Finalmente Renzi ha trovato un altro motivo per apire bocca e vantarsi di risultati ancora mai ottenuti. Non a caso sulle coperture ancora non c'è certezza (sei mesi ci hanno messo per cercarle). L'unico dato che sappiamo è che le accise aumenteranno, mentre nel caso in cui il governo non coprisse la manovra, l'IVA aumenterebbe di nuovo (la clausola l'ha inserita il governo stesso l'anno scorso col bonus degli ottanta euro). Ma uno pensa: va bè ma dietro ogni finanziaria ci sono previsioni e ogni governo alla fine ha coperto la propria manovra, anche perchè ormai è l'Europa che ci controlla. Bene, a queste persone noi rispondiamo che solo l'anno scorso il governo Renzi fece delle previsioni di Spending Review che non diedero i frutti sperati (tra cui l'aumento delle tasse sulle rendite finanziarie)e che quindi per mantenere gli ottanta euro di bonus (o paghetta, come preferite chiamarla) dovette ricorrere a drammatici tagli, tra cui quelli alla sanità e al fondo per i disabili, ormai sempre più asciutto. Chiaramente con il benestare dell'Europa...


In poche parole, con un velo di umorismo, abbiamo voluto sottolineare un dato di prima importanza sia politica che economica: siamo in mano a degli incapaci, camerieri dell'alta finanza mondiale, travestiti da professoroni universitari impegnati quotidianamente a dirci cosa dobbiamo pensare e perchè farlo. E soprattutto di non fare i populisti e di credere nelle loro capacità di problem solving. Perchè loro sono laureati alla Bocconi, noi al massimo all'università pubblica. E i frutti del loro lavoro si vedono tutti....

venerdì 16 ottobre 2015

La Pressione Fiscale Aumenterà, Nonostante Quello che dice Renzi

Tornare al passato per guardare al futuro riscoprendo il prestigio della nostra Nazione: senza ombra di dubbio in questa semplice frase è racchiusa l'essenza di ciò che potrebbe essere, quell'ideale, quello spirito che quotidianamente ci spinge a credere ancor più fermamente nelle nostre idee, nelle nostre convinzioni. Del passato dovremmo riprendere i fuochi per risollevare le sorti del nostro paese, il cui destino continua ad essere manovrato dai soliti burattini al governo, fantocci a loro volta nelle mani di un sistema scellerato e deleterio. Il passato dovrebbe esser quel vettore, quel punto di riferimento con cui confrontarsi, rintracciando negli esempi trascorsi, soluzioni che potrebbero essere facilmente messe in pratica per risolvere problematiche quanto mai attuali. Dinamiche che evidentemente continuano a sfuggire a chi da decenni governa la nostra Italia, a chi da fin troppo tempo ha condannato ed oscurato la Bellezza e la Grandezza del paese, solo ed esclusivamente per un proprio tornaconto personale, alimentando il rancore degli italiani, delusi ed inferociti per le continue prese in giro. 

Negli anni passati i problemi del territorio si risolvevano applicando una serie di riforme politiche concrete, mirate a favorire il benessere dei singoli cittadini: esempio lampante riguarda la questione economica. Decenni or sono le crisi economiche furono districate trasformando e modificando l'assetto italiano in modo da bloccare la crescita, ad esempio, della pressione fiscale, tema attualissimo, incentivando inoltre diverse attività. Oggi la situazione appare completamente ribaltata:ormai si percepisce veramente quella voluta sensazione di repressione del diritto ad essere italiani. Chi poi, altro non fa che aumentare questo clima di insoddisfazione, è certamente Renzi, con tanto di squadra al seguito, che in così poco tempo è riuscito ad affondare con la sua più che nota  politica criminale delle promesse, la situazione, anche e soprattutto economica della nazione. Un problema che sta diventando realmente ingestibile, e che lo stesso Premier continua a trascurare, millantando risoluzioni inefficienti, riguarda appunto la questione della pressione fiscale. L'Italia non è solamente ai primi posti nel mondo per ciò che concerne l'aumento di questo valore, ma continua ad esser considerata il fanalino di coda nei confronti degli altri paesi europei. Probabilmente, nei suoi squallidi sogni di gloria, il "caro" Renzi non ha considerato la crescita esponenziale del debito pubblico, che continua ad essere davvero troppo alto alimentando un forte rischio di inversione di tendenza degli attuali bassi tassi di interesse. 

