mercoledì 22 aprile 2015

Intervista sulla delocalizzazione ai professori Umberto Triulzi e Pasquale Lucio Scandizzo, docenti di Politica Economica presso le università di Roma de” La Sapienza” e di “Tor Vergata”

Con lo scopo di spiegare meglio il fenomeno delle delocalizzazioni  attraverso il pensiero di voci autorevoli e specializzate in materia, abbiamo contatto qualche settimana fa due docenti di Politica Economica di due diversi atenei romani, il Professor  Umberto Triulzi, ordinario presso l’Università di Roma “La Sapienza”  e il Professor Pasquale Lucio Scandizzo, ordinario presso l’Università di Roma “Tor Vergata”. Fin da subito, si sono dimostrati molto disponibili  nel rispondere ai nostri quesiti e speranzosi nel fatto che l’intervista  possa aiutare a spiegare, a noi e a  i nostri lettori, oltre il fenomeno delle delocalizzazioni, soprattutto le politiche economiche più adatte a migliorare la competitività e a rilanciare la crescita nel nostro paese. E già dalla premessa all’intervista, vogliamo rinnovare i nostri ringraziamenti per l’esaustività delle risposte che ci hanno fornito. Di seguito l’intervista integrale ai due docenti di Politica Economica:
 


 
-    Salve professore. Cominciamo subito l’intervista. Dunque: Per quale motivo le delocalizzazioni si sono moltiplicate negli ultimi anni? 


P.L.S. : Probabilmente è l’effetto della  crisi e di una ristrutturazione industriale in parte determinata anche dal deterioramento dell’ambiente istituzionale (burocrazia, corruzione , malavita organizzata)

U.T. :  Per diverse ragioni. Principalmente per motivi economici, ad esempio la delocalizzazione di processi produttivi in Paesi a più basso costo del lavoro (Cina) o la produzione di servizi che richiedono know-how e la disponibilità di lavoro più qualificato (come nel caso dei call center in India). Ma possono esserci anche ragioni connesse alla presenza di materie prime, alla necessità di produrre in nuovi mercati di sbocco o in mercati più efficienti  e meno “regolamentati” rispetto al mercato nazionale o semplicemente perché “fiscalmente” più attraenti, cioè con politiche di attrazione degli investimenti diretti più vantaggiose per le imprese estere.

- Le aziende delocalizzano davvero solo se chiudono il bilancio in passivo? O meglio, c'è sempre una crisi economica alla base della delocalizzazione o c'è anche solo la voglia di aumentare i profitti? 

 
 P.L.S. : In genere c’è un business plan che promette  margini di profitto e/o tassi di crescita più elevati. 

 
U.T. :  Inizialmente le cause di questo fenomeno sono state attribuite alla necessità per le imprese in difficoltà di ridurre drasticamente i costi di produzione, in particolare quelli del lavoro, spostando parte della produzione in mercati caratterizzati da abbondanza di lavoro e bassi salari. In realtà hanno influito sui processi di delocalizzazione delle imprese anche altre motivazioni dovute alle profonde trasformazioni che hanno interessato negli ultimi venti anni il commercio globale, all’innovazione tecnologica, alla diffusione di sistemi avanzati di ITC, all’emergere di nuovi competitors a livello internazionale. 
 
-Cosa hanno fatto i governi nazionali o dell'Unione Europea negli ultimi anni per arginare il fenomeno? E cosa dovrebbero fare in futuro, secondo lei? 



P.L.S. :  Dovrebbero cercare di migliorare il business climate e l’ambiente economico, soprattutto nei Paesi e nelle regioni più deboli.

U.T. :  Dal momento che viviamo, sia in Europa che a livello globale, in mercati fortemente liberalizzati e dove la competitività e la specializzazione hanno un ruolo decisivo nell’affermazione delle strategie vincenti delle imprese produttive, non credo che possiamo fare molto per rallentare questo processo. O meglio, possiamo fare molto ma per aiutare le imprese più fragili, penso sopratutto alle piccole e medio imprese del nostro paese che hanno prodotti di qualità, ad essere più competitive e quindi ad affacciarsi con maggiore forza e capacità sui mercati internazionali. Se le imprese restano chiuse e dipendenti solo dal mercato domestico sarà difficile sopravvivere e questo riguarda le PMI italiane come quelle dei paesi partner dell’UE. Come ? Ad esempio, introducendo politiche che aiutino le imprese del made in Italy a disporre di strumenti e aiuti fiscali e finanziari in grado di valorizzare i loro prodotti, di rafforzare la formazione di personale qualificato nelle aziende, di avvicinare non episodicamente ma in modo strutturato i giovani diplomati e laureati al mondo del lavoro. Il settore pubblico ha una grande responsabilità nell’attuare le riforme necessarie a ridare competitività al sistema Italia ma le imprese, se vogliono essere più competitive, devono fare la loro parte
-Le Normative  comunitarie favoriscono e semplificano le delocalizzazioni?  
P.L.S. :  Mano a mano che l’integrazione economica e finanziaria procede,  nello spazio Europeo ci si muove con più facilità , mentre le normative europee hanno a mio avviso scarso effetto sulle delocalizzazioni fuori dell’Europa.



