mercoledì 13 agosto 2014

Educazione Spartana

Gli Spartani; ancora oggi facciamo riferimento ad alcuni aspetti del loro stile di vita e delle loro abitudini: sicuramente sarà capitato a molti di utilizzare l’espressione «educazione spartana» a indicare un modello educativo estremamente serio e rigoroso; oppure sarà capitato di sentire l’aggettivo «laconico» per descrivere un modo di esprimersi basato sulla brevità e la concisione. Sia la durezza dell’educazione sia l’essenzialità nel modo di esprimersi erano due delle caratteristiche spartane che già nell’antichità suscitavano curiosità e spesso anche perplessità.

L’abilità militare era un’altra delle doti che contraddistinguevano uno spartano dai greci appartenenti alle altre polis. La loro abilità nel combattimento rimane tutt’oggi leggendaria e svariate sono le opere letterarie e cinematografiche che hanno contribuito ad arricchire quest’immaginario che delinea dei guerrieri formidabili e quasi imbattibili. Ma come mai i guerrieri spartani erano così superiori sia tecnicamente che fisicamente rispetto a tante altre popolazioni? La risposta è semplice, basta andare ad esaminare quella che era l’esistenza di uno spartano qualunque, una vita durissima sin dal momento in cui veniva alla luce.
Sappiamo per certo che i genitori spartani non potevano allevare i propri figli, ma dovevano portarli appena nati in un luogo chiamato tesche, qui gli anziani esaminavano il bambino: se questo era sano e robusto ne disponevano l'allevamento, se invece era gracile e malfatto, ordinavano che fosse gettato in una voragine del monte Taigeto. Già in tenera età quindi lo spartano era sottoposto alla prima grande prova nella quale veniva messa in ballo la propria vita.

L’educazione militaresca dei giovani spartani era completamente volta a formare guerrieri forti e senza paura, e per il raggiungimento di questo scopo i futuri soldati erano sottoposti a prove severissime, spesso crudeli, volte a temprare il corpo e migliorare la capacità di resistere in condizioni critiche. Tra queste c’era la Kryptéia: Il ragazzo veniva lasciato solo, nelle campagne o nei boschi, armato solo di un piccolo pugnale, in modo che imparasse a sopravvivere da solo e a fronteggiare tutte le possibile insidie. Questa usanza segnava il passaggio del giovane dalla pubertà alla condizione di guerriero spartano.

Dormire sulla nuda terra sia d’estate sia d’inverno, adeguarsi ad una vita assai frugale, consumare i pasti in comune, imparare a maneggiare la lancia e la spada: erano questi i capisaldi nella formazione di uno spartano.
I pedonomi, i magistrati lacedemoni che dirigevano l'educazione pubblica degli adolescenti, erano tutt’altra cosa rispetto agli insegnanti che siamo abituati a vedere oggi.

Oggi la società occidentale ha creato, pur con qualche eccezione, generazioni di giovani rammolliti e talora fin troppo viziati. Adolescenti incapaci di tollerare anche solo delle temperature leggermente al di sopra del normale, giovani che non riescono a comprendere l’importanza del sacrificio o dell’amministrazione dei propri averi. Senza dubbio il modello di vita spartano è sicuramente troppo rigido e inadeguato per la società moderna in cui viviamo e non sarebbe possibile applicarlo nella sua integrità, tuttavia esso può offrire molti spunti interessanti che potrebbero tranquillamente essere d’ispirazione per inculcare nelle nuove generazioni una mentalità diversa, una mentalità non volta al consumismo di massa o all’uso sfrenato e obsoleto di comfort assolutamente superflui e consumistici; i giovani andrebbero abituati, per quanto possibile, ad una vita senza troppi agi, una vita basata spesso sul sacrificio e sulla sopportazione; solo in questo modo possiamo riuscire a formare nuovi tipi di caratteri per una società che al giorno d’oggi esige sempre più forza d’animo e integrità di spirito per andare avanti e realizzare sé stessi.

lunedì 11 agosto 2014

Carcere o strutture alternative? Questo è il dilemma…



Quattro mura possono essere un luogo accogliente in cui trascorrere parte della nostra vita in modo comodo e con l'affetto dei nostri cari. Quattro mura, però, possono rappresentare allo stesso tempo anche un luogo meno accogliente in cui trascorrere un giorno,un mese,un anno o un periodo più lungo della nostra vita.

Nel corso della vita può accadere di commettere degli errori e che si venga "sbattuti dentro"come punizione. Generalmente non è un’esperienza da augurare a nessuno. In Italia, poi, figuriamoci.

