Il “Made in Italy” ha sempre rappresentato un motivo di orgoglio nazionale. Essere consapevoli che un determinato prodotto veniva concepito in Italia ci trasmetteva una forte sensazione di potenza,quasi a sottolineare il fatto che,anche se indirettamente,noi stessi potevamo dire che avevamo contribuito alla sua nascita e realizzazione. Era bello sapere che quell’ “oggetto” nazionale andava ad abbracciare anche altri paesi. Ci sentivamo al centro del mondo perché la nostra cultura arrivava in ogni angolo della Terra. Il nostro marchio di fabbrica era il punto di forza e nessuno era in grado di essere alla nostra altezza. Forse questa visione un po’ presuntuosa è dettata dal fatto che purtroppo oggi le cose sono peggiorate e quindi ci aggrappiamo ad un po’ di sana nostalgia.
Questo nostro pessimismo trova riscontro quando nominiamo la
Fiat. Essa rappresenta il simbolo della decadenza delle aziende italiane. La
nuova azienda Fiat-Chrysler diventa una società internazionale avendo spostato
la sede legale in Olanda e la sede fiscale nel Regno Unito. Perché questo
spostamento,anzi questa delocalizzazione? Le risposte immediate che ci vengono
in mente sono abbastanza conosciute:tassazione minore. E già perché l’Olanda è
considerato un paradiso fiscale dove le tasse sulle rendite sono a zero e
l’Inghilterra ha pur sempre una moneta propria nonostante sia in Europa.
Ma non sono solo queste le motivazioni che spingono
un’azienda a migrare,c’è anche un minore costo dell’energia,una giustizia più
veloce e una burocrazia certamente più snella rispetto a quella italiana. Tutti
ingredienti che fanno pendere la bilancia a favore di questa migrazione
dell’industria italiana. Il caso Fiat è solo il caso più eclatante ma molte
altre aziende hanno seguito lo stesso percorso per gli stessi motivi. Secondo
un’analisi dell’Istat nel periodo 2001-2006 circa 3000 imprese hanno applicato
il processo di delocalizzazione. L’Europa è stata la meta più ambita,seguiti da
Cina,Usa e Canada. In futuro si prevedono investimenti in India e in Africa.
Questo spostamento prevede che chi mantiene stabilimenti sul
nostro territorio paghi sempre le tasse locali e regionali;quella che non viene
pagata è la tassa sul reddito imponibile.
Il buon Marchionne ha aspettato il momento in cui i mercati erano al
minimo e grazie agli aiuti americani ha acquistato la Chrysler. Anche l’ex
ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni dimenticando che eravamo uno stato
nazionale indipendente si è venduto all’Europa. Per lui gli stabilimenti
rimangono dei centri di costo mentre i centri di profitto vengono spostati dove
è più comodo. La stessa confindustria di Giorgio Squinzi si dichiara contraria
ad uscire dall’Euro,e ciò non ci sorprende visto che i grandi imprenditori che
stanno al suo vertice hanno già delocalizzato.
Pensiero furbo si direbbe questo della
delocalizzazione,peccato che poi molti lavoratori operanti negli stabilimenti
fiat in Italia non la pensino in ugual modo. Ma oltre alle sedi fisiche
l’Italia perde qualcosa di molto più importante,perde la competenza che trova
riscontro nella fuga di professionisti qualificati,ricercatori,laureati e
manager. E per quelli che rimangono a lavorare in Italia le notizie purtroppo
non sono positive. Si pensi che tra il 2002 e il 2012 i posti di lavoro persi
dalla fiat a causa del fenomeno delle delocalizzazioni sono stati ben 20000.
Come la fiat ecco anche Omsa,Dainese,Bialetti,Rossignol,Geox e tante altre
ancora. E quando vediamo che tanti lavoratori vengono messi in cassa
integrazione in seguito a ristrutturazione aziendale sappiamo benissimo che il
più delle volte è una copertura,il motivo vero è proprio dettato dal fenomeno
della delocalizzazione,figlio di questa nuova globalizzazione in cui non
sappiamo però che ruolo stiano giocando le aziende italiane.
E purtroppo il popolo italiano continua ad andare a votare i
soliti personaggi che rendono la nostra politica vecchia e troppo schiava
dell’Europa. Il fallimento industriale italiano è dovuto anche a questa
posizione di sottomissione alla Germania che ci considera inferiori. E non
basta certo un video della famosa canzone “Happy” girato all’interno degli
stabilimenti Fiat di Melfi a mascherare il brutto periodo che stiamo passando.
Gli operai che ballano insieme al direttore dello stabilimento sono il falso
volto del nostro Paese,calcolando che molti di quegli operai sono in cassa
integrazione e che,facendo un piccolo esempio,per la realizzazione della grande
punto sono stati soppressi dei turni di lavoro. Purtroppo siamo il solito Paese
che vuole mostrarsi forte all’esterno ma che in realtà all’interno è
praticamente vicino al tracollo. M oltre il danno anche la beffa: infatti se
prima il nostro paese era svenduto solo alle potenze occidentali ora anche
paesi emergenti come Brasile e Cina mettono le mani sui nostri gioielli. Insomma
chiunque voglia può attingere nel piatto!! Non è certo la fine migliore che ci
auguravamo. Ci vorrebbe un bel piano di ricostruzione industriale capace di far
riemergere il nostro settore industriale.
Noi, da buoni nostalgici e protezionisti come amano
definirci, lanciamo una proposta: ricostruiamo l’IRI. D’altronde altre
alternative valide non le vediamo ….
Nessun commento:
Posta un commento