domenica 25 marzo 2012

Eurocrazia: Paradossi, Banche e Parole!

È inutile negarlo: l’era moderna è l’era del materialismo, della finanza, del denaro. Tutto ruota intorno all’economia (reale e non). Anche tutto ciò che concerne il piano sociale, inevitabilmente prima o poi, ricade su questa tematica. Non possiamo che constatare questo indiscusso fatto, seppur ogni tanto saremmo molto più felici di raccontarvi storie di contro informazione legate magari a qualche gesto eroico di un militante politico, o di soldato in difesa della propria terra, o di ardue decisioni sociali di un coraggioso politico.
Ma l’era moderna è anche e soprattutto l’era dei paradossi. Batte di gran lunga, infatti, il IV E V Secolo a.C. della Grecia di Zenone e di Parmenide, che con i propri paradossi (il primo) e la propria filosofia (il secondo) continuano a lasciare a bocca aperta milioni di studenti. Non a caso, il primo fra questi moderni paradossi, è il solito sistema capitalista (anzi iper capitalista) nel quale verte tutta la porzione atlantica del mondo e nella quale anche i suoi più grandi geni economici non riescono ancora a capire come in realtà funzioni questa truffa (pardon, chiamiamolo per ora ancora “sistema”). Altro paradosso dell’era contemporanea, per esempio, può essere l’ignoranza della massa moderna, non tanto sul piano culturale quanto su quello logico. Per esempio, milioni di persone hanno conseguito lauree magistrali con ottime votazioni, ma nonostante ciò, dopo anni di studio robotico, ancora non sanno spiegarsi come mai la benzina continui ad aumentare nonostante siano state finanziate decine di missioni belliche atte a impossessarsi di quasi tutti i pozzi petroliferi mondiali; non capiscono che cosa sia il debito pubblico e perché siamo costretti a pagare tasse fittizie (vedi, IMU, IVA, Ecc); non capiscono come mai il futuro dei giovani lavoratori sia destinato ormai a non essere più tutelato dallo stato sociale costruito con tanto impegno da Giolitti, prima e Mussolini poi (e soprattutto). E quando cerchi di dargli un quadro più chiaro dell’economia globale, che sappia rispondere a molte più domande di quanto si possa immaginare ti denigrano con appellativi del tipo: complotti sta, eversivo. Pure questo è un altro paradosso.
Questo articolo vuole raccontarvi altri due  paradossi. Strettamente connessi sul piano logico, ovviamente divisi dalla politica attuale europea.
Il primo è rappresentato dalla situazione ungherese e islandese attuale. Due paesi “ribelli” in cerca di libertà. L’Ungheria guidata dal conservatore (così lo definisce la stampa moderna, a noi invece pare più un rivoluzionario) Viktor Orban, capace in pochi mesi di vincere le elezioni con una cospicua maggioranza, modificare la costituzione del proprio paese,  rifiutarsi di sottostare esplicitamente all’usura del  Fondo Monetario Internazionale e tutti i suoi complici dell’Eurocrazia (appellativo “donato” da lui stesso alla CEE), aumentare il suo consenso, aizzare le piazze con slogan tanto rivoluzionari quanto sociali (“noi non siamo una colonia” per esempio, oppure “vogliamo essere liberi” e ancora “siamo sotto una dittatura forse più pesante di quella sovietica”e infine “l’Ungheria e gli ungheresi meritano rispetto, non siamo mai stati cosi forti prima d’ora”). L’Islanda, invece, ribellatasi dopo una vera e propria insurrezione popolare (che ricordiamo si rifiutò di pagare il debito a Gran Bretagna e Olanda circa un anno fa dopo il crollo delle sue tre più grandi banche, in quanto giudicato illegittimo) è ora indecisa se adottare il dollaro canadese come moneta unica e abbandonare (quasi certamente) la corona islandese odierna, ormai troppo debole sul piano internazionale. Vorrebbe dire rinuncia alla sovranità monetaria (e forse anche politica) ma significherebbe soprattutto un ennesimo gesto di ”ripicca” verso le plutocrazia europee, ree di aver provocato la più grande catastrofe economica della storia dell’isola nordica.
Eppure l’Ungheria e l’Islanda sono ora “vittime di un complotto internazionale” (citazione ancora una volta di Viktor Orban riguardo però soltanto il suo paese) che le vedono completamente abbandonate sul piano economico dal resto dell’Europa (ricevendo inoltre anche delle sanzioni finanziarie), e soprattutto oscurate sul piano dell’informazione nazionale dei vari paesi Occidentali, i quali, nelle rare occasione di discussione su queste due tematiche, si limitano come sempre a parlare della manifestazioni delle opposizioni (davvero limitate) facendo passare come quasi illegittimi i governi ora al potere.
Il secondo paradosso è relativo alla situazione (drammatica) portoghese. Il suo spread è salito a circa 1200 punti. Oggi il governo di Lisbona è costretto a pagare il 14% sui titoli a 10 anni. Con i CDS (Credit Default Swap) (una specie di polizze che coprono il rischio di fallimento dei titoli) le cose vanno peggio: son saliti a più di 1300 punti. Se si pensa che solo due anni fa erano stabili a 112 punti, vien da chiedersi come mai. Nonostante, inoltre, i 78 miliardi di prestito chiesti (come l’Irlanda e la Grecia) alla Troika (BCE-FMI-UE) il Portogallo non riesce ad uscire da questa assurda situazione: il PIL è diminuito di quasi 3 punti percentuali, la disoccupazione è aumentata al 14 % (al 35% tra i giovani). Ad oggi questi tassi non li reggerebbe nemmeno la Cina, la più forte economia del mondo (fonte: il sole 24 ore) . Ma il paradosso è un altro: il Portogallo sta chiedendo aiuto a due sue ex colonie: Brasile e Angola. Due stati che stanno comprando alcuni titoli (oggi fermi al 4%) sulle società (una volta pubbliche ora private) portoghesi, per onorare il piano di austerity dettato dalla Troika. Vergognosamente aiuti non solo arrivati sul piano finanziario ma anche su quello sociale: è in atto, infatti, una grande migrazione di giovani portoghesi verso queste due nazioni: più di trecentomila in Brasile , più di centomila in Angola.
Dati assolutamente non commentabili. Paradossi parlanti e più che esaustivi. Dunque, vien da chiedersi: ma questa Europa che la fate a fare? È solo di banche e di parole ….

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