venerdì 26 giugno 2015

Intervista ai professori di Economia Politica Massimo Giannini e Carmelo Pierpaolo Parello sul tema delle monete alternative

Pochi giorni fa abbiamo contattato il professor Massimo Giannini, docente di Economia Politica presso la facoltà di Giurisprudenza nell’ateneo romano di "Tor Vergata" e il professor Carmelo Pierpaolo Parello, docente di Economia Politica presso l ’ateneo romano de "La Sapienza"
per porgergli alcune domande su un argomento poco conosciuto nel nostro paese, che può diventare in futuro un’ottima
proposta politica: le monete alternative. L’intervista servirà a spiegare al lettore, attraverso le autorevoli voci di due professori, 
i vantaggi e le conseguenze che riceverebbe l'Italia se affiancasse alla moneta nazionale, una locale e popolare. Ringraziamo,
comunque, fin da subito i professore che si sono mostrati molto disponibile a spiegarci il fenomeno nonchè nell'essere stati tempestivo nel fornirci
le risposte.

Allora professore, cominciamo subito....


Cosa sono le monete alternative?

M. G. : Se ci rifacciamo al pensiero economico teorico la moneta, di qualunque natura essa sia, non ha nessun ruolo fondamentale. Infatti per secoli le economia primordiali hanno sempre usato il baratto come mezzo di scambio. Nel pensiero economico dominante, quello che grossolanamente possiamo identificare come “liberismo economico”, il valore delle merci è dato solo dal suo rapporto di sostituzione con le altre merci. Lo scambio è il momento centrale di una economia di mercato: due individui si incontrano e offrono all’altro una merce domandandone in cambio un’altra. Ad esempio un cacciatore di conigli offre la sua preda in cambio di un metro di stoffa prodotta da un tessitore. La domanda centrale è: quanti conigli per un metro di stoffa? Quando i due individui (i due lati del mercato, la domanda e l’offerta), sono concordi su quanti conigli per un metro di stoffa la transazione avrà luogo e ognuno riceve quello che desidera. Questa è l’essenza dell’economia di puro scambio. A ben vedere quindi lo scambio non implica la moneta. Tuttavia non vi è dubbio che appare complesso gestire gli scambi solo attraverso il baratto; il cacciatore potrebbe non avere l’occasione di incontrare il tessitore rimanendo così insoddisfatto nei suoi bisogni di consumo di tela. Tutto diventa più semplice se introduciamo una “merce” fittizia che può essere convertita in qualunque merce reale. Per chiarire. Il cacciatore può ricevere per il suo coniglio una certa quantità di questa “ merce fittizia” che può utilizzare per acquistare tela in un momento di tempo diverso o in luogo spaziale diverso. Non vi è dubbio che in questo modo gli scambi diventano notevolmente più semplici. Tuttavia quanta “merce fittizia” chiederà il cacciatore per il suo coniglio? Dipende da quanta tela potrà acquistarci e quindi a ben vedere il “valore” di un coniglio è sempre commisurato alla quantità di “tela” che può acquistare. In altri termini la “merce fittizia” non altera il rapporto di scambio coniglio/tela e quindi non ha alcun ruolo nell’economia. L’unica cosa che chiediamo a questa merce fittizia è che sia accettata da tutti come intermediario di scambio. Quindi teoricamente possiamo usare qualunque cosa sia accettata dalla collettività per assolvere alla funzione di intermediario di scambio. Se denominiamo questa merce fittizia con il termine di moneta, ne risulta che qualunque cosa può essere moneta, basta che sia accettata da tutti come tale. Per questo l’economia classica non attribuisce alla moneta alcun ruolo speciale; essa è solo un mezzo per accelerare e favorire gli scambi nel tempo e nello spazio ma non determina il “valore” di una merce. Se in Italia fossimo d’accordo ad usare perline colorate come intermediario di scambio non avremmo bisogno dell’Euro. In altri termini per stabilire una circolazione monetaria occorre un accordo implicito tra i cittadini che ne sanciscono la “legalità” come mezzo di pagamento. In questa estrema sintesi non è corretto parlare di monete alternative; da un punto di vista astratto tutto ciò che i cittadini riconoscono avere un rapporto “fiduciario” (cioè che quel mezzo venga accettato da tutti) diventa moneta. Nelle economie moderne tuttavia questo rapporto fiduciario viene sancito e delegato ad una autorità superiore, la “banca centrale” che vigila sulla corretta circolazione monetaria, prevenendone frodi e abusi. Ma questo rapporto fiduciario è comunque tacito e non coercitivo. Quando si incrina il rapporto fiduciario la moneta cessa di essere utilizzata come mezzo di pagamento, perché non più accettata negli scambi, e si può tornare a forme di baratto o vengono introdotti nuovi mezzi di pagamento non necessariamente gestiti da una autorità centrale. Quindi quando parliamo di moneta alternativa in realtà questo termine si riferisce a qualunque mezzo di pagamento che non sia quello legalmente riconosciuto dall’autorità centrale. La domanda di moneta alternativa è tanto più alta quanto debole è il rapporto di fiducia verso la moneta legale. Nei momenti di alta inflazione, come nelle economie di guerra per esempio, la moneta legale entra in crisi e i cittadini spontaneamente mettono in piedi dei sistemi alternativi di pagamento. Oppure nascono “monete” alternative che sopperiscono ad esigenze dei cittadini non soddisfatte dalla moneta legale. Noto è il caso della banca del tempo, dove i cittadini possono scambiarsi ore di lavoro o di impegno sociale; non vi è alcuna coericizione in questo né tantomeno un controllo dello Stato. Nasce come semplice soddisfacimento di una necessità dei cittadini.

