mercoledì 4 aprile 2012

Art.18: Affittasi giovane Lavoratore

Dopo la riforma finanziaria e il decreto legge sulle liberalizzazioni il governo Monti partorisce il terzo “grande” provvedimento della sua amministrazione: la riforma dell’Art. 18 dello Statuto dei lavoratori, emesso nel 1970.  Fino ad oggi considerato “intoccabile” dalle parti sociali e dalla maggior parte dei sindacati e partiti politici, l’art. 18 sembra essere però davvero arrivato al capolinea. Il governo, infatti, deciso più che mai (e ci mancherebbe: non ha nulla da perdere)  ad attuare la riforma sembra passare oltre l’opposizione della Cgil, della Fiom e di alcuni partiti italiani (vedi Italia dei valori, Partito Democratico, Lega Nord). Secondo Monti & Co. (la sigla ci piace, sa di multinazionale) la riforma renderebbe il lavoro più flessibile e dinamico sopratutto per i giovani, oggi chiusi da logiche lavorative nepotiste e gerontocratiche. L’obiettivo numero uno è quello di abbattere il precariato ispirandosi al “modello tedesco”.  Tutto ciò sarà permesso grazie ad un ritocco dei vari contratti per evitare abusi e usi scorretti.
Ma vediamo, in maniera ordinata, cos’me è oggi e come sarà domani l’Art. 18 in questione (analisi finalizzata inoltre con il riferimento al famigerato “modello tedesco”).
Ad oggi l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori tutela l’operaio, l’impiegato italiano da licenziamenti illegittimi (cioè senza una causa fondamentale , perché discriminatorio, perché effettuato senza comunicazione) nelle unità produttive con più di 15 dipendenti (prettamente agricole), o nelle aziende con più di 60 dipendenti. Nell’attuale clima lavorativo italiano, caratterizzato da un frustrante precariato (soprattutto per i giovani) è una delle poche norme che tutelano effettivamente una parte dei dipendenti pubblici e privati del nostro paese.
La riforma, invece, prevede la nullità del licenziamento discriminatorio in qualsiasi situazione, ma la piena applicabilità di quello per “oggettiva causa” cioè per motivi economici legati all’azienda. Il giudice poi, in quest’ultimo caso, deciderà se sancire il reintegro del dipendente non accogliendo la domanda di licenziamento, oppure di concedere un indennizzo (che oscillerà tra le 15 e 27 mensilità). In caso di licenziamento, l’azienda dovrà pagare una tassa pari ad una mensilità e mezzo. Inoltre saranno penalizzati i contratti a termine (esclusi quelli stagionali o sostitutivi) con un contributo aggiuntivo dell'1,4% da versare per il finanziamento del nuovo sussidio di disoccupazione. Per i contratti a termine non saranno possibili proroghe oltre i 36 mesi (successivamente scatterà il contratto di lavoro a tempo indeterminato). La riforma inoltre prevede l’obbligo di pagare (seppur non stabilito nei modi e nei tempi) ogni stage che un giovane offre all’azienda. Il nuovo sistema andrà a regime nel 2017. L’ Aspi (l'assicurazione sociale per l'impiego) sarà universale, sostituirà l'attuale indennità di disoccupazione (famosa mobilità). Durerà 12 mesi (18 per gli over 55) e dovrebbe valere il 75% della retribuzione lorda fino a 1.150 euro, e il 25% per la quota superiore a questa cifra, con un tetto di 1.119 euro lordi per il sussidio. Si riduce dopo i primi sei mesi. Sarà quindi più alta dell'indennità attuale che al suo massimo raggiunge il 60% della retribuzione lorda. Non verrà toccata la cassa integrazione, sarà ridotta l’apertura di nuove partite iva, e vi sarà un fondo di sussidio per gli anziani che perdono il posto di lavoro a pochi anni dal raggiungimento della pensione. Infine, maggiori paletti e vincoli burocratici saranno inseriti per scoraggiare i contratti a termini, a chiamata e a progetto. 
Tutta la riforma sarà ovviamente orientata alla similitudine con il  “modello tedesco”.  In sostanza, cioè, la possibilità di patteggiare un accordo con un indennizzo economico per evitare una causa dinanzi al giudice. Ma se il lavoratore tedesco è convinto di avere ragione, allora intenterà una causa contro la vecchia azienda. Se il licenziamento sarà giudicato illegittimo allora sarà nullo e vi sarà un reintegro con tanto di penali per il datore di lavoro e il pagamento dei salari per il periodo tra il licenziamento e la sentenza.  Inoltre in Germania, il licenziamento va prima comunicato alla rappresentanza sindacale, la quale, se non lo riterrà giustificato, apporrà un atto scritto che in caso di via legale avrà un sicuro peso. Infine se l’azienda decide di licenziare qualche suo dipendente per motivi economici, dovrà decidere solo quello con minore esperienza interna e che non ha famiglia a carico.