La realtà del nostro paese, in merito al questo tema, parla di un sovraffollamento nelle carceri superiore al 100%. Cioè in una cella si riesce ad entrare a malapena; basti pensare che tre detenuti sono già troppi,il che vuol dire che ognuno di loro ha a disposizione meno di tre metri quadrati come spazio personale. E già qui si notano condizioni non certo positive per chi è "ospite". C'è anche un alto numero di suicidi dovuti probabilmente a queste pessime condizioni ed in più spesso si verificano decessi non proprio di natura ordinaria,detenuti che muoino senza però avere un minimo di notizie sul perché e sul come di questa morte.
Tutte cause che hanno portato alla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo del 8 gennaio 2013 che ha condannato l'Italia e il suo sistema penitenziario. A finire sotto i riflettori è la violazione dell'articolo 3 della Convenzione Europea,ovvero condizioni pessime nelle nostre carceri: mancanza d'acqua,di luce e ventilazione su tutti. L'Italia è stata disposta a pagare una cifra di 100.000 euro per tutti i ricorrenti contro lo stato.

Ma “stranamente” poco dopo, ecco all’improvviso notizie sorprendenti in cui l'Italia viene addirittura
promossa dalla Corte di Strasburgo: le carceri risultano migliorate in termini di infrastrutture e sovraffollamenti; è infatti, calato il numero dei carcerati quindi ora una cella sembra essere più vivibile rispetto a prima. Pensare che questo risultato si potrebbe ancora ridurre considerato che un terzo della popolazione carceraria è straniero. Sarebbe pensabile quindi far scontare la pena nei loro paesi d'origine!
In Italia,il carcere è senza dubbio un ambiente diseducativo,chi esce dal carcere viene trasformato in una persona sicuramente peggiore,quindi possiamo dire che è una struttura punitiva. Sicuramente ogni caso andrebbe analizzato con molta cura ma siamo sicuri che punire è l'unica soluzione ammessa? Abbiamo mai pensato invece a strutture alternative al carcere in grado di recuperare un soggetto che ha commesso un errore? Certo,siamo d'accordo con un primo stadio di punizione,ma purché la punizione sia proporzionata al danno commesso dal carcerato. Soprattutto per alcuni reati minori il carcere dovrebbe essere un momento temporaneo e anche breve per così dire,un momento di transito in cui riflettere e capire per poi essere mandati in centri di recupero. Il recupero di un carcerato sarebbe una grande vittoria. Il reinserimento nella società già di per se sarebbe un'alternativa al carcere a vita.

Ricominciare una nuova vita,lavorare,studiare,forse non sarebbe una soluzione da scartare. Ma è il popolo italiano che è influenzato e che vede al di sopra di ogni problema il carcere come soluzione. La nostra politica è anch'essa schiava dell'opinione pubblica,i magistrati se ne fregano. Una piccola parte però lotta per i diritti umani,arrivando perfino a fare scioperi della fame e della sete e ingaggiando battaglie che spesso vengono sottaciute da molti giornali. Una manifestazione che forse porterà il popolo italiano ad aprire gli occhi perché in fondo basterebbe educare la gente,così come si fa con ogni cosa. Sarebbe ora di finirla con il ragionamento del luogo comune,sarebbe anche ora di smetterla di andare a votare sempre i soliti buffoni che si scambiano le poltrone. Perfino l'Onu ha proposto all'Italia misure alternative alle carceri.

Questo dovrebbe far riflettere tutti. Ma la situazione carcere è un tassello del mosaico. ci sono altri tasselli che ugualmente andrebbero visti con un'ottica diversa,non omologata. Non vi auguriamo il carcere ,ma siete proprio sicuri che questa finta democrazia non sia già il vostro carcere?

giovedì 7 agosto 2014

Anche in Libia, l’Italia è responsabile!



Correva l’anno 2011 quando il Rais Gheddafi, dopo più di 40 anni alla guida politica e militare della Libia,  fu deposto e ucciso dai ribelli armati dall’Occidente democratico. Subito si formò Il CNT libico (Consiglio nazionale di Transizione) per colmare il vuoto di potere lasciato dalla rivoluzione civile. Un governo provvisorio che raccoglieva le speranze di pace e democrazia dei giovani libici dopo decenni di terrore e dittatura. Almeno questa è la storia che ci hanno raccontato.

