
Va detto però che la realtà è ben differente. Oggi, infatti,
la Libia non si può considerare una nazione, e tantomeno uno Stato, unito e
indipendente. Dal famoso “No Fly zone” imposto da ONU e NATO nel lontano 2010,
ha perso completamente sovranità e unità. Nel Giugno del 2014 si sono tenute in
tutto il territorio nazionale le prime elezioni presidenziali, ma il governo
ancora deve definitivamente insediarsi. Non sono poi mancate le solite accuse
di brogli elettorali, non sono mancate addirittura le “liste di proscrizione”
che hanno vietato di eleggere tutti coloro che parteciparono più o meno
direttamente al regime Gheddafi, e non sono mancate le sorprese: i risultati
delle elezioni sono stati pubblicati solo a fine Luglio e i libici che hanno
partecipato alle votazioni non sono stati più del 45%.
In questo clima di generale sfiducia politica, va
sottolineata la paura sociale. Sia il basso numero di affluenti al voto, sia il
fatto che il governo debba ancora insediarsi dopo due mesi quasi dalle elezioni
sono dati che fanno riflettere: colpa soprattutto dei gruppi di fondamentalisti
islamici e dei loro continui attentati sui civili e sui rappresentati
governativi che son costate la vita a migliaia di persone (tra cui donne e
bambini) dall’inizio di questa folle guerra per il potere. Questi gruppi
terroristici presenti in tutte le regioni della Libia (dalla Cirenaica alla
Tripolitana passando per il Fezzan)
spadroneggiano a causa dell’alto tasso di corruzione della polizia
locale nonostante negli ultimi tre anni il numero delle forze dell’ordine sia
salito fino a 300.000 unità totali (compreso l’esercito). Ma disarmare i
miliziani islamici è impossibile: si conta che oggi in Libia vi siano
addirittura più di venti milioni di armi
presenti ( la maggior parte finanziate da Qatar e Arabia Saudita). A Bengasi i
fondamentalisti hanno anche proclamato un Emirato islamico indipendente
nonostante abbiamo perso le elezioni (seppur con 23 seggi conquistati in
Parlamento).

Una situazione che un paese come l’Italia non avrebbe mai
dovuto permettere, sia per un senso di umanità e solidarietà verso un paese
storicamente così a noi legato e geograficamente così vicino, sia per tre
motivi politici: immigrazione, scambi commerciali ed energetici, sicurezza dei
suoi operai in Libia.
Solo dopo centinaia di morti sulle coste del Mediterraneo e
migliaia di sbarchi clandestini sulle nostre isole, il premier Renzi si è
accorto che l’operazione Mare Nostrum andava ridiscussa con l’Europa.
Recentemente ha infatti dichiarato: "Penso che oggi sia
fondamentale che le Nazioni Unite mandino un inviato speciale ed
è giusto che l'Italia ponga il problema della Libia al vertice Nato del 4 e 5
settembre. Il 97% dell'immigrazione clandestina che arriva in Italia viene
dalla Libia. Possiamo fare tutti gli slogan del mondo: se
vogliamo risolvere il problema dell'immigrazione dobbiamo risolvere il problema
della Libia". Come dire: meglio tardi che mai!

Non vanno poi certo dimenticati i
quattro operai italiani rapiti in questi anni in Libia. Alcuni dei quali mai
ritrovati e presumibilmente morti (vista la sicura mancanza di cure di cui
necessitavano). Altri invece liberati
solo sotto riscatto. L’ultimo tra questi Marco Vallisa, un tecnico italiano
di 53 anni, esperto di costruzioni originario di Cadeo (Piacenza) che lavora
nella città costiera di Zuwara in un cantiere della modenese Piacentini Costruzioni.
La Piacentini sta lavorando alla ricostruzione e all’ammodernamento del porto
della città.

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