Che la situazione economica non rispetti minimamente ciò che Renzi&Co. proclamano a gran voce davanti le telecamere delle più svariate trasmissioni televisive, è sotto gli occhi di tutti: a pagarne le conseguenze peggiori sono gli onesti contribuenti, quei lavoratori che giorno dopo giorno vedono sfumare i propri diritti, quei tanti cittadini italiani obbligati a chiudere la propria attività commerciale perché costretti a pagare lo scotto di chi si comporta in maniera scorretta.

 E c'è di più: è paradossalmente aumentato a dismisura il numero degli sfiduciati, ovvero di tutti coloro che il lavoro non lo cercano neanche più, o delle donne che dopo la gravidanza non riprendono la loro consueta attività lavorativa. E in tutto questo il Premier cosa fa? Continua a farsi "bello" agli occhi di chi in realtà può far benissimo a meno di lui, spendendo somme capitali, e promettendo un'Italia che va a rotoli. Recentemente ha addirittura annunciato che il Pil crescerà nel 2015 ancor più di quanto previsto nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def). E userà questo nuovo margine per tagliare l'Ires già dal 2016, e non come era stato previsto, a partire dal 2017. Secondo Renzi questa operazione farà diminuire la pressione fiscale. Ecco appunto, secondo lui. Sì perché quello che è scritto nei documenti ufficiali del governo racconta un'altra storia: la pressione fiscale aumenterà ancor di più nel triennio 2015-2017. Anzi, è già aumentata di ben tre decimali (dal 43,4% al 43,7%) dal 2014 al 2015, durante l'anno dei famosi 80 euro. Secondo la Nota del Def infatti, la pressione fiscale crescerà dal 43,7% del 2015 al 44,2% del 2016 e ancora fino al 44,3% del 2017. Altro che abbassare le tasse! Queste potrebbero calare leggermente se il governo disinnescasse davvero le clausole di salvaguardia che prevedono l'aumento dell'Iva e delle accise. Ma ovviamente nei documenti che sono stati presentati non vi è traccia di come effettuare questi cambiamenti, molto probabilmente perché non si sa da che parte cominciare. 

Renzi dunque continua a prenderci in giro; così facendo, in poco tempo, molti più italiani si ritroveranno nel guado, costretti da queste miopi visioni del Presidente che incessantemente sogna un futuro fin troppo incerto. Possibile che a nessuno sia venuto in mente che per risolvere queste questioni sarebbe opportuno investire tempo e risorse nelle politiche sociali, garantendo così una possibilissima via di salvezza per la Nazione? Evidentemente no, o forse, volutamente no.

sabato 10 ottobre 2015

Come uscimmo dalla morsa della (re)pressione fiscale



Spesso tanti di noi pensano che la ricchezza equivalga automaticamente alla felicità. E spesso la  ricchezza oscura aspetti più importanti della nostra vita . E quando il materialismo supera lo spirito possiamo affermare che stiamo andando verso una strada sbagliata. Il nostro compito è quello di dare importanza al denaro, senza trascurare quei valori con cui siamo cresciuti. Ecco quindi l’importanza del lavoro e del guadagno. Con il lavoro poi, paghiamo le tasse per avere dei servizi pubblici erogati dalle istituzioni. Ma funziona così facilmente? No. Almeno per quanto riguarda l'Italia. Lo Stato italiano, che va a prelevare quasi la metà del reddito prodotto da ciascuno di noi, utilizza fondi pubblici per finanziare le proprie attività che non sempre vanno a favore dei citttadini. Questa è ad oggi la situazione del nostro Paese. E più si va avanti con gli anni, più la pressione fiscale aumenta.

Il rapporto tra imposte sommate ai contributi sociali e il Pil,appunto la pressione fiscale, è un indice di quanto lo Stato “chiede” ai cittadini. Ovviamente l’Italia mantiene i primi posti riguardo ai dati sulla pressione fiscale,infatti risulta uno dei Paesi con la percentuale più alta. Purtroppo è il podio sbagliato su cui sederci,ma d'altronde non è facile far capire a chi ci governa che qualcosa non va. Pensate che a turno ogni partito,durante le campagne elettorali,fa della pressione fiscale uno dei cavalli di battaglia per battere l’avversario. A mostrare che la pressione fiscale nel nostro Paese è elevata ci viene in aiuto l’Istat. Si calcola che nel 2008 la pressione fiscale è stata pari al 42,9%,nel 2009 al 43,2%,nel 2011 al 42,5%(l’illusione di un piccolo ribasso),nel 2012 al 44%,nel 2013 al 44,3% e negli anni a seguire sempre in crescita ponendo l’Italia ai vertici europei.