Va detto però che la realtà è ben differente. Oggi, infatti, la Libia non si può considerare una nazione, e tantomeno uno Stato, unito e indipendente. Dal famoso “No Fly zone” imposto da ONU e NATO nel lontano 2010, ha perso completamente sovranità e unità. Nel Giugno del 2014 si sono tenute in tutto il territorio nazionale le prime elezioni presidenziali, ma il governo ancora deve definitivamente insediarsi. Non sono poi mancate le solite accuse di brogli elettorali, non sono mancate addirittura le “liste di proscrizione” che hanno vietato di eleggere tutti coloro che parteciparono più o meno direttamente al regime Gheddafi, e non sono mancate le sorprese: i risultati delle elezioni sono stati pubblicati solo a fine Luglio e i libici che hanno partecipato alle votazioni non sono stati più del 45%.

In questo clima di generale sfiducia politica, va sottolineata la paura sociale. Sia il basso numero di affluenti al voto, sia il fatto che il governo debba ancora insediarsi dopo due mesi quasi dalle elezioni sono dati che fanno riflettere: colpa soprattutto dei gruppi di fondamentalisti islamici e dei loro continui attentati sui civili e sui rappresentati governativi che son costate la vita a migliaia di persone (tra cui donne e bambini) dall’inizio di questa folle guerra per il potere. Questi gruppi terroristici presenti in tutte le regioni della Libia (dalla Cirenaica alla Tripolitana passando per il Fezzan)  spadroneggiano a causa dell’alto tasso di corruzione della polizia locale nonostante negli ultimi tre anni il numero delle forze dell’ordine sia salito fino a 300.000 unità totali (compreso l’esercito). Ma disarmare i miliziani islamici è impossibile: si conta che oggi in Libia vi siano addirittura più di venti  milioni di armi presenti ( la maggior parte finanziate da Qatar e Arabia Saudita). A Bengasi i fondamentalisti hanno anche proclamato un Emirato islamico indipendente nonostante abbiamo perso le elezioni (seppur con 23 seggi conquistati in Parlamento).

Stando alle testimonianze che ogni giorno ci pervengono, la gente anche a Tripoli e Bengasi non esce più di casa. Ci sono continui rapimenti e richieste di riscatto. Alcuni pregano affinché vi sia un intervento militare dei caschi blu dell’Onu. Insomma: la Libia del dopo Gheddafi, la Libia democratica, la Libia della “Primavera Araba” ha toccato il fondo.

Una situazione che un paese come l’Italia non avrebbe mai dovuto permettere, sia per un senso di umanità e solidarietà verso un paese storicamente così a noi legato e geograficamente così vicino, sia per tre motivi politici: immigrazione, scambi commerciali ed energetici, sicurezza dei suoi operai in Libia.

Solo dopo centinaia di morti sulle coste del Mediterraneo e migliaia di sbarchi clandestini sulle nostre isole, il premier Renzi si è accorto che l’operazione Mare Nostrum andava ridiscussa con l’Europa. Recentemente ha infatti dichiarato: "Penso che oggi sia fondamentale che le Nazioni Unite mandino un inviato speciale ed è giusto che l'Italia ponga il problema della Libia al vertice Nato del 4 e 5 settembre. Il 97% dell'immigrazione clandestina che arriva in Italia viene dalla Libia. Possiamo fare tutti gli slogan del mondo: se vogliamo risolvere il problema dell'immigrazione dobbiamo risolvere il problema della Libia". Come dire: meglio tardi che mai!


Senza considerare poi i risvolti negativi sia economici sia energetici. La Libia, dopo il famoso e discusso Trattato di Bengasi firmato con il governo Berlusconi nel 2005 (che ha praticamente regalato circa quattro miliardi di euro agli “amici” libici come spesa di rimborso per le operazioni militari durante la seconda guerra mondiale) , si era impegnata a favorire la produzione italiana sul suo suolo e a fornire ad un prezzo vantaggioso gas proveniente dai suoi gasdotti. Il 10% del gas e del petrolio da noi importato proviene dal “Greenstream Pipeline”: un’infrastruttura imponente, operata da Eni al 75%, che con i suoi 520 km rappresenta il gasdotto più lungo del Mar Mediterraneo. Gli scontri dell’ultimo mese tra i fondamentalisti hanno avuto come teatro principale Tripoli e i suoi dintorni. A preoccupare l’Italia è il fatto che  il gasdotto disti solamente 80 km dalla capitale libica. Se la stazione di compressione dovesse essere coinvolta negli scontri o dovesse finire nelle mani sbagliate, il rischio è che il flusso di gas verso l’Italia possa essere interrotto.

