giovedì 7 agosto 2014

Anche in Libia, l’Italia è responsabile!



Correva l’anno 2011 quando il Rais Gheddafi, dopo più di 40 anni alla guida politica e militare della Libia,  fu deposto e ucciso dai ribelli armati dall’Occidente democratico. Subito si formò Il CNT libico (Consiglio nazionale di Transizione) per colmare il vuoto di potere lasciato dalla rivoluzione civile. Un governo provvisorio che raccoglieva le speranze di pace e democrazia dei giovani libici dopo decenni di terrore e dittatura. Almeno questa è la storia che ci hanno raccontato.

Va detto però che la realtà è ben differente. Oggi, infatti, la Libia non si può considerare una nazione, e tantomeno uno Stato, unito e indipendente. Dal famoso “No Fly zone” imposto da ONU e NATO nel lontano 2010, ha perso completamente sovranità e unità. Nel Giugno del 2014 si sono tenute in tutto il territorio nazionale le prime elezioni presidenziali, ma il governo ancora deve definitivamente insediarsi. Non sono poi mancate le solite accuse di brogli elettorali, non sono mancate addirittura le “liste di proscrizione” che hanno vietato di eleggere tutti coloro che parteciparono più o meno direttamente al regime Gheddafi, e non sono mancate le sorprese: i risultati delle elezioni sono stati pubblicati solo a fine Luglio e i libici che hanno partecipato alle votazioni non sono stati più del 45%.

In questo clima di generale sfiducia politica, va sottolineata la paura sociale. Sia il basso numero di affluenti al voto, sia il fatto che il governo debba ancora insediarsi dopo due mesi quasi dalle elezioni sono dati che fanno riflettere: colpa soprattutto dei gruppi di fondamentalisti islamici e dei loro continui attentati sui civili e sui rappresentati governativi che son costate la vita a migliaia di persone (tra cui donne e bambini) dall’inizio di questa folle guerra per il potere. Questi gruppi terroristici presenti in tutte le regioni della Libia (dalla Cirenaica alla Tripolitana passando per il Fezzan)  spadroneggiano a causa dell’alto tasso di corruzione della polizia locale nonostante negli ultimi tre anni il numero delle forze dell’ordine sia salito fino a 300.000 unità totali (compreso l’esercito). Ma disarmare i miliziani islamici è impossibile: si conta che oggi in Libia vi siano addirittura più di venti  milioni di armi presenti ( la maggior parte finanziate da Qatar e Arabia Saudita). A Bengasi i fondamentalisti hanno anche proclamato un Emirato islamico indipendente nonostante abbiamo perso le elezioni (seppur con 23 seggi conquistati in Parlamento).

Stando alle testimonianze che ogni giorno ci pervengono, la gente anche a Tripoli e Bengasi non esce più di casa. Ci sono continui rapimenti e richieste di riscatto. Alcuni pregano affinché vi sia un intervento militare dei caschi blu dell’Onu. Insomma: la Libia del dopo Gheddafi, la Libia democratica, la Libia della “Primavera Araba” ha toccato il fondo.

Una situazione che un paese come l’Italia non avrebbe mai dovuto permettere, sia per un senso di umanità e solidarietà verso un paese storicamente così a noi legato e geograficamente così vicino, sia per tre motivi politici: immigrazione, scambi commerciali ed energetici, sicurezza dei suoi operai in Libia.

Solo dopo centinaia di morti sulle coste del Mediterraneo e migliaia di sbarchi clandestini sulle nostre isole, il premier Renzi si è accorto che l’operazione Mare Nostrum andava ridiscussa con l’Europa. Recentemente ha infatti dichiarato: "Penso che oggi sia fondamentale che le Nazioni Unite mandino un inviato speciale ed è giusto che l'Italia ponga il problema della Libia al vertice Nato del 4 e 5 settembre. Il 97% dell'immigrazione clandestina che arriva in Italia viene dalla Libia. Possiamo fare tutti gli slogan del mondo: se vogliamo risolvere il problema dell'immigrazione dobbiamo risolvere il problema della Libia". Come dire: meglio tardi che mai!


Senza considerare poi i risvolti negativi sia economici sia energetici. La Libia, dopo il famoso e discusso Trattato di Bengasi firmato con il governo Berlusconi nel 2005 (che ha praticamente regalato circa quattro miliardi di euro agli “amici” libici come spesa di rimborso per le operazioni militari durante la seconda guerra mondiale) , si era impegnata a favorire la produzione italiana sul suo suolo e a fornire ad un prezzo vantaggioso gas proveniente dai suoi gasdotti. Il 10% del gas e del petrolio da noi importato proviene dal “Greenstream Pipeline”: un’infrastruttura imponente, operata da Eni al 75%, che con i suoi 520 km rappresenta il gasdotto più lungo del Mar Mediterraneo. Gli scontri dell’ultimo mese tra i fondamentalisti hanno avuto come teatro principale Tripoli e i suoi dintorni. A preoccupare l’Italia è il fatto che  il gasdotto disti solamente 80 km dalla capitale libica. Se la stazione di compressione dovesse essere coinvolta negli scontri o dovesse finire nelle mani sbagliate, il rischio è che il flusso di gas verso l’Italia possa essere interrotto.

Non vanno poi certo dimenticati i quattro operai italiani rapiti in questi anni in Libia. Alcuni dei quali mai ritrovati e presumibilmente morti (vista la sicura mancanza di cure di cui necessitavano).  Altri invece liberati solo sotto riscatto. L’ultimo tra questi Marco Vallisa, un tecnico italiano di 53 anni, esperto di costruzioni originario di Cadeo (Piacenza) che lavora nella città costiera di Zuwara in un cantiere della modenese Piacentini Costruzioni. La Piacentini sta lavorando alla ricostruzione e all’ammodernamento del porto della città.

Già nel lontano 2011, con la nostra campagna di affissioni per la capitale, avvisammo di questi rischi sociali e politici, schierandoci apertamente contro l’intervento dell’Italia e dell’ONU nel conflitto. Da quella guerra avremmo ricevuto solo risvolti negativi. Ma la nostra classe politica miope e asservita al potere finanziario internazionale pensò bene di rispettare a testa bassa ogni ordine impartito da ONU, NATO, compagnie energetiche, Stati Uniti e Francia senza pensare alle drastiche conseguenze (anche economiche) che avrebbero colpito il nostro paese. E così schierò i suoi sedici cacciabombardieri, i suoi rifornitori e le sue basi navali e aeree di Trapani, Pantelleria, ecc. per dichiarare guerra a un paese ormai già in ginocchio da tempo. D’altronde anche noi da decenni non abbiamo sovranità. Non possiamo prendercela con nessuno, se non con noi stessi, se aumentano a dismisura  gli immigrati, se non avremo mai indipendenza energetica, se i nostri cittadini (o soldati, dipende dai casi) in giro per il mondo non saranno mai sicuri. È colpa degli italiani che da decenni votano i moderati, i liberali, i democratici. Gente asservita ad un potere più grande che non migliorerà mai il nostro paese perche antepone gli interessi di pochi a quelli collettivi. Se in Libia i civili continuano a morire è anche colpa dell’Italia democratica che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli” (Cit. Costituzione)…..

 




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