domenica 8 giugno 2014

“Jobs act”, il famoso progetto sul lavoro di Matteo Renzi



Si chiama “Jobs act” o “Decreto Poletti”( dal nome del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti), il decreto legge sul lavoro approvato dalle camere con 279 voti favorevoli, 143 contrari e 3 astenuti ed entrato in vigore il 21/03/2014. Successivamente è stato convertito in legge , quando il 13 Maggio 2014  è stata votata la fiducia, ricevendo 333 voti favorevoli e 159 contrari. Ci si domanda però,  in cosa consista realmente e quali siano i benefici , che i cittadini ed i giovani in cerca di occupazione ne possano trarre.

Dal contenuto di tale legge infatti, emergerebbero alcune modifiche riguardo alla durata del rapporto a tempo determinato, la quale viene incrementata da 1 a 3 anni, con un massimo di 5 proroghe ( abolita quindi la pausa obbligatoria tra la fine del contratto ed il rinnovo dello stesso), il contratto stesso inoltre, può essere stipulato senza che vi sia indicata la causale. La suddetta ha introdotto  altresì un “Tetto”, il quale non consente che all’interno di un’azienda, vi siano un numero di contratti a tempo determinato che superino il 20%  dei contratti a tempo indeterminato; qualora tale direttiva non fosse rispettata, è prevista una sanzione amministrativa al 20%  ed al 50% della retribuzione per i mesi di durata del rapporto di lavoro. Questo “Tetto”  previsto dalla nuova legge però, non riguarda il settore della ricerca, nel quale i lavoratori, nonché ricercatori scientifici, possono avere un contratto a tempo determinato che abbia la durata del progetto al quale prendono parte.

Sono state poi introdotte delle disposizioni in materia di apprendistato, che introducono ulteriori modifiche nei rapporti lavorativi con componente formativa, i quali precedentemente prevedevano al termine del contratto, una soglia di stabilizzazioni pari al 30% per le aziende aventi più di 10 lavoratori. Attualmente invece, un datore di lavoro avente un numero minore a 50 dipendenti nella propria azienda, non incorre nell’obbligo di assunzione, ciò comporta inevitabilmente ad una riduzione della stabilizzazione al 20%. Per quanto riguarda invece la retribuzione dell’apprendista, fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva, si prevede che, in considerazione della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, si debba tener conto delle ore di formazione almeno in misura del 35% del relativo monte ore complessivo. Tutto ciò  favorirà, un incremento di contratti a termine e di apprendistato, i quali raggiungeranno circa l’80% degli avviamenti al lavoro.

Alcune delle disposizioni previste dal “Jobs act” del governo Renzi, sono volte a garantire il diritto di precedenza delle donne in congedo di maternità, integrando la stessa maternità nella durata del contratto a termine, sicché sia possibile il raggiungimento dei sei mesi, indispensabili per vedersi riconosciuto il sopracitato diritto. Inoltre viene tutelato il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, in relazione alle medesime mansioni oggetto del contratto a termine. Ciò significa che la l’applicabilità di suddetto diritto si estende, non solo ai contratti a tempo indeterminato, bensì anche a quelli a tempo determinato. Infine, si stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di richiamare espressamente il diritto di precedenza del lavoratore nell’atto scritto con cui viene fissato il termine del contratto.

Ma la vera novità è questa, nonché l’introduzione dei contratti a tutele crescenti, che consistono si, in veri e propri contratti a tempo indeterminato, ma i quali prevedono che per i primi tre anni, il dipendente non sia tutelato contro i licenziamenti senza giusta causa (tutela stabilita dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori)  e che per 36 mesi esso non avrà mai diritto a essere reintegrato all’interno dell'azienda, ma soltanto ad un risarcimento in denaro. Solo dal quarto anno in poi, il dipendente potrà godere della tutela prevista per gli altri lavoratori con maggiore anzianità lavorativa. Dal testo della legge-delega,  emergerebbe che l’introduzione di questo tipo di contratto potrebbe avvenire inizialmente in via sperimentale, dopo aver consultato le parti sociali, nonché qualora si arrivasse ad un accordo tra governo e sindacati. Inoltre, potrebbero essere eliminati alcuni contratti di lavoro già esistenti, come quelli precari o flessibili , i quali rischiano di confliggere con le altre nuove forme di assunzione introdotte dal governo.

La disoccupazione e la mancanza di stabilità lavorativa in Italia sono dilaganti, infatti secondo i dati Istat aggiornati al mese di marzo 2014, il tasso di disoccupazione nazionale è ancora stabile al 12,7% ,ma risultano disoccupati 4 giovani su 10 ed  in alcune regioni del sud si supera addirittura il 50%. L’introduzione di tali cambiamenti in ambito legislativo per quanto riguarda l’argomento lavoro, lascia un po’ perplessi, in quanto queste disposizioni, continuano sulla stessa scia delle riforme attuate da governi precedenti, non creando vere opportunità di lavoro per i giovani , la forza-lavoro sulla quale il Paese dovrebbe investire, bensì la lascia ancora inattiva. Si continua in questo modo, a potenziare fenomeni, come il precariato, apprendistati che nella maggior parte dei casi non prevedono al loro termine l’assunzione, oppure i contratti a tempo determinato. Tutto ciò  non permette ai cittadini la stabilità lavorativa indispensabile per condurre un’esistenza dignitosa, in quanto in concreto, non vi è ancora una reale tutela della figura del lavoratore.

 

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