
Non c’è chi parla, però, della situazione difficile che sta attraversando la Romania e delle manifestazioni popolari contro le manovre finanziarie definite di austerità dal governo locale, non c’è chi fa un quadro della situazione ungherese e della sua battaglia sociale contro le banche ancora oggi in atto, non c’è chi parla delle costanti minacce belliche israeliane allo stato iraniano, non c’è chi parla ovviamente dell’Islanda e dell’Ecuador. Ma non c’è nemmeno chi parla di che cosa stia succedendo in Sicilia in questi giorni.
Per chi non lo sapesse (molti, moltissimi) in Sicilia in questi giorni si respira un’aria di rivolta. Un vento popolare, di lotta sana. Agricoltori, allevatori, autotrasportatori, artigiani uniti sotto il nome di “movimento dei forconi”e impegnati in una lotta proletaria senza colore politico contro l’attuale sistema partitico. Bloccano pacificamente la circolazione, i caselli e i porti di tutta la Regione. Hanno coinvolto anche altri gruppi in altre parti d’Italia (in Calabria, per esempio). Chiedono per cinque giorni le dimissioni dell’intera classe politica giudicata nepotista e corrotta. Chiedono lavoro e rispetto. Odiano la mafia e vorrebbero essere protetti da uno Stato efficiente. Vorrebbero la defiscalizzazione dl carburante e dell’energia elettrica (ormai le uniche due fonti di guadagno per i lavoratori siculi). Vorrebbero una parte di fondi europei per la loro crescita.
Ma soprattutto vorrebbero in primis essere ascoltati.

Il perché è facile da immaginare.

Con l’augurio che questa rivolta sociale non costi altre vite umane, ma che goda di più notorietà e rispetto, bisogna semplicemente applaudire e sostenere (almeno ideologicamente)ancora una volta il popolo siculo, simbolo ormai di avanguardia sociale e politica. Sottolineando il suo ruolo, praticamente storico, di precursore di grandi rivoluzioni nazionali, non ci resta che affermare: ”Sicilia, Magistra Italiae”.
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