U.T. :  Il mercato interno europeo è la più grande realtà economica al mondo, un mercato fatto di 500 milioni di consumatori che vivono in gran parte le stesse regole. L’Europa può restare competitiva se valorizza meglio questa grande ricchezza che ha costruito nel tempo, facilitando gli scambi e la mobilità delle imprese e delle persone non solo all’interno dell’area ma anche costruendo rapporti con paesi esterni all’UE che salvaguardino le tipicità delle produzioni europee ma anche le regole che sono state introdotte per garantire l’unicità del mercato europeo. Oggi, se vogliamo vincere la sfida globale, dobbiamo chiedere all’UE di avere una politica industriale e dell’ambiente più coraggiosa ed una politica fiscale e di bilancio che non penalizzi i paesi più indebitati. Solo se aumentiamo le ragioni e i vantaggi per restare ad operare in Europa, quindi se rendiamo il mercato unico ancora più efficiente, possiamo circoscrivere il fenomeno ed attrarre, al tempo stesso, nuovi investimenti produttivi dall’estero. Altre soluzioni, magari più a carattere  protezionistico, non appaioni perseguibili.

-Secondo Lei è possibile uscire dalla crisi economica senza reindustrializzare il nostro paese? O Basta solo snellire e rendere più flessibile il mondo del lavoro come vogliono farci credere?
P.L.S. :  Sarebbe necessaria una politica economica con una “vision” del futuro del nostro paese, della sua possibile ri-specializzazione settoriale, del ruolo dell’industria e del vantaggio comparato delle nostre imprese. Dovrebbe trattarsi di una politica dei “fattori”, volta a rimuovere le distorsioni dai mercati del lavoro e del capitale, ma anche dei “settori”, mirata all’efficienza e alla liberalizzazione, soprattutto dei servizi.


U.T. :  No, non è possibile. Bisogna però intendersi su cosa significa “reindustrializzazione”.
Assistiamo, infatti, anche a fenomeni che chiamiamo di back-shoring, cioè al rientro di fasi produttive che le imprese avevano delocalizzato all’estero nell’intento di non disperdere il patrimonio di competenze e know-how che esse hanno e che non è facile ricostituire una volta esportato in altri paesi. Non possiamo fare a meno dell’apporto dell’industria alla crescita economica del nostro paese, ma dobbiamo intervenire con più decisione per premiare le imprese che innovano, che valorizzano il capitale umano ma che necessitano di una diversa organizzazione produttiva e di capacità finanziarie e gestionali più avanzate. A mio avviso il costo del lavoro è solo una parte del problema, le nostre imprese potrebbero essere più competitive se introducessero, anche attraverso politiche economiche ispirate all’erogazione di servizi pubblici e sociali più efficienti, le innovazioni di cui abbiamo parlato (in ambito tecnologico, finanziario e nella formazione del capitale umano). 



-Come valuta la proposta politica di nazionalizzare i settori strategici italiani (Energia, Trasporti, Comunicazioni)? è un'ipotesi fattibile?  
 
P.L.S. :  Non mi pare una politica sostenibile. Ci abbiamo provato nel passato  noi, come anche altri paesi, e i costi sono stati maggiori dei benefici. L’amministrazione pubblica non è in grado di gestire le industrie, sia per la sua composizione interna , sia per i metodi di selezione, sia per la natura degli incentivi che può utilizzare. 
 
U.T. : Non è un’ipotesi fattibile. Il mercato unico europeo è stato costruito attraverso un legislazione europea che ha di fatto abolito i monopoli nazionali e ridotto il peso dell’intervento pubblico in moltissimi attività produttive e nei servizi. La vera sfida è aiutare i settori strategici a restare tali predisponendo azioni di sostegno adeguate, creando nuove opportunità di investimento nei settori più innovativi, ricercando una maggiore cooperazione tra le grandi imprese europee, definendo strategie comuni di approvvigionamento delle materie prime, realizzando reti di trasporto che riducano le distanze tra le regioni periferiche e le regioni del centro Europa.  
 
La ringrazio a nome di tutta la redazione, professore, per la cordialità e la professionalità dimostrata in questa intervista. Restiamo comunque dell’idea che solo un intervento statale nei settori strategici possa migliorare le condizioni industriali del nostro paese. Libera iniziativa privata economica ma sempre con il controllo, la regolazione e l’intervento cautelativo pubblico Speriamo, comunque, per il nostro paese e per i nostri giovani, in un futuro non molto lontano, di ripetere l’intervista, ma con condizioni industriali migliori.. A presto e Buon Lavoro.




 






1 commento:

  1. BUONGIORNO ALLA VOSTRA ATTENZIONE
    Voi che siete alla ricerca di prestito di denaro, non so come voi annunciare la mia gioia poiché essendo io anche alla ricerca di prestito, sono caduto su una donna d'affari francese. mi ha assegnato un prestito di 5.750.000€.Alors io hanno deciso di annunciare quest'opportunità a voi che non avete il favore delle banche o che avevano dovuto fare a prestatori disonesti che non fanno che approfittare della personalità di altra; avete un progetto o una necessità di finanziamento, potete scrivergli e spiegargli la vostra situazione; vi aiuterà se è convinto della vostra onestà la sua posta elettronica è: marinelepen001@gmail.com

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