Ma non sempre un elevato indice di pressione fiscale è un dato negativo. Se prendiamo ad esempio la Svezia e la Danimarca notiamo che storicamente hanno valori elevati di pressione fiscale durante ogni anno ma hanno un’ottima efficienza delle strutture sanitarie e delle politiche sociali. In casa nostra i vari governi pensano invece a tassare i contribuenti per cercare di sanare i conti pubblici. Ecco quindi che vengono colpiti un po’ tutti da questa ormai famosa crisi,dagli imprenditori fino ai lavoratori. Si calcola che un’impresa in Italia in media deve restituire il 65% degli utili sotto forma di tasse. Succede quindi che molte imprese chiudono sia per la crisi e sia perché lo Stato si prende tutto quello che si produce. Una forbice da cui è difficile liberarsi e da cui purtroppo tanti imprenditori ne sono usciti solo con l'estremo gesto finale del suicidio. Inoltre, per più di trent’anni la classe politica è riuscita a spaccare il nostro Paese in due,al sud grazie a trasferimenti e sussidi,al nord navigando negli interessi dei bot. Negli anni ottanta scoppia il boom del debito pubblico. Dal 1985 al 1993 la pressione fiscale passa dal 35% al 43% e il debito pubblico raggiunge il recordstorico,pari al 120% del pil.

Finora abbiamo parlato della pressione fiscale ideale,ma esiste,specie nel nostro Paese,la pressione fiscale reale. Abbiamo detto che la pressione fiscale è calcolata come il rapporto tra gettito globale incassato dallo Stato e Pil prodotto dal Paese. Dobbiamo però includere il “gettito zero” dichiarato dagli evasori che fa alzare ancora di più quel triste dato. Insomma: Il motto del nostro Stato dovrebbe essere “ Se qualcuno produce,tassalo”.

Ma come si può uscire dalla crisi? Come quando uscimmo da quella all’inizio del secolo scorso. Siamo nel periodo fascista. I dati ci dicono che si spendeva abbastanza per la difesa(32% del bilancio) e un po’ meno per le opere pubbliche. Dopo i primi anni del fascismo le percentuali si andarono a complementare. La pubblica istruzione non venne toccata,sintomo che si teneva molto all’aspetto culturale. Purtroppo il bilancio dello stato col passare degli anni oscillava tra valori bassi e Mussolini in cinque anni fu costretto a dimezzare le riserve d’oro della Banca d’Italia. Nel 1934 gli inasprimenti fiscali raggiunsero il picco andando a toccare le imposte sugli scambi e sulle successioni. Importante fu la presa di posizione di Mussolini che disse: << La pressione fiscale è giunta al suo limite estremo e bisogna lasciare per un po’ di tempo assolutamente tranquillo il contribuente italiano e, se sarà possibile, bisognerà alleggerirlo, perché non ce lo troviamo schiacciato e defunto sotto il pesante fardello >>. È proprio in questo momento storico importante che i sindacati fascisti riescono a imporre la riduzione delle ore di lavoro settimanali dell’operaio portandola a 40 ore ma con lo stesso salario. L’Italia fu la prima a fare questa trasformazione, ancora oggi in vigore. Ma c'è di più. Nel 1933 venne fondato l'INFPS,l'attuale inps,modificando il sistema assicurativo pubblico. Venne creata un'assicurazione contro la disoccupazione,vennero elargiti assegni familiari e integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o ad orario ridotto. I bambini che non potevano permettersi vacanze al mare poterono usufruire di colonie estive. Vennero incentivate le attività sportive,ricreative e culturali. Questa è stata la ricetta per uscire da quella grande crisi: investire nelle tutele sociali e bloccare l'aumento della pressione fiscale.


Oggi invece si fa tutto il contrario. Senza toccare temi dell'assistenza agli immigrati, dell'assegnazione delle case popopolari o della sovranità monetaria, abbiamo la percezione che è in atto una vera e propria repressione politica del diritto di essere italiani.

mercoledì 7 ottobre 2015

Che cos'è la pressione fiscale

Andiamo ad analizzare la cosiddetta pressione fiscale cercando di semplificarne il più possibile la definizione e renderla così facilmente comprensibile anche per coloro che hanno poca dimestichezza con termini e meccanismi inerenti al mondo dell’economia. Innanzitutto cominciamo col dire che con il termine “pressione fiscale”, anche nota come “leva fiscale”, si indica tutta quella quota dei redditi che viene prelevata dallo Stato e dagli enti locali territoriali allo scopo di finanziare la spesa pubblica.