C. P. : Le monete alternative (o monete parallele) sono mezzi di pagamento non ufficiali utilizzati all’interno di reti di produzione e scambio. Questi mezzi di pagamento sono in genere emessi da chi crea ed organizza le reti di scambio e, salvo casi particolari, non sono riconosciuti al di fuori della cerchia di persone che partecipano ed animano queste reti. Possono essere sia monete fiduciarie che non fiduciarie; elettroniche, come nel caso di Bitcoin, o cartacee come nel caso di tante comunità europee di produzione, consumo e scambio degli anni Trenta. 


- Nei vari paesi del mondo che ne hanno fatto uso, hanno avuto effetti positivi?


M. G. : Come precedentemente detto, in linea astratta la moneta alternativa assolve ad una specifica esigenza dell’economia e quindi da questo punto di vista è sempre un bene. Se esiste è perché ha una sua funzione. Tuttavia la moneta genera molti effetti indesiderati quando non gestita da una Autorità superiore, come ad esempio l’inflazione o la speculazione o peggio ancora la frode. Il rischio della moneta alternativa è quindi quello di generare dei circuiti monetari veri e propri fuori dal controllo della Banca Centrale a cui spetta il compito di vigilare e gestire la massa monetaria di una economia. Il ruolo della Banca Centrale Europea è molto delicato e in ultima ratio ha consentito al sistema dei pagamenti europeo e internazionale di non collassare sotto i colpi delle crisi finanziarie, come successo in passato. Per usare una sciocca metafora, è come avere un volante alternativo in una autovettura non sotto il controllo del guidatore; in alcuni casi può essere di aiuto ma in altri può portare fuori strada. E’ difficile quindi dare un giudizio netto sull’uso delle monete alternative. Ci sono molti esempi in tutto il mondo alcuni felice altri meno. Recentemente l’introduzione del bit-coin, un metodo di pagamento elettronico spontaneo nato grazie alla diffusione dei computer, ha creato non pochi problemi alle autorità monetarie. Gli utilizzatori sono essenzialmente persone che non credono al circuito internazionale legale e anzi lo vedono come un “grande fratello” che impone regole severe e prodomiche ai grandi speculatori internazionali. Ma ci sono anche esperimenti positivi, come la citata banca del tempo o i circuiti solidali, dove gli individui volontariamente scambiano tipologie di “valuta” finalizzate a scopi benefici e solidali. Sono da considerare come moneta alternativa anche i buoni pasto, ormai sempre più utilizzati per la spesa alimentare piuttosto che per la consumazione del pasto. Non si può quindi rispondere in maniera definita a questa domanda; molto dipende dal fine per il quale nasce la moneta alternativa e comunque anche dal “controllo”, anche molto blando, che necessitano per evitarne la proliferazione e la conseguente perdita di valore di scambio.


C. P. : Rispondere a questa domanda è tutt’altro che semplice, perché la risposta dipenda da cosa si intende per positivo. Se per positivo si intende l’efficacia con cui le monete parallele possono essere in grado di fornire un’alternativa più economica alle normali reti di distribuzioni e scambio di beni e servizi, allora la risposta è sì. Tuttavia, se per positivo si intende la capacità di fungere da apripista per la creazione di un ambiente socio-economico idoneo a favorire il trapasso da un regime monetario ad un altro, allora la risposta non può che essere negativa a causa del venir meno di uno degli elementi essenziali per l’esistenza di qualsiasi sistema monetario parallelo: il requisito della legalità. L’esperienza Argentina delle Redes de Trueque è sicuramente uno dei tanti casi di circuito monetario alternativo di successo rientranti nella prima fattispecie. Creato nel 1995 in concomitanza con l’implementazione delle politiche neoliberali di Carlos Menem, la Redes de Trueque era (ed è tutt’oggi) un network di scambio di beni e servizi basato su una moneta alternativa chiamata Créditos. