Si chiama “Jobs act” o “Decreto Poletti”( dal nome del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti), il decreto legge sul lavoro approvato dalle camere con 279 voti favorevoli, 143 contrari e 3 astenuti ed entrato in vigore il 21/03/2014. Successivamente è stato convertito in legge , quando il 13 Maggio 2014 è stata votata la fiducia, ricevendo 333 voti favorevoli e 159 contrari. Ci si domanda però, in cosa consista realmente e quali siano i benefici , che i cittadini ed i giovani in cerca di occupazione ne possano trarre.
Dal contenuto di tale legge infatti, emergerebbero alcune
modifiche riguardo alla durata del rapporto a tempo determinato, la quale viene
incrementata da 1 a 3 anni, con un massimo di 5 proroghe ( abolita quindi la
pausa obbligatoria tra la fine del contratto ed il rinnovo dello stesso), il
contratto stesso inoltre, può essere stipulato senza che vi sia indicata la
causale. La suddetta ha introdotto altresì
un “Tetto”, il quale non consente che all’interno di un’azienda, vi siano un
numero di contratti a tempo determinato che superino il 20% dei contratti a tempo indeterminato; qualora
tale direttiva non fosse rispettata, è prevista una sanzione amministrativa al
20% ed al 50% della retribuzione per i
mesi di durata del rapporto di lavoro. Questo “Tetto” previsto dalla nuova legge però, non riguarda
il settore della ricerca, nel quale i lavoratori, nonché ricercatori
scientifici, possono avere un contratto a tempo determinato che abbia la durata
del progetto al quale prendono parte.
Sono state poi introdotte delle disposizioni in materia di
apprendistato, che introducono ulteriori modifiche nei rapporti lavorativi con
componente formativa, i quali precedentemente prevedevano al termine del
contratto, una soglia di stabilizzazioni pari al 30% per le aziende aventi più
di 10 lavoratori. Attualmente invece, un datore di lavoro avente un numero
minore a 50 dipendenti nella propria azienda, non incorre nell’obbligo di assunzione,
ciò comporta inevitabilmente ad una riduzione della stabilizzazione al 20%. Per
quanto riguarda invece la retribuzione dell’apprendista, fatta salva
l’autonomia della contrattazione collettiva, si prevede che, in considerazione
della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e
per il diploma professionale, si debba tener conto delle ore di formazione
almeno in misura del 35% del relativo monte ore complessivo. Tutto ciò favorirà, un incremento di contratti a termine
e di apprendistato, i quali raggiungeranno circa l’80% degli avviamenti al
lavoro.
Alcune delle disposizioni previste dal “Jobs act” del governo
Renzi, sono volte a garantire il diritto di precedenza delle donne in congedo
di maternità, integrando la stessa maternità nella durata del contratto a
termine, sicché sia possibile il raggiungimento dei sei mesi, indispensabili
per vedersi riconosciuto il sopracitato diritto. Inoltre viene tutelato il
diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal
datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, in relazione alle medesime mansioni oggetto del
contratto a termine. Ciò significa che la l’applicabilità di suddetto diritto
si estende, non solo ai contratti a tempo indeterminato, bensì anche a quelli a
tempo determinato. Infine, si stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo
di richiamare espressamente il diritto di precedenza del lavoratore nell’atto
scritto con cui viene fissato il termine del contratto.
Ma la vera novità è questa, nonché l’introduzione dei
contratti a tutele crescenti, che consistono si, in veri e propri contratti a
tempo indeterminato, ma i quali prevedono che per i primi tre anni, il
dipendente non sia tutelato contro i licenziamenti senza giusta causa (tutela
stabilita dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori) e che per 36 mesi esso non avrà mai diritto a
essere reintegrato all’interno dell'azienda, ma soltanto ad un risarcimento in
denaro. Solo dal quarto anno in poi, il dipendente potrà godere della tutela
prevista per gli altri lavoratori con maggiore anzianità lavorativa. Dal testo
della legge-delega, emergerebbe che
l’introduzione di questo tipo di contratto potrebbe avvenire inizialmente in
via sperimentale, dopo aver consultato le parti sociali, nonché qualora si
arrivasse ad un accordo tra governo e sindacati. Inoltre, potrebbero essere
eliminati alcuni contratti di lavoro già esistenti, come quelli precari o
flessibili , i quali rischiano di confliggere con le altre nuove forme di
assunzione introdotte dal governo.
La disoccupazione e la mancanza di stabilità lavorativa in
Italia sono dilaganti, infatti secondo i dati Istat aggiornati al mese di marzo
2014, il tasso di disoccupazione nazionale è ancora stabile al 12,7% ,ma
risultano disoccupati 4 giovani su 10 ed in alcune regioni del sud si supera
addirittura il 50%. L’introduzione di tali cambiamenti in ambito legislativo
per quanto riguarda l’argomento lavoro, lascia un po’ perplessi, in quanto
queste disposizioni, continuano sulla stessa scia delle riforme attuate da
governi precedenti, non creando vere opportunità di lavoro per i giovani , la
forza-lavoro sulla quale il Paese dovrebbe investire, bensì la lascia ancora
inattiva. Si continua in questo modo, a potenziare fenomeni, come il precariato,
apprendistati che nella maggior parte dei casi non prevedono al loro termine
l’assunzione, oppure i contratti a tempo determinato. Tutto ciò non permette ai cittadini la stabilità
lavorativa indispensabile per condurre un’esistenza dignitosa, in quanto in concreto,
non vi è ancora una reale tutela della figura del lavoratore.
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