martedì 1 dicembre 2015

Breve storia dello sviluppo delle metropoli italiane

Il più significativo cambiamento che negli anni ha modificato il volto delle città italiane è senza dubbio il passaggio dal centro urbano tradizionale alle aree metropolitane moderne, contornate da diversi comuni limitrofi. Assistiamo oggi all’aumento di cittadini  in "continuo movimento” per motivi occupazionali. È questo quello che gli esperti chiamano il fenomeno di espansione-dispersione nel modello della “città diffusa” o “città infinita”.

Ma come siamo arrivati a questo stadio evolutivo? Nel corso del tempo possiamo immaginare un’espansione sempre maggiore con una sequenza a catena. Quelli che oggi sono i comuni "esterni",domani potrebbero addirittura diventare il "centro" di altre aree metropolitane. Un’espansione divenuta inevitabile con il crescere del fenomeno dell’immigrazione che ha aumentato notevolmente la densità delle nostre città.

È il novecento il periodo in cui si comincia a parlare di periferie. Architettura e urbanistica sono le parole chiave di crescita urbana ininterrotta e costruzione intensiva di nuovi quartieri. La periferia moderna vede un’alternanza suburbana tra case,zone rurali e zone industriali. Le case erano pensate per dare alloggio agli operai che lavoravano nelle fabbriche. Dagli anni trenta e con un picco nel dopoguerra si ha questa esplosione di movimenti di massa che portano alla migrazione verso fuori città e di conseguenza alla creazione delle periferie. Succede che il centro storico si accresce di valore economico,dato positivo quindi,ma dal punto di vista sociale abbiamo l’espulsione della classe media e della popolazione meno facoltosa che è obbligata a trasferirsi all’esterno della grande città, ovviamente questa migrazione è dovuta anche alla ricerca di condizioni di vita migliori e anche di costi abitativi  alla portata di tutti.

Questa crescita delle periferie fu vista con entusiasmo fino agli settanta. Ci si immagina l’integrazione delle classi meno abbienti da un lato e la maggiore sensibilità politica,sociale e sindacale dall’altra. Ma il tempo pian piano ha cambiato le carte in tavola. Ed è stato alla fine del novecento che si è rotto questo finto equilibrio con la crisi del modello urbano moderno e di conseguenza delle periferie. Si svilupparono cosi le prime forme di degrado e microcriminalità che portarono addirittura, in alcuni casi, alla demolizione di molti quartieri periferici realizzati tra gli anni cinquanta e settanta. Per esempio tra il 1997 e il 2003 sono state demolite tre delle sette vele di Scampia a Napoli che erano state costruite tra il 1962 e il 1975 da Franz Di Salvo.


Dalla metà degli anni settanta quindi si ha un dietrofront sul concetto delle periferie. Sorgono progetti più simbolici che sociali,come lo Zen a Palermo o Corviale a Roma,e la periferia diventa quella parte di città in cui esplodono tutte le problematiche a noi note oggi. Come, per dirne una su tutte, la falsa integrazione tanto voluta dalla politica è il "regalo" che hanno fatto solo ed esclusivamente alle periferie. Oppure il problema dei campi rom, ormai noto a tutti. Veri centri abitativi con tanto di sorveglianza in cui i casi di delinquenza non fanno più notizia. Nelle zone adiacenti a questi campi rom si manifestano furti,scippi,rapine,spaccio. Queste sono le periferie volute dalla politica,letteralmente abbandonate e fatte gestire dalla criminalità organizzata. Scompare la distinzione tra periferia legale e periferia illegale.
Per quanto riguarda Roma, va sottolineato che la classe politica chiamata a guidarla tra gli anni 60 e 70 ci ha messo il carico con la sanatoria delle borgate abusive nel 1975. Nel decennio 1950-1960
abbiamo assistito al periodo di maggiore crescita edilizia della nostra città,la popolazione si è praticamente raddoppiata passando da poco più di un milione di abitanti a più di due milioni. È in questo periodo che è avvenuto il contrario di quello che sta accadendo oggi. Abbiamo quindi Roma al centro di tutto e dalle campagne e dai comuni limitrofi si riversano tutti nella capitale. Iniziarono a sorgere i primi nuclei isolati immersi nelle campagne e per colmare i vuoti vennero costruite le grandi vie consolari. Aumentavano gli alloggi,aumentava anche la popolazione di migranti. Quest’ultimi venivano impiegati come manodopera non qualificata nell’edilizia. Già a quei tempi era presente una forte speculazione immobiliare che causava la nascita di abitazioni di scarsa qualità. L’amministrazione comunale non pianificò questa nuova fase e quindi l’edilizia venne presa in mano dai palazzinari che ritroviamo anche oggi a dettare legge. Dal dopoguerra quindi si vennero a creare periferie di matrice speculativa e a bassa qualità insediativa causando problemi che ancora oggi ci portiamo dietro come per esempio la mobilità e i pochi collegamenti con il centro città. Oggi le periferie sembrano terra di nessuno perché abbandonate,in cui regna il degrado e in cui ogni forma di Stato sembra non essere mai esistita. Si è costruito troppo e troppo in fretta perdendo di vista l’aspetto più importante,ossia quello umano.




Il "pezzo forte" delle periferie di oggi,sia di Roma che di altre città,sono gli enormi blocchi di cemento che vanno a sostituire parchi e aree verdi. Mega palazzoni in cui ognuno ha il suo buco in cui vivere e dove viene a mancare completamente il rapporto con gli altri residenti. La società ci ha regalato questo,si va sempre di corsa,non ci si ferma mai. Sembra come se fossimo trasportati da una scala mobile e tutto si ripete ogni giorno allo stesso modo.

Eppure i residenti non chiedono molto: solo periferie ben collegate con il centro,rivalorizzate e umanizzate. Chiedono più spazi ricreativi e culturali in modo da poter indirizzare nella giusta strada i ragazzi più giovani. Si chiama tutela del bene pubblico, del bene collettivo. Non so se ci spieghiamo...

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