mercoledì 24 febbraio 2016

Rieducare per Poter Vivere



Salvaguardare la pace e la sicurezza sociale. Con questi concetti ha inizio il problema penitenziario. Isolare chi ha violato l’ordine costituito e rinchiudere il soggetto indicato in apposite strutture,le carceri. Carceri però troppe volte intese solo ed esclusivamente come edifici in cui “sbattere” dentro il colpevole. Per tanto e troppo tempo questa è stata l’unica funzione principale del penitenziario. E purtroppo ancora oggi assistiamo nel nostro Paese a questo concetto esclusivo di detenzione basato solo sulla pena. Si va contro persino la Costituzione che nell'art. 27 del codice penale sottolinea che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Ecco quindi che chi esce dal carcere,esce con uno spirito vendicativo nei confronti della società perché non si è agito sul recupero soprattutto psicologico del detenuto. E la società risente di questa mala gestione delle carceri.

Nell’antica Roma si distinguevano pene di carattere privatistico che culminavano in processi civili e pene di carattere pubblicistico che riguardavano tutta la società. Le pene di quest’ultimo tipo sono cambiate con gli anni,si andava dalla più grave che era la pena capitale,ma c’era anche l’esilio,la fustigazione,le pene pecuniarie e i lavori forzati. E come notiamo sono tutte pene atte alla punizione,senza possibilità e volontà di recupero del condannato. Un cambiamento si ha nel XVI secolo quando in Inghilterra si comincia a capire che la funzione di un carcere non è solo quella punitiva. Ladri,prostitute,vagabondi vengono raccolti nel palazzo concesso dal sovrano e obbligati a riformarsi attraverso il lavoro e la disciplina.
Nel corso del tempo e fino ai nostri giorni il sistema carcere per noi è peggiorato. Oltre a non rieducare il detenuto,da una visione ancora più negativa dei suoi “pazienti”. Li vuole isolare,sia mentalmente che fisicamente. Per il carcere sono elementi improduttivi per la società e quindi bisogna tenerli lontano dal progresso della società. Spesso si mette a rischio la vita o l'incolumità dei detenuti nonostante ci siano circolari ministeriali che indicano di ricorrere a trattamenti multi disciplinari e multi professionali. La sorveglianza verte soprattutto sulle condizioni sanitarie. C'è un numero altissimo di detenuti affetti da gravissimi disagi psichici che favoriscono l'emergere di un comportamento aggressivo che costringe alla custodia detentiva.

In ogni caso la rieducazione di un detenuto deve tendere alla creazione di particolari motivazioni che spingano ad un comportamento corretto facendo però leva sulla responsabilità delle azioni del detenuto e alle conseguenze di ogni sua azione. Ecco che si inserisce quindi il concetto di premialità progressiva,cioè attenuazione della pena qualora si riscontri un'acquisizione di abitudini sociali che permettano l'interazione in un ambiente differente da quello carcerario.  Ma molto articolato è l'ordinamento penitenziale italiano a riguardo. L'art.54 prevede che se il condannato risulti partecipe all'opera di rieducazione,per esempio un tossicodipendente,gli può essere concesso un periodo di liberazione anticipata con la clausola che se durante questo periodo il condannato dimostri invece tutto il contrario allora c'è l'immediata cessazione del programma di recupero.

Negli ultimi anni,anche soprattutto al problema del sovraffollamento delle carceri,si è puntato molto alla forma di detenzione domiciliare,ovviamente il tutto assistito e controllato rigidamente. E sempre più ovvio questo caso si applica a detenuti che non hanno commesso gravi reati e che sono già predisposti per un reinserimento immediato nella società. Purtroppo non sempre queste iniziative da parte del sistema carcerario sono applicate "secondo copione". Nel nostro Paese spesso non c'è il senso della certezza della pena e non abbiamo una giustizia rapida. Sia ha differenza troppo marcata tra l'interno e l'esterno della struttura carceraria. Assistiamo alla completa ghettizzazione dei detenuti. E le conseguenze sono note. I numeri purtroppo dicono sempre la verità e si calcola che dal 2000 ad oggi sono circa 1000 i detenuti che si sono tolti la vita. Se poi pensiamo che tanti clandestini che arrivano in Italia vengono arrestati e subito rilasciati arriviamo da soli a capire che qualcosa nel nostro sistema carcerario non va. Il ministero dell'interno propone la costruzione di nuove carceri ma non riesce a capire che il progetto vero e proprio dovrebbe andare nella direzione della rieducazione. E il problema in Italia è lo scarso numero di personale che dovrebbe compiere questa rieducazione. Addirittura si arriva in certe strutture ad avere un solo agente penitenziario ogni 150 detenuti il che presuppone che un problema cosi grande si può solo contenere e risulta impossibile un'operazione di recupero.

Purtroppo i problemi ci sono,ne siamo consapevoli. Ma siamo anche certi che non sempre i problemi si vogliono risolvere,anzi molte volte creare problemi favorisce la lotta tra i vari partiti politici per cercare di accaparrarsi il diritto di risoluzione del problema poi invece troppe volte lasciato senza soluzione. Noi siamo dalla parte di ogni tipo di progetto di recupero del detenuto purchè si segua un protocollo ben definito e dettagliato. Il concetto del "chi sbaglia paga" vale sempre. Soprattutto in casi particolari possiamo anche non accettare altre strade. Ci riteniamo persone che non si pentono di quello che scrivono e che fanno assumendoci ogni responsabilità perchè non abbiamo una maschera e quindi siamo sinceri. Siamo però pronti a poter dare una alternativa valida alla punizione carceraria vera e propria per alcuni reati, per i quali vale il concetto: rieducare per poter vivere!







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