giovedì 26 aprile 2012

Ad Maiora Marine!

Al primo turno delle presidenziali del 2012 in Francia vince il socialista Hollande (28,6%). Perde l’avvocato di centro destra, Nicolas Sarkozy (27,2%). Eppure la notizia che rimbalza su tutti i giornali è un’altra: Marine Le Pen, conquista il miglior risultato della storia del Front National (17,8%).  Supera Jean Luc Mélenchon (11,2%), François Bayrou (9%)e  l’ecologista Eva Joly (2,3%). Con un affluenza pari circa all’80% della popolazione transalpina, la leader indiscussa del partito della destra sociale francese ha, infatti, attirato l’attenzione di tutto il mondo giornalistico e politico.
Un risultato tanto imprevisto quanto soddisfacente per il Fronte Nazionale, che nella sua ormai decennale storia (nato nel 1972), è sempre stato punito dall’odierno sistema elettorale francese. Infatti, anche quando ha raggiunto buone percentuali è riuscito ad eleggere solo pochi deputati poiché qualora un candidato del FN riesca a superarlo sbarramento del primo turno (attualmente al 12,5%) ed accedere al secondo, gli elettori di sinistra e moderati solitamente fanno convergere i propri voti sui candidati di qualsiasi altro partito. Per di più i partiti di centro-destra si sono sempre rifiutati di fare accordi elettorali con il FN, opponendovi il principio della difesa delle istituzioni repubblicane da forze anti-sistema. Negli anni ’80, i risultati furono buoni, ma riuscì al massimo ad eleggere due deputati. Negli anni ’90 invece la sua politica si caratterizzò per l’impegno nel denunciare la corruzione politica dei socialisti. Vi fu la "proletarizzazione" del partito, che vide la maggior parte degli operai votare per il FN e non più per i socialisti e comunisti. Del resto, Jean Marie Le Pen (padre e fondatore del partito) fece di tutto per presentare il partito non come un tradizionale partito nazionalista neo-fascista, ma come una forza politica alternativa: di "destra" per i valori patriottici, di "sinistra" per i  problemi sociali, di "centro" per i  valori cristiani. Alle elezioni del 1993, portò avanti una campagna antieuropeista e per la modifica del trattato di Maastricht. Ottenne grandi consensi. Ma alle elezioni del 2002 il primo vero boom elettorale: Le Pen riuscì a giungere al ballottagio superando, a sorpresa, il candidato socialista Lionel Jospin. Al ballottaggio contro il Presidente uscente, Jacques Chirac, Le Pen si limitò a confermare il risultato del primo turno, 16%. Tutti i partiti politici, infatti, compresi quelli di sinistra, fecero confluire i propri voti sul presidente uscente pur di non far eleggere Le Pen.
Alle ultime presidenziali, invece, il programma del Front National è stato ancora più applaudito del solito nonostante proposte  anti-conformiste, fondamentalmente centrate su una  posizione anti-mondialista (uscita dall’euro, rinegoziazione dei trattati europei, limitazione radicale dei poteri delle istituzioni soprannazionali e critica della politica estera americana) e anti-islamica (fine dell’immigrazione e abolizione del fondamentalismo islamico in Francia)

Paradossalmente però il bello per il FN viene proprio ora: infatti, Sarkozy & Company onde evitare una sonora sconfitta saranno costretti a chiedere l’aiuto e i voti dell’elettorato di Marine Le Pen. Poiché i numeri, ad oggi, sono ancora a favore del socialista Hollande che potrà godere dell’aiuto al ballottaggio della Joly e di Melenchon.
Un finale cosi nessuno lo avrebbe mai pronosticato. I centristi francesi, nonostante le smentite esplicite, in ginocchio a chiedere voti alla destra sociale nazionale. E il primo maggio, giorno della sfilata dei militanti del Fn sotto la statua di Jeanne D’Arc a Parigi, Marine Le Pen svelerà le prossime strategie elettorali: se consigliare l’astensione o l’appoggio a Sarkozy. Intanto, con la dovuta calma e felicità, si gode altri importantissimi numeri: il suo Front National è il primo partito di Francia tra i giovani di 18 e 24 anni.
Che altro dire: Ad Maiora Marine !