Numerose son state da subito le critiche di vasti settori dell’opinione politica e sindacale nostrana. Bersani ha dichiarato su Rai 1 a “Porta a Porta” che la riforma è inammissibile, contraria a logiche naturali. Zipponi (responsabile del settore lavoro dell’Italia dei valori) ha rilasciato su “Rinascita” una bellissima intervista nella quale sostiene la distruzione dello stato sociale accelerata da quest’ultimo governo. Conferma la propria contrarietà alla riforma e la difesa obbligatoria alla classe operaia italiana e del diritto al lavoro. La Camusso (Cgil) e Landini (Fiom)e la Ugl sono assolutamente contrari a tale decreto legge, non credono che le imprese tagliando il costo del lavoro riescano a tornare competitive nel mercato del lavoro globale e capitalista. Esigono la tutela del lavoratore. Per loro la riforma non crea posti lavoro, non elimina il precariato e non aumenta affatto gli ammortizzatori sociali. Gli operai liguri (Genova su tutti), piemontesi (Torino soprattutto) e toscani (Pisa e Firenze) son già scesi dal conto loro in piazza per protestare, occupando inoltre diversi tratti autostradali e creando numerosi disagi agli autotrasportatori. Ma nonostante le numerose opposizioni il governo Monti, capeggiato dal ministro delle politiche sociali e del lavoro, Elsa Fornero, non effettuerà alcun passo indietro arrivando addirittura a minacciare dimissioni immediate nel caso il decreto non passi al Parlamento. Secondo questi simpatici personaggi, la logica del consociativismo (cioè tutti devono essere d’accordo) deve essere abbattuta. Da subito le prima lodi per la riforma sono arrivate dalla Commissione Europea direttamente da Bruxelles. A sorpresa, però, questo inedito governo di bankster, trova il consenso diretto ed esplicito anche di Bonanni, segretario Cisl, il quale afferma che il mondo è cambiato e necessita di riforme (anche a costo probabilmente di rimetterci buona parte della tutela dei lavoratori). Infine, la Marcegaglia, presidente di Confindustria, quale buona borghese, minaccia che se la riforma dovesse essere ritoccata ai danni delle aziende e a favore dei lavoratori non avrebbe senso portarla avanti.
Tracciate quindi le linee guida del provvedimento, e ascoltate le voci dei protagonisti è possibile già trarre alcune considerazioni. Per onestà intellettuale due punti vanno comunque lodati: in primis, il nuovo ASPI universale che tutelerà una più vasta gamma rispetto alla vecchia mobilità di ex lavoratori. In secondo luogo la mini tassa inserita per le aziende in caso di licenziamento.
Molte però rimangono le perplessità e le critiche verso questa riforma. In primis, davvero questo decreto legge assomiglia molto al “modello tedesco” (provate e rileggere e fatevi un’idea)? E se per assurdo un giorno un lavoratore decidesse di intentare una causa contro la sua azienda, visti i tempi e i modi giuridici attuali, quanto ci guadagnerebbe viste le enormi spese legali (d’altronde il peso di un avvocato a livello economico è maggiore per un normale cittadino che per un’azienda)? Infine, perché giustificare e favorire i licenziamenti anche dei contratti a tempo indeterminato per motivi economici e  poi millantare il punto nel quale si obbliga alle aziende dopo tre anni di lavoro a tempo determinato di far firmare un contratto a tempo indeterminato? Il precariato così è davvero arrivato verso un punto di non ritorno?
Contrari ovviamente, per grandi tratti, a questo decreto legge, affermiamo nuovamente la nostra posizione in difesa del lavoro quale cosa più alta, più nobile, più religiosa della vita. Solo creando occupazione, favorendo il lavoro giovanile, potremo un giorno costruirci un avvenire più glorioso. Nessuno stato, mai, è divenuto grande senza l’ausilio lavorativo dei propri cittadini. Nessuno stato, mai, dovrebbe  sfruttare la forza lavoro dei propri operai per trarne benefici non collettivi ma privati. Nessuno stato, mai, dovrebbe robotizzare l’essere umano riducendolo a mera aspettativa di guadagno. Contro l’usura monetaria e lavorativa, per la solidarietà e la giustizia sociale.

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