martedì 25 febbraio 2014

Primo Carnera,il gigante buono che prese a pugni il mondo



Roccia ai piedi delle rocce generato, che andò a prendere a pugni il mondo, e poi fra le sue rocce è ritornato”

Il nome di Primo Carnera è legato in maniera inscindibile alla storia dell’Italia di Mussolini.Con lui nasce il mito dell’uomo più forte del mondo,dell’eroe che porta in alto il tricolore al di fuori dei confini nazionali.
L’inizio della sua storia non è certamente dei migliori ed è pieno di difficoltà;nato nel 1906 da una famiglia molto povera a Sequals, un paesino distante appena 40 chilometri da Udine, il suo percorso verso la gloria eterna partì da lontano. Con il padre chiamato alle armi per combattere la prima guerra mondiale, fu costretto a lasciare gli studi in quarta elementare ed,insieme ai suoi fratelli,a  mendicare. Emigra in Francia,dagli zii,dove viene assunto in un circo per fare “l’uomo forzuto” e dove girerà per tre anni le fiere di paese. Alto 205 centimetri per 125 chilogrammi di peso (solo alla nascita ne pesava otto!), ha i piedi tanto lunghi da calzare il numero 52,misura rara per l’epoca che lo costringe spesso a girare scalzo. Durante uno spettacolo viene notato da Paul Journèe,ex campione dei pesi massimi,che vede in quella montagna di muscoli le potenzialità del campione e si propose per allenarlo ed introdurlo nel mondo della “noble art”. Il debutto tra i professionisti è micidiale: vince a Parigi nel settembre del ’28 e vince i sei incontri successivi.
Attratto dal sogno americano si trasferisce nel ’30 negli U.S.A. dove la mafia,su consiglio del suo manager,fiuta l’affare ed investe su di lui. A novembre del 1930 sfida Paulino Uzcudun,ex campione europeo, in un match molto difficile dove subisce anche lo scetticismo della stampa italiana, poco preparata a quello che sta per accadere; ad aggravare una non facile situazione ci si mette il fatto che gli organizzatori dell’incontro lo costringono ad indossare dei guanti molto più piccoli di quelli in uso nei normali match di boxe. Inizialmente Carnera fu propenso a non accettare quella che riteneva un’ingiustizia ma poi il pensiero di deludere i circa 80 mila spettatori paganti lo fece tornare sui suoi passi e decise di combattere. L’incontro fu molto duro,con lo spagnolo sempre in vantaggio e l’Italiano che resistette e riuscì a vincere ai punti. Tutto d’un tratto le dichiarazioni dei giornalisti italiani cambiarono: l’Italia, ma anche il mondo intero, si erano accorti di Primo Carnera. Chiude il 1930 con uno score da urlo: 25 vittorie ed una sola sconfitta!Nel ’33 vince contro Ernie Schaaf provocandogli un’emorragia cerebrale che si rivelerà fatale e lo farà morire 4 giorni dopo il match per la potenza dei pugni ricevuti; pensa al ritiro per il rimorso dell’accaduto,ma gli amici ed il manager lo convincono ad andare avanti.


Il 29 giugno del 1933 al Madison Square Garden di New York affronta Jack Sharkey per il titolo mondiale e vince alla sesta ripresa per knockout diventando il primo Italiano nella storia ad essere campione del mondo dei pesi massimi! La notizia della sua vittoria e l’immagine del pugno del ko fanno il giro del pianeta,il tutto amplificato dal fatto di aver battuto il detentore del titolo in casa sua. Vedere il Tricolore issato sui palchi americani e l’Inno Nazionale suonato all’estero in segno di trionfo fu un risarcimento morale e sentimentale per gli emigranti italiani che vedevano in lui e nelle sue imprese il proprio riscatto,un riscatto che l’Italia trovò con Carnera in una triplice direzione: motivo d’orgoglio per gli emigranti,rivalsa del “paesano” contro i giganti americani ed infine il riscatto della provincia contadina rispetto alla metropoli.
Mussolini stravede questo personaggio che sembra fatto su misura per un regime che esalta la virtù dello sport e che fà del culto del corpo,della forza esuberante e del tratto antiborghese le proprie fondamenta e si complimenta con lui via telegramma dopo l’impresa;Carnera risponde letteralmente “Il mio primo pensiero dopo la vittoria è stato per la mia patria,l’Italia e per il Duce “. S’impone per difendere il titolo mondiale in Italia,pur dovendo chiedere aiuto alla mafia perché sotto contratto con il Madison Square Garden,e ci riesce. Il 22 ottobre del ’33 sfida nuovamente,a Roma,Uzcudun davanti a 70 mila persone. L’evento è imponente,per l’occasione vengono aboliti i biglietti omaggio e lo stesso Mussolini fu costretto a comprarli. Carnera sente su di se la responsabilità,sa che i suoi pugni sono le armi di un paese e sa di avere nel suo angolo l’intera Nazione. Rifiuta il compenso per una questione di rispetto e combatte indossando la Camicia Nera! Vince ai punti mandando in estasi un  popolo intero,orgoglioso del suo “maciste” divenuto ormai il simbolo dell’Italia Fascista,un lottatore dotato di una tecnica non eccelsa ma con un pugno d’acciaio,un gigante buono che racchiude gli altri,tutti gli altri,che finalmente si sentono uniti dietro lo sguardo fiero di un combattente,un campione di razza italica.


Si affaccia dal balcone di piazza Venezia con la divisa della Milizia Fascista e diventa il modello ideale di Italiano. La sua immagine viene usata per fumetti,manifesti ed articoli di giornale che narrano delle sue imprese. Perde il titolo nel ’34 contro Max Baer,quando accetta di salire sul ring nonostante l’arresto,avvenuto il giorno stesso,del suo manager. Il referto medico alla fine dell’incontro pare quasi un’autopsia:  caviglia lussata,mano fratturata,due costole incrinate ed occhio semichiuso. Va al tappeto 11 volte ma si rialza sempre! Solo l’interruzione da parte dell’arbitro fa chiudere il match: è un gigante anche con il cuore che ha vissuto la propria vita e la propria carriera sportiva recitando alla perfezione il motto “lottare sempre,arrendersi mai!”.Fu vietato mostrare le sue immagini al tappeto. L’Italia di Mussolini entrò in quel corpo,lo invase e lo requisì. Carnera smise di appartenersi prestando tutto se stesso alla Nazione,un destino che capita solo ai campioni più puri. Un personaggio che ha incarnato alla perfezione il mito e l’ambizione del fascismo, nato con l’obiettivo, riuscito pienamente,di una Grande Italia ed il relativo disprezzo dell’italietta giolittiana neutralista precedente. Di quel sogno D’annunzio fu il vate, Mussolini il duce e Carnera il testimonial muscolare,un uomo che scelse di caricarsi sulle proprie spalle l’onere e l’onore di portare la propria Patria in cima al mondo.

Onore a Primo Carnera, campione del mondo in Camicia Nera!
“I pugni si danno,i pugni si prendono. Questa è la boxe,questa è la vita. E io nella vita ne ho presi tanti di pugni,veramente tanti. Ma lo rifarei,perché tutti i pugni che ho preso sono serviti a far studiare i miei figli “

martedì 11 febbraio 2014

Mal Di Trasferta: L'Italia perde ancora



Sono passati due anni ormai da quando i due militari italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono stati accusati dell’uccisione di due pescatori indiani in acque internazionali durante un operazione antipirateria.  Due anni di carcere ingiustificato, di accuse ridicole e di libertà totalmente privata. Ma soprattutto due anni di solitudine: l’Italia, infatti, si è dimostrata ancora una volta debole dal punto di vista diplomatico, poiché non è riuscita a riportare i nostri soldati in patria se non per un piccolo permesso di due settimane concesso dall’India. Una situazione che ha fatto emergere la poca sovranità del nostro paese.  Ma non è l’unico caso.

Giovedi 28 novembre 2013, si gioca la partita Legia Varsavia-Lazio, gara (inutile ai fini del risultato) di Europa League. Subito, però, Nel pre partita vengono fermati circa 150 tifosi biancocelesti. Il tutto a scopo preventivo perché di disordini veri e propri non ce ne sono stati. Forse qualche lancio di bottiglia contro una camionetta ad opera di una decina di tifosi ma nulla di più,niente auto incendiate,niente vetrine rotte, niente poliziotti contusi,nessun contatto tra opposte tifoserie: niente di niente. In effetti non si parla di arresti ma solo di fermi per identificazione. Ma per quale motivo? I laziali fermati vengono presi a caso,si pesca nel mucchio,come spesso succede non si fa distinzione tra uomini,donne e bambini. Vengono smistati nelle varie caserme della capitale polacca ed alcuni addirittura vengono portati in distretti distanti parecchi chilometri da Varsavia. Giusto il tempo di prendere i documenti per poi essere rilasciati e ricondotti allo stadio,qualcuno avrebbe pensato. Quelle persone lo stadio non lo vedranno mai. Ma facciamo un passo indietro,al giorno precedente la partita, quando un gruppo di circa 20 laziali si reca nella capitale polacca e viene a contatto con un altro gruppo di tifosi del Legia che li aveva nel frattempo intercettati. Morale della favola: laziali fermati,identificati e processati con l’obbligo di lasciare la Polonia e non farvi più ritorno.
Mettiamoci anche che nei giorni precedenti la stampa italiana in particolare aveva sottolineato il fatto che le due tifoserie fossero legate da orientamenti politici simili e che per di più entrambi i club avevano ricevuto una squalifica dall’Uefa per cori razzisti. Mettiamoci tutto, ma come ha reagito il nostro paese di fronte a questa notizia? Semplicemente non ha reagito! E la prova più eclatante è che esattamente due mesi dopo quella maledetta partita gli ultimi due tifosi laziali hanno lasciato il carcere di Bialoleka,scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare. E ritornando a quel maledetto 28 novembre, alcuni tra i fermati sono ritornati a casa solo un paio di giorni dopo, altri dopo una settimana ma una parte di loro addirittura si è fatta settimane di carcere tra udienze, iter burocratici insensati e istanze di scarcerazione respinte. Famiglie che non avevano notizie dei loro figli e istituzioni italiane assenti. Questo era il quadro per una partita di calcio. Il bello è che tutto questo è avvenuto in un paese dell’Unione europea.
Solo dopo qualche giorno il capo del governo, Enrico Letta, si è recato personalmente a Varsavia per cercare di trovare una soluzione a quello che era successo. Il primo ministro polacco Tunsk aveva promesso all’Italia che sarebbe stato massimo l’impegno delle autorità polacche nell’accelerare le procedure, nonostante il ministro degli interni Sinklewicz abbia definito “banditi” i tifosi della lazio.
Ridicoli poi sono i reati imputati:  si va dal disturbo della quiete pubblica (“schiamazzi” per la precisione”) fino alla resistenza a pubblico ufficiale. Tutto inventato, chiaramente.  Inoltre L’Italia non è riuscita nemmeno a far concedere la residenza a Varsavia per evitare la scarcerazione. In poche parole quei tifosi, anzi quei cittadini italiani sono stati completamente abbandonati a se stessi e solo la vicinanza dei propri familiari,degli amici e di tutti quelli che hanno a cuore i propri cittadini ha reso la distanza tra Roma e Varsavia più breve.

Va ricordato, tra l’atro, che prima della gara di andata a Roma, abbiamo assistito a scene di saccheggio, e tentati scontri con la polizia. Ma alla fine nessuno ha pagato. In poche parole qui a casa nostra hanno fatto il bello e il cattivo tempo senza essere puniti e li è successo invece tutto il contrario. I tifosi laziali sono stati perfino costretti a firmato documenti scritti interamente in lingua polacca e senza un interprete nei quali c’era scritto che venivano accusati di cose mai fatte, chiedendo un patteggiamento e pagando delle multe senza un valido motivo.

Quello che ci rende felici è che finalmente questa vicenda sia finita. Tutti i ragazzi sono tornati a casa. Ma ripetiamo,la cosa che invece ci rende più amareggiati è stata l’assenza del nostro paese, l’incapacità di difendere i propri cittadini perfino in paesi giuridicamente arretrati.
Ieri i Marò, oggi i Laziali. Da domani, si salvi chi può.