giovedì 19 aprile 2012

Controinformazione: Il Trattato ESM

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) è un fondo di salvataggio europeo, nato poco più di un anno fa a Bruxelles nel Consiglio Europeo. Entrerà in vigore nel Luglio del 2012. Sostituirà due fondi già esistenti (Efsf e Efsm) nati in precedenza per salvare Irlanda e Portogallo dal fallimento. Ma con una differenza:  avrà una riserva della bellezza di 700 miliardi di Euro. Esso sarà regolato dalla legislazione internazionale e non potrà MAI essere giudicato da nessun ordinamento nazionale. Emetterà prestiti agli stati in difficoltà, ma a condizioni molto severe (molto più di tutti i decantati piani di “austerity” ) . Vincolerà tutti gli Stati, una volta accettato, il piano a pagare per sempre le proprie rate. Permetterà ai privati (che investiranno nel Trattato) di intervenire nell’imposizione delle regole economiche nazionali (tasse, manovra finanziarie, ecc.).
L’Italia, neanche a farlo apposta, parteciperà. Pagherà subito una rata (la prima di 5 in un anno, badate bene) di quasi 3 miliardi di euro (Se non erriamo dunque in un anno andremo a pagare 15 miliardi di euro nelle casse di questa astratto ente). In totale verseremo circa 125 miliardi di euro. Il premier Monti, dopo i vari summit Europei, si è detto più che soddisfatto dell’operato svolto fin qui dai grandi del continente.
Ancora nessun mezzo di informazione di massa ha mia riferito alcuna notizia riguardo a questo sistema (non a caso le notizie son difficili da reperire). Si preferisce parlare dei soldi pubblici incassati dalla famiglia di Bossi, oppure dei presunti versamenti di Berlusconi alla Minetti e alle gemelle De Vivo. Dell’ESM invece nessuna traccia. Nemmeno un trafiletto. Considerato quindi di minore importanza rispetto anche a Silvia, la fidanzata del Trota, che dichiara:”Mi piace l’uomo vero”.  
Ancora nessun commento dalle forze politiche (non bancarie) che dimostrano, di nuovo, la totale complicità e sottomissione ai piani di usura internazionale. Nessuna voce di opposizione. Nessun contrasto col neo trattato europeo.
Ancora nessun giudizio della magistratura italiana che vedrà, per l’ennesima volta, vedersi ridotti e limitati i poteri di accertamento sul lavoro dei grandi banchieri mondiali. Nessuna lamentela verso coloro che passeranno oltre alla Costituzione (che novità!) senza avvisare il popolo sovrano (di che?).
Un commento allora vorremmo farlo noi. Ma causa scarsità di notizie a riguardo questo articolo di contro informazione sarà ricco di interrogativi.
Ci domandiamo (e ci farebbe piacere che se lo domandino in molti) come mai non se ne parli. Nemmeno una volta si sia mai accennato (a parte sul Sole 24 ore, ci mancherebbe) a questo trattato. Ci domandiamo se è una truffa dalla quale non ne possiamo più uscire. Ci domandiamo perché questa commissione che gestirà l’ESM non potrà essere giudicata da nessun ordinamento (nemmeno internazionale), godrà di immunità giudiziaria e di totale segretezza di azione. Ci domandiamo che cosa potrebbe succedere se non dovessimo riuscire a pagare 125 miliardi di euro. Ci domandiamo perché il governo ha appena finito di presentare una manovra molto ardua da sopportare per il popolo italiano, da circa 30 miliardi di euro, e già ne spende il 20% per pagare un assurdo piano di salvataggio e usura internazionale. Ci domandiamo come mai la nostra politica miope e succube invece di investire questi 125 miliardi di euro su riforme per il lavoro (in primis) per le infrastrutture, per la ricerca e per l’istruzione preferisca donarli (praticamente) a prestatori di denaro. Non sarebbe crescita   questa?
Chissà se un giorno avremo risposte. Chissà se quel giorno non sarà troppo tardi per fare passi indietro. E alla luce di tutto ciò, chissà come festeggeranno i grandi intellettuali di regime il 25 Aprile , la Festa della Liberazione, con la coscienza sporca e le bugie sempre pronte.

