Correva l’anno 2011 quando il Rais Gheddafi, dopo più di 40
anni alla guida politica e militare della Libia, fu deposto e ucciso dai ribelli armati
dall’Occidente democratico. Subito si formò Il CNT libico (Consiglio nazionale
di Transizione) per colmare il vuoto di potere lasciato dalla rivoluzione
civile. Un governo provvisorio che raccoglieva le speranze di pace e democrazia
dei giovani libici dopo decenni di terrore e dittatura. Almeno questa è la
storia che ci hanno raccontato.
Va detto però che la realtà è ben differente. Oggi, infatti,
la Libia non si può considerare una nazione, e tantomeno uno Stato, unito e
indipendente. Dal famoso “No Fly zone” imposto da ONU e NATO nel lontano 2010,
ha perso completamente sovranità e unità. Nel Giugno del 2014 si sono tenute in
tutto il territorio nazionale le prime elezioni presidenziali, ma il governo
ancora deve definitivamente insediarsi. Non sono poi mancate le solite accuse
di brogli elettorali, non sono mancate addirittura le “liste di proscrizione”
che hanno vietato di eleggere tutti coloro che parteciparono più o meno
direttamente al regime Gheddafi, e non sono mancate le sorprese: i risultati
delle elezioni sono stati pubblicati solo a fine Luglio e i libici che hanno
partecipato alle votazioni non sono stati più del 45%.
In questo clima di generale sfiducia politica, va
sottolineata la paura sociale. Sia il basso numero di affluenti al voto, sia il
fatto che il governo debba ancora insediarsi dopo due mesi quasi dalle elezioni
sono dati che fanno riflettere: colpa soprattutto dei gruppi di fondamentalisti
islamici e dei loro continui attentati sui civili e sui rappresentati
governativi che son costate la vita a migliaia di persone (tra cui donne e
bambini) dall’inizio di questa folle guerra per il potere. Questi gruppi
terroristici presenti in tutte le regioni della Libia (dalla Cirenaica alla
Tripolitana passando per il Fezzan)
spadroneggiano a causa dell’alto tasso di corruzione della polizia
locale nonostante negli ultimi tre anni il numero delle forze dell’ordine sia
salito fino a 300.000 unità totali (compreso l’esercito). Ma disarmare i
miliziani islamici è impossibile: si conta che oggi in Libia vi siano
addirittura più di venti milioni di armi
presenti ( la maggior parte finanziate da Qatar e Arabia Saudita). A Bengasi i
fondamentalisti hanno anche proclamato un Emirato islamico indipendente
nonostante abbiamo perso le elezioni (seppur con 23 seggi conquistati in
Parlamento).
Stando alle testimonianze che ogni giorno ci pervengono, la
gente anche a Tripoli e Bengasi non esce più di casa. Ci sono continui
rapimenti e richieste di riscatto. Alcuni pregano affinché vi sia un intervento
militare dei caschi blu dell’Onu. Insomma: la Libia del dopo Gheddafi, la Libia
democratica, la Libia della “Primavera Araba” ha toccato il fondo.
Una situazione che un paese come l’Italia non avrebbe mai
dovuto permettere, sia per un senso di umanità e solidarietà verso un paese
storicamente così a noi legato e geograficamente così vicino, sia per tre
motivi politici: immigrazione, scambi commerciali ed energetici, sicurezza dei
suoi operai in Libia.
Solo dopo centinaia di morti sulle coste del Mediterraneo e
migliaia di sbarchi clandestini sulle nostre isole, il premier Renzi si è
accorto che l’operazione Mare Nostrum andava ridiscussa con l’Europa.
Recentemente ha infatti dichiarato: "Penso che oggi sia
fondamentale che le Nazioni Unite mandino un inviato speciale ed
è giusto che l'Italia ponga il problema della Libia al vertice Nato del 4 e 5
settembre. Il 97% dell'immigrazione clandestina che arriva in Italia viene
dalla Libia. Possiamo fare tutti gli slogan del mondo: se
vogliamo risolvere il problema dell'immigrazione dobbiamo risolvere il problema
della Libia". Come dire: meglio tardi che mai!
Senza considerare poi i risvolti negativi sia
economici sia energetici. La Libia, dopo il famoso e discusso Trattato di
Bengasi firmato con il governo Berlusconi nel 2005 (che ha praticamente
regalato circa quattro miliardi di euro agli “amici” libici come spesa di
rimborso per le operazioni militari durante la seconda guerra mondiale) , si
era impegnata a favorire la produzione italiana sul suo suolo e a fornire ad un
prezzo vantaggioso gas proveniente dai suoi gasdotti. Il 10% del gas e del
petrolio da noi importato proviene dal “Greenstream Pipeline”: un’infrastruttura
imponente, operata da Eni al 75%, che con i suoi 520 km rappresenta il gasdotto
più lungo del Mar Mediterraneo. Gli scontri dell’ultimo mese tra i fondamentalisti
hanno avuto come teatro principale Tripoli e i suoi dintorni. A preoccupare
l’Italia è il fatto che il gasdotto disti
solamente 80 km dalla capitale libica. Se la stazione di compressione dovesse
essere coinvolta negli scontri o dovesse finire nelle mani sbagliate, il
rischio è che il flusso di gas verso l’Italia possa essere interrotto.
Non vanno poi certo dimenticati i
quattro operai italiani rapiti in questi anni in Libia. Alcuni dei quali mai
ritrovati e presumibilmente morti (vista la sicura mancanza di cure di cui
necessitavano). Altri invece liberati
solo sotto riscatto. L’ultimo tra questi Marco Vallisa, un tecnico italiano
di 53 anni, esperto di costruzioni originario di Cadeo (Piacenza) che lavora
nella città costiera di Zuwara in un cantiere della modenese Piacentini Costruzioni.
La Piacentini sta lavorando alla ricostruzione e all’ammodernamento del porto
della città.
Già nel lontano 2011, con la nostra campagna di affissioni
per la capitale, avvisammo di questi rischi sociali e politici, schierandoci
apertamente contro l’intervento dell’Italia e dell’ONU nel conflitto. Da quella
guerra avremmo ricevuto solo risvolti negativi. Ma la nostra classe politica
miope e asservita al potere finanziario internazionale pensò bene di rispettare
a testa bassa ogni ordine impartito da ONU, NATO, compagnie energetiche, Stati
Uniti e Francia senza pensare alle drastiche conseguenze (anche economiche) che
avrebbero colpito il nostro paese. E così schierò i suoi sedici cacciabombardieri,
i suoi rifornitori e le sue basi navali e aeree di Trapani, Pantelleria, ecc.
per dichiarare guerra a un paese ormai già in ginocchio da tempo. D’altronde
anche noi da decenni non abbiamo sovranità. Non possiamo prendercela con
nessuno, se non con noi stessi, se aumentano a dismisura gli immigrati, se non avremo mai indipendenza
energetica, se i nostri cittadini (o soldati, dipende dai casi) in giro per il
mondo non saranno mai sicuri. È colpa degli italiani che da decenni votano i
moderati, i liberali, i democratici. Gente asservita ad un potere più grande
che non migliorerà mai il nostro paese perche antepone gli interessi di pochi a
quelli collettivi. Se in Libia i civili continuano a morire è anche colpa
dell’Italia democratica che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà degli altri popoli” (Cit. Costituzione)…..
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