giovedì 5 giugno 2014

Arrivederci e Grazie Italia....


Il “Made in Italy” ha sempre rappresentato un motivo di orgoglio nazionale. Essere consapevoli che un determinato prodotto veniva concepito in Italia ci trasmetteva una forte sensazione di potenza,quasi a sottolineare il fatto che,anche se indirettamente,noi stessi potevamo dire che avevamo contribuito alla sua nascita e realizzazione. Era bello sapere che quell’ “oggetto” nazionale andava ad abbracciare anche altri paesi. Ci sentivamo al centro del mondo perché la nostra cultura arrivava in ogni angolo della Terra. Il nostro marchio di fabbrica era il punto di forza e nessuno era in grado di essere alla nostra altezza. Forse questa visione un po’ presuntuosa è dettata dal fatto che purtroppo oggi le cose sono peggiorate e quindi ci aggrappiamo ad un po’ di sana nostalgia.

Questo nostro pessimismo trova riscontro quando nominiamo la Fiat. Essa rappresenta il simbolo della decadenza delle aziende italiane. La nuova azienda Fiat-Chrysler diventa una società internazionale avendo spostato la sede legale in Olanda e la sede fiscale nel Regno Unito. Perché questo spostamento,anzi questa delocalizzazione? Le risposte immediate che ci vengono in mente sono abbastanza conosciute:tassazione minore. E già perché l’Olanda è considerato un paradiso fiscale dove le tasse sulle rendite sono a zero e l’Inghilterra ha pur sempre una moneta propria nonostante sia in Europa.

Ma non sono solo queste le motivazioni che spingono un’azienda a migrare,c’è anche un minore costo dell’energia,una giustizia più veloce e una burocrazia certamente più snella rispetto a quella italiana. Tutti ingredienti che fanno pendere la bilancia a favore di questa migrazione dell’industria italiana. Il caso Fiat è solo il caso più eclatante ma molte altre aziende hanno seguito lo stesso percorso per gli stessi motivi. Secondo un’analisi dell’Istat nel periodo 2001-2006 circa 3000 imprese hanno applicato il processo di delocalizzazione. L’Europa è stata la meta più ambita,seguiti da Cina,Usa e Canada. In futuro si prevedono investimenti in India e in Africa.

Questo spostamento prevede che chi mantiene stabilimenti sul nostro territorio paghi sempre le tasse locali e regionali;quella che non viene pagata è la tassa sul reddito imponibile.  Il buon Marchionne ha aspettato il momento in cui i mercati erano al minimo e grazie agli aiuti americani ha acquistato la Chrysler. Anche l’ex ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni dimenticando che eravamo uno stato nazionale indipendente si è venduto all’Europa. Per lui gli stabilimenti rimangono dei centri di costo mentre i centri di profitto vengono spostati dove è più comodo. La stessa confindustria di Giorgio Squinzi si dichiara contraria ad uscire dall’Euro,e ciò non ci sorprende visto che i grandi imprenditori che stanno al suo vertice hanno già delocalizzato.

Pensiero furbo si direbbe questo della delocalizzazione,peccato che poi molti lavoratori operanti negli stabilimenti fiat in Italia non la pensino in ugual modo. Ma oltre alle sedi fisiche l’Italia perde qualcosa di molto più importante,perde la competenza che trova riscontro nella fuga di professionisti qualificati,ricercatori,laureati e manager. E per quelli che rimangono a lavorare in Italia le notizie purtroppo non sono positive. Si pensi che tra il 2002 e il 2012 i posti di lavoro persi dalla fiat a causa del fenomeno delle delocalizzazioni sono stati ben 20000. Come la fiat ecco anche Omsa,Dainese,Bialetti,Rossignol,Geox e tante altre ancora. E quando vediamo che tanti lavoratori vengono messi in cassa integrazione in seguito a ristrutturazione aziendale sappiamo benissimo che il più delle volte è una copertura,il motivo vero è proprio dettato dal fenomeno della delocalizzazione,figlio di questa nuova globalizzazione in cui non sappiamo però che ruolo stiano giocando le aziende italiane.

E purtroppo il popolo italiano continua ad andare a votare i soliti personaggi che rendono la nostra politica vecchia e troppo schiava dell’Europa. Il fallimento industriale italiano è dovuto anche a questa posizione di sottomissione alla Germania che ci considera inferiori. E non basta certo un video della famosa canzone “Happy” girato all’interno degli stabilimenti Fiat di Melfi a mascherare il brutto periodo che stiamo passando. Gli operai che ballano insieme al direttore dello stabilimento sono il falso volto del nostro Paese,calcolando che molti di quegli operai sono in cassa integrazione e che,facendo un piccolo esempio,per la realizzazione della grande punto sono stati soppressi dei turni di lavoro. Purtroppo siamo il solito Paese che vuole mostrarsi forte all’esterno ma che in realtà all’interno è praticamente vicino al tracollo. M oltre il danno anche la beffa: infatti se prima il nostro paese era svenduto solo alle potenze occidentali ora anche paesi emergenti come Brasile e Cina mettono le mani sui nostri gioielli. Insomma chiunque voglia può attingere nel piatto!! Non è certo la fine migliore che ci auguravamo. Ci vorrebbe un bel piano di ricostruzione industriale capace di far riemergere il nostro settore industriale.

Noi, da buoni nostalgici e protezionisti come amano definirci, lanciamo una proposta: ricostruiamo l’IRI. D’altronde altre alternative valide non le vediamo ….

 

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