Non vanno poi certo dimenticati i quattro operai italiani rapiti in questi anni in Libia. Alcuni dei quali mai ritrovati e presumibilmente morti (vista la sicura mancanza di cure di cui necessitavano).  Altri invece liberati solo sotto riscatto. L’ultimo tra questi Marco Vallisa, un tecnico italiano di 53 anni, esperto di costruzioni originario di Cadeo (Piacenza) che lavora nella città costiera di Zuwara in un cantiere della modenese Piacentini Costruzioni. La Piacentini sta lavorando alla ricostruzione e all’ammodernamento del porto della città.

Già nel lontano 2011, con la nostra campagna di affissioni per la capitale, avvisammo di questi rischi sociali e politici, schierandoci apertamente contro l’intervento dell’Italia e dell’ONU nel conflitto. Da quella guerra avremmo ricevuto solo risvolti negativi. Ma la nostra classe politica miope e asservita al potere finanziario internazionale pensò bene di rispettare a testa bassa ogni ordine impartito da ONU, NATO, compagnie energetiche, Stati Uniti e Francia senza pensare alle drastiche conseguenze (anche economiche) che avrebbero colpito il nostro paese. E così schierò i suoi sedici cacciabombardieri, i suoi rifornitori e le sue basi navali e aeree di Trapani, Pantelleria, ecc. per dichiarare guerra a un paese ormai già in ginocchio da tempo. D’altronde anche noi da decenni non abbiamo sovranità. Non possiamo prendercela con nessuno, se non con noi stessi, se aumentano a dismisura  gli immigrati, se non avremo mai indipendenza energetica, se i nostri cittadini (o soldati, dipende dai casi) in giro per il mondo non saranno mai sicuri. È colpa degli italiani che da decenni votano i moderati, i liberali, i democratici. Gente asservita ad un potere più grande che non migliorerà mai il nostro paese perche antepone gli interessi di pochi a quelli collettivi. Se in Libia i civili continuano a morire è anche colpa dell’Italia democratica che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli” (Cit. Costituzione)…..

 




sabato 2 agosto 2014

Mare Nostrum: Cronaca di un Fallimento

14 Ottobre 2013, Angelino Alfano, al termine del vertice di Palazzo Chigi dedicato all’emergenza immigrazione, annuncia l’avvio dell’operazione “Mare Nostrum”, assicurando di dare “ il meglio di noi stessi” per l’accoglienza dei migranti in Italia, promettendo inoltre “un dialogo molto duro con l’Europa” per migliorare la cooperazione internazionale fermando le partenze. “Sarà un’operazione militare e umanitaria – spiega Mario Mauro – un’operazione ad hoc che prevede il rafforzamento del dispositivo di sorveglianza e soccorso in alto mare, per incrementare il livello di sicurezza delle vite umane”.

I mezzi? Una nuova nave anfibia, con elicotteri a lungo raggio e capacità ospedaliere, altre quattro navi della Marina, due fregate, due pattugliatori, un’unità anfibia, due elicotteri, un velivolo P180 con visione notturna, un’unità navale e circa 1500 uomini.
I costi? Un milione e mezzo di euro al mese, circa.
I tempi? Legati alle circostanze, ovviamente.
Le premesse? “Cambiamenti epocali”, addirittura.

26 Ottobre 2013, 12 giorni dopo: ondata record di sbarchi, una valanga di migranti raccolta in alto mare dalla flotta italiana della suddetta operazione, il cui costo effettivo si aggira intorno ai 10 milioni di euro al mese.
E mentre l’allora Premier Letta cantava vittoria sull’immigrazione, reduce dal vertice a Bruxelles, le vere proposte erano rimandate a Dicembre e le decisioni cruciali sul diritto d’asilo a mesi e mesi dopo. Una vera vittoria di Pirro, quella di Letta: centinaia di disgraziati via mare che, nonostante la strage di Lampedusa, continuano ad esser fatti sbarcare sulle coste dell’isola, le cui strutture di accoglienza sono ormai al collasso. Nessuno viene rispedito indietro, il costo aumenta e i soldi stanno finendo.

Passano i mesi, i numeri crescono. Si stima che dall’inizio del 2014, fino a metà Marzo, siano sbarcati sulle coste italiane più di 10mila clandestini. E’ un lavoro incessante, interminabile, e la Difesa imperterrita afferma che l’operazione Mare Nostrum è utile per limitare il traffico; ma in tutto questo i finanziamenti dove sono? Niente paura ci pensa Renzi.
Il flusso migratorio continua a ritmo incalzante e la consapevolezza di venir salvati spinge una moltitudine di immigrati a tentare la traversata in mare. Ma Renzi è ottimista, elogia e ringrazia: perché chiuderci se siamo in grado, a detta del Premier, di pattugliare e presidiare? Ma con quali strutture se tutti i centri d’accoglienza rischiano di implodere? Ad aggravare la situazione, come se non bastasse, un’Unione Europea latitante, un continuo affievolirsi dell’aiuto proveniente specialmente dai paesi del Nord.

Aprile 2014, un’invasione senza tregua, senza fine. Numeri da capogiro, così come le richieste di asilo, aumentate del 140% rispetto allo scorso anno. La Sicilia continua ad esser la regione più colpita dal flusso migratorio; le strutture di prima accoglienza sono colme di uomini, donne e bambini; la Lega fa un passo avanti e decide di non rimanere a guardare. Nascono nuove proteste contro il governo Renzi e l’UE, accusati di rimanere impassibili di fronte l’emergenza immigrazione. Si chiede la sospensione Mare Nostrum, la quale non fa altro che finanziare gli scafisti e dunque l’invasione delle nostre coste. Da Ottobre sono circa 25mila gli immigrati sbarcati. Barcone dopo barcone. L’Italia da sola non ce la fa. Mare Nostrum è il fallimento delle politiche migratorie volute dall’UE e sottoscritte da Alfano. Il governo promette di andare a Bruxelles per far sentire la propria voce, ma non subito: aspetterà il semestre italiano di presidenza europea. Una promessa che non continua a convincere la Lega, la quale ribadisce la disfatta ormai sotto gli occhi di tutti, ed insiste perché tutto ciò venga sospeso. Contemporaneamente l’UE dichiara “Niente fondi extra budget”.

Maggio 2014, l’operazione Mare Nostrum e l’abolizione del reato di clandestinità coincidono con un boom senza precedenti di traversate in mare aperto.
 
Giugno 2014, 9 mesi dopo: l’UE sembra svegliarsi da questo interminabile letargo  e si dice “preoccupata per la situazione nel Mediterraneo”. I Ministri degli affari interni europei sembrano finalmente essersi accorsi dell’emergenza immigrazione. “C’è il rischio che la situazione si deteriori ulteriormente”, ha convenuto il Consiglio, senza però indicare, nelle sue conclusioni congiunte, alcuna azione concreta da portare avanti nell’immediato. “L’Italia non può pagare da sola questo conto – spiega Alfano – salvare vite umane è importante, ma non significa che lo dobbiamo fare sempre noi e per sempre noi”. Ma nonostante questo, nessuno sembra riflettere sul reale problema, l’operazione in sé.
In un infinito climax di notizie, ne arriva una che fa gelare il sangue nelle vene: dieci militari sono risultati positivi al test di Mantoux , il quale individua la presenza di un’infezione latente dei microbatteri della tubercolosi. ”Nessuna fase attiva o contagiosa – precisa la Marina Militare – nessun campanello d’allarme, gli uomini continuano a lavorare”. Immediata la denuncia di Salvini contro Renzi ed il governo: “Questa gente riporta malattie che avevamo sconfitto da anni; la responsabilità di tutto ciò che avviene è di Matteo Renzi. Il turismo è al collasso e la colpa è sempre di Renzi che parla di tutto e dappertutto, ma non dice nulla sul problema immigrazione. Aumenta l’insicurezza e diminuiscono i posti di lavoro. La Lega continua a ribadire il suo no; e dovrebbe dirlo anche il Presidente del Consiglio, assente, che di fronte a tutto questo dorme. Che venga qui.”.
La tragedia che si sta consumando nel Mediterraneo va oltre le nostre forze; sarebbe meglio tacere ed agire prontamente; ma il governo sente comunque il bisogno di ribadire costantemente i meriti dell’operazione navale, scaricando le colpe sugli altri. Gli sbarchi e i naufragi si susseguono a ritmo vorticoso e quando il risultato è positivo, il merito è italiano, quando si verificano tragedie la colpa è dell’Europa. Giochi di parole senza alcun senso che non aiutano chi in mare muore davvero.

Siamo giunti a Luglio, gli sbarchi continuano, uomini, donne e bambini vengono mandati in centri d’accoglienza sparsi in tutte le regioni, crescono le proteste da parte dei cittadini, sempre più indignati nei confronti di questa emergenza ormai fuori controllo.
Un totale fallimento, non esiste altro modo per descrivere Mare Nostrum, impotente davanti all’ennesima disgrazia.