mercoledì 4 aprile 2012

Art.18: Affittasi giovane Lavoratore

Dopo la riforma finanziaria e il decreto legge sulle liberalizzazioni il governo Monti partorisce il terzo “grande” provvedimento della sua amministrazione: la riforma dell’Art. 18 dello Statuto dei lavoratori, emesso nel 1970.  Fino ad oggi considerato “intoccabile” dalle parti sociali e dalla maggior parte dei sindacati e partiti politici, l’art. 18 sembra essere però davvero arrivato al capolinea. Il governo, infatti, deciso più che mai (e ci mancherebbe: non ha nulla da perdere)  ad attuare la riforma sembra passare oltre l’opposizione della Cgil, della Fiom e di alcuni partiti italiani (vedi Italia dei valori, Partito Democratico, Lega Nord). Secondo Monti & Co. (la sigla ci piace, sa di multinazionale) la riforma renderebbe il lavoro più flessibile e dinamico sopratutto per i giovani, oggi chiusi da logiche lavorative nepotiste e gerontocratiche. L’obiettivo numero uno è quello di abbattere il precariato ispirandosi al “modello tedesco”.  Tutto ciò sarà permesso grazie ad un ritocco dei vari contratti per evitare abusi e usi scorretti.
Ma vediamo, in maniera ordinata, cos’me è oggi e come sarà domani l’Art. 18 in questione (analisi finalizzata inoltre con il riferimento al famigerato “modello tedesco”).
Ad oggi l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori tutela l’operaio, l’impiegato italiano da licenziamenti illegittimi (cioè senza una causa fondamentale , perché discriminatorio, perché effettuato senza comunicazione) nelle unità produttive con più di 15 dipendenti (prettamente agricole), o nelle aziende con più di 60 dipendenti. Nell’attuale clima lavorativo italiano, caratterizzato da un frustrante precariato (soprattutto per i giovani) è una delle poche norme che tutelano effettivamente una parte dei dipendenti pubblici e privati del nostro paese.
La riforma, invece, prevede la nullità del licenziamento discriminatorio in qualsiasi situazione, ma la piena applicabilità di quello per “oggettiva causa” cioè per motivi economici legati all’azienda. Il giudice poi, in quest’ultimo caso, deciderà se sancire il reintegro del dipendente non accogliendo la domanda di licenziamento, oppure di concedere un indennizzo (che oscillerà tra le 15 e 27 mensilità). In caso di licenziamento, l’azienda dovrà pagare una tassa pari ad una mensilità e mezzo. Inoltre saranno penalizzati i contratti a termine (esclusi quelli stagionali o sostitutivi) con un contributo aggiuntivo dell'1,4% da versare per il finanziamento del nuovo sussidio di disoccupazione. Per i contratti a termine non saranno possibili proroghe oltre i 36 mesi (successivamente scatterà il contratto di lavoro a tempo indeterminato). La riforma inoltre prevede l’obbligo di pagare (seppur non stabilito nei modi e nei tempi) ogni stage che un giovane offre all’azienda. Il nuovo sistema andrà a regime nel 2017. L’ Aspi (l'assicurazione sociale per l'impiego) sarà universale, sostituirà l'attuale indennità di disoccupazione (famosa mobilità). Durerà 12 mesi (18 per gli over 55) e dovrebbe valere il 75% della retribuzione lorda fino a 1.150 euro, e il 25% per la quota superiore a questa cifra, con un tetto di 1.119 euro lordi per il sussidio. Si riduce dopo i primi sei mesi. Sarà quindi più alta dell'indennità attuale che al suo massimo raggiunge il 60% della retribuzione lorda. Non verrà toccata la cassa integrazione, sarà ridotta l’apertura di nuove partite iva, e vi sarà un fondo di sussidio per gli anziani che perdono il posto di lavoro a pochi anni dal raggiungimento della pensione. Infine, maggiori paletti e vincoli burocratici saranno inseriti per scoraggiare i contratti a termini, a chiamata e a progetto. 
Tutta la riforma sarà ovviamente orientata alla similitudine con il  “modello tedesco”.  In sostanza, cioè, la possibilità di patteggiare un accordo con un indennizzo economico per evitare una causa dinanzi al giudice. Ma se il lavoratore tedesco è convinto di avere ragione, allora intenterà una causa contro la vecchia azienda. Se il licenziamento sarà giudicato illegittimo allora sarà nullo e vi sarà un reintegro con tanto di penali per il datore di lavoro e il pagamento dei salari per il periodo tra il licenziamento e la sentenza.  Inoltre in Germania, il licenziamento va prima comunicato alla rappresentanza sindacale, la quale, se non lo riterrà giustificato, apporrà un atto scritto che in caso di via legale avrà un sicuro peso. Infine se l’azienda decide di licenziare qualche suo dipendente per motivi economici, dovrà decidere solo quello con minore esperienza interna e che non ha famiglia a carico.
Numerose son state da subito le critiche di vasti settori dell’opinione politica e sindacale nostrana. Bersani ha dichiarato su Rai 1 a “Porta a Porta” che la riforma è inammissibile, contraria a logiche naturali. Zipponi (responsabile del settore lavoro dell’Italia dei valori) ha rilasciato su “Rinascita” una bellissima intervista nella quale sostiene la distruzione dello stato sociale accelerata da quest’ultimo governo. Conferma la propria contrarietà alla riforma e la difesa obbligatoria alla classe operaia italiana e del diritto al lavoro. La Camusso (Cgil) e Landini (Fiom)e la Ugl sono assolutamente contrari a tale decreto legge, non credono che le imprese tagliando il costo del lavoro riescano a tornare competitive nel mercato del lavoro globale e capitalista. Esigono la tutela del lavoratore. Per loro la riforma non crea posti lavoro, non elimina il precariato e non aumenta affatto gli ammortizzatori sociali. Gli operai liguri (Genova su tutti), piemontesi (Torino soprattutto) e toscani (Pisa e Firenze) son già scesi dal conto loro in piazza per protestare, occupando inoltre diversi tratti autostradali e creando numerosi disagi agli autotrasportatori. Ma nonostante le numerose opposizioni il governo Monti, capeggiato dal ministro delle politiche sociali e del lavoro, Elsa Fornero, non effettuerà alcun passo indietro arrivando addirittura a minacciare dimissioni immediate nel caso il decreto non passi al Parlamento. Secondo questi simpatici personaggi, la logica del consociativismo (cioè tutti devono essere d’accordo) deve essere abbattuta. Da subito le prima lodi per la riforma sono arrivate dalla Commissione Europea direttamente da Bruxelles. A sorpresa, però, questo inedito governo di bankster, trova il consenso diretto ed esplicito anche di Bonanni, segretario Cisl, il quale afferma che il mondo è cambiato e necessita di riforme (anche a costo probabilmente di rimetterci buona parte della tutela dei lavoratori). Infine, la Marcegaglia, presidente di Confindustria, quale buona borghese, minaccia che se la riforma dovesse essere ritoccata ai danni delle aziende e a favore dei lavoratori non avrebbe senso portarla avanti.
Tracciate quindi le linee guida del provvedimento, e ascoltate le voci dei protagonisti è possibile già trarre alcune considerazioni. Per onestà intellettuale due punti vanno comunque lodati: in primis, il nuovo ASPI universale che tutelerà una più vasta gamma rispetto alla vecchia mobilità di ex lavoratori. In secondo luogo la mini tassa inserita per le aziende in caso di licenziamento.
Molte però rimangono le perplessità e le critiche verso questa riforma. In primis, davvero questo decreto legge assomiglia molto al “modello tedesco” (provate e rileggere e fatevi un’idea)? E se per assurdo un giorno un lavoratore decidesse di intentare una causa contro la sua azienda, visti i tempi e i modi giuridici attuali, quanto ci guadagnerebbe viste le enormi spese legali (d’altronde il peso di un avvocato a livello economico è maggiore per un normale cittadino che per un’azienda)? Infine, perché giustificare e favorire i licenziamenti anche dei contratti a tempo indeterminato per motivi economici e  poi millantare il punto nel quale si obbliga alle aziende dopo tre anni di lavoro a tempo determinato di far firmare un contratto a tempo indeterminato? Il precariato così è davvero arrivato verso un punto di non ritorno?
Contrari ovviamente, per grandi tratti, a questo decreto legge, affermiamo nuovamente la nostra posizione in difesa del lavoro quale cosa più alta, più nobile, più religiosa della vita. Solo creando occupazione, favorendo il lavoro giovanile, potremo un giorno costruirci un avvenire più glorioso. Nessuno stato, mai, è divenuto grande senza l’ausilio lavorativo dei propri cittadini. Nessuno stato, mai, dovrebbe  sfruttare la forza lavoro dei propri operai per trarne benefici non collettivi ma privati. Nessuno stato, mai, dovrebbe robotizzare l’essere umano riducendolo a mera aspettativa di guadagno. Contro l’usura monetaria e lavorativa, per la solidarietà e la giustizia sociale.

lunedì 2 aprile 2012

Hanno disintegrato la Nazione, ora distruggono lo Stato.

Conferenza del 21/03/2012, ore 18:00, presso lo spazio libero Tenaglia. Tenaglia è il nucleo. E’ aggregazione e promozione sociale. E’ officina delle idee. La nostra forgia ha una fiamma che brucia le parole futili. Parole spesso martirizzate rispetto al loro senso. Parole di cui si è spesso abusato, o ignorato il significato. Al Tenaglia si tenta di far suonare le parole “forte e chiaro”, si prova a produrne “poche ma buone”. Cercano di essere attuali, in un momento storico come questo. Parlano di una crisi avanti alla svendita in sordina dello stato nazionale mediante i suoi gioielli industriali.
La Nazione invece, la sua idea, l’hanno distrutta tempo fa.
Quindi se ci chiedono perché è importante esserci quando si parla “poco ma bene” noi amiamo rispondere che:”quando si parla troppo si perde di vista che il tempo d’agire è già giunto”.
Ha parlato al Tenaglia Giuseppe Parlato, presidente della Fondazione Ugo Spirito-Renzo De Felice e professore di storia contemporanea; ha parlato Paolo Zanetov, scrittore e ricercatore presso l’Istituto Luce.

Al Tenaglia si parla di Nazione. Dei processi di disgregazione della cultura storica dell’Italia unita rispetto la diffusione, o meglio, della riaffermazione dei particolarismi. Si torna indietro dunque, di quasi duecento anni, all’Italia del 1815, ancora prima a quella dei Comuni; uno spettro lontano secoli rispetto la Nazione della “primavera dei popoli”, del 1848.
Eppure la cultura, anche quella politica, dovrebbe essere il motore dell’evoluzione di uno stato e di una nazione che nata tardi, resta unita e compatta, in un fronte di popolo, davanti le difficoltà che gli si prospettano a spregio di un individualismo cinico e spietato figlio di questo tempo.
Hanno disintegrato la Nazione, ora distruggono lo Stato.
Si è dimenticato che l’Italia, riportando Zanetov :”Non è unita da un legame razziale, bensì da un excursus storico, da un’esperienza comune che trova il proprio riconoscimento nei processi di formazione della sua idea di Nazione e, congiuntamente, di quelle di delegittimazione della stessa.”.
A partire dal 1947, tutto quello che è stato il vero collante di un intero popolo, è stato gettato in pasto al mostro della dimenticanza. Parlato ci spiega come i padri fondatori della Nazione intesa come idea, da Pisacane a Mazzini, passando per Garibaldi erano “troppo fascisti” per permettere alla stessa di mantenere, questi uomini e le loro idee, come bagaglio culturale del proprio popolo. A dispetto di un recente rispolvero di figure come Garibaldi e di tutti i grandi uomini che hanno contribuito a “fare l’Italia”, l’impressione è che di tanti soltanto uno sia stato salvato: il riferimento è a Mameli. Che piuttosto della sua fine eroica, viere ricordato soltanto per il suo talento musicale. L’inno stesso, dello stato italiano è sempre meno l’inno della Nazione. Come se tutto si fosse ridotto ad un momento di folklore da rilegare ad una manifestazione sportiva, ad una commemorazione di facciata ! Bella l’Italia, purché non si parli di quanto sia bella la nazione !

Stiamo perdendo le nostre avanguardie culturali, soggetti alla “piccola Yalta” immediatamente dopo la fine del secondo conflitto mondiale, dove le nuove forze politiche presenti nello stato hanno spartito in settori i residui di ciò che al paese era rimasto: il PCI la cultura, la DC lo stato ed un terzo polo, di esclusi, ad occupare lo spazio compresso –oggi sempre più- dei temi sociali, tragicamente legati ad un’idea di stato sociale che troppo confluiva in quella liberal-democratica neo-atlantista.
Si é perso, definitivamente, negli anni il concetto di nazione. Si è distorto quello di “fazione”. Una volta considerato nucleo rivoluzionario, identitario, culturale oggi inteso come gruppo di interesse non solo politico ma economico. Testimonianza netta è l’appoggio fornito dai partiti italiani al governo Monti. Come possono forze politiche nazionali contribuire alla formazione prima e alla crescita poi di un’amministrazione banaria e dunque anti nazionale? Le lobby finanziarie comandano le fazioni. La Nazione è praticamente del tutto debellata. Chi vuole essere complice è ancora in tempo ….