In altre parole lo Stato, dovendo garantire l'erogazione di servizi di prima necessità (pensioni, assistenza sanitaria, sussidi ai meno abbienti, ecc) ha necessità di soldi, e questi vengono ottenuti per l’appunto con la "leva fiscale" che va a prelevare dai redditi dei cittadini e ridistribuisce quei redditi!
In pratica, all'aumentare di questa pressione aumentano di pari passo le entrate tributarie delle Stato/Ente pubblico, e in linea teorica, dovrebbero aumentare allo stesso tempo i servizi pubblici ed il loro livello qualitativo. Il termine "pressione fiscale" pur non nascendo con un’accezione negativa , in genere si usa per lamentare una certa oppressione fiscale: sarebbe a dire che il livello di pressione fiscale viene giudicato da molti troppo alto (specialmente quello sul lavoro). L’Italia in particolare è uno degli Stati primi in Europa come livello di tassazione generale.



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Sempre rimanendo concentrati sull’Italia, che costituisce a livello economico la realtà da noi direttamente vissuta e quindi maggiormente comprensibile, il livello di pressione fiscale che oggi grava sulle tasche degli italiani è diventato per la maggior parte di noi cittadini un peso insostenibile. Senza contare l’aggravante della crisi economica che, dal 2009 ad oggi, ha spinto gli ultimi Governi a rivalersi ancora una volta sui contribuenti per tentare di risanare i conti pubblici: nella ricerca affannosa di risorse infatti, le manovre finanziarie che si sono succedute, hanno scelto prevalentemente la strada dell’aumento delle imposte invece che quella più virtuosa della riduzione della spesa pubblica.

Nel 2012, secondo gli ultimi dati consolidati della Banca d’Italia pubblicati nel dicembre 2013, la pressione fiscale risultava essere al 44%, in salita rispetto al 42,5% del 2011. Nel 2013 siamo arrivati al 44,3%, mentre nel 2014 ci attesteremo sul 44,2%. Visto sotto un aspetto più pratico: sostanzialmente quasi la metà del reddito prodotto da ciascuno di noi viene prelevato dallo Stato e dagli enti locali per finanziare le proprie attività.

Un problema tutt’altro che trascurabile è quello legato alla pressione fiscale “reale”, in altre parole quella pressione fiscale effettiva che deriva dall’economia “in nero”. Se consideriamo il grandissimo numero di evasori fiscali che gravano sulle tasche dello Stato ci rendiamo subito conto che il livello di pressione fiscale effettivo e percepibile da chi paga le tasse è molto più alto rispetto a quello relativo ai dati precedentemente elencati. La pressione fiscale reale, secondo Confindustria, raggiunge il 53,3% quest’anno; per Confcommercio addirittura il 54%. Detto in altri termini: il fatto che già di base la pressione fiscale sia alta e allo stesso tempo ci sia molta evasione, indica che la pressione fiscale su chi paga è ancora più alta della media apparente. In sostanza oltre a pagare già tanto, paghiamo ancora di più, e questo perché in qualche modo si deve sopperire alle numerose mancanze di quegli evasori fiscali che vivono alle spalle dello Stato italiano.


La necessità di alleviare la pressione fiscale nel nostro Paese è una prerogativa assoluta se si vuole sperare in una vera e propria ripresa economica. Ormai è un fatto confermato e più volte ribadito da tutti i confronti internazionali che, in Italia, chi si muove con l’obiettivo di produrre ricchezza viene sempre e sistematicamente tassato oltremisura. Secondo la Banca Mondiale la pressione fiscale e contributiva sui produttori italiani è quella più pesante di tutto il continente europeo. Un’impresa media italiana deve allo Stato il 65,8% dei suoi utili ogni anno.

Nel Paese delle controversie e dei controsensi il più grosso paradigma rimane quindi proprio quello della ripresa economica. Una ripresa economica tanto sofferta ma allo stesso tempo tanto auspicata in un’Italia che, all’insegna della contraddizione che sempre la contraddistingue, decide “ovviamente”di penalizzare chi produce e chi s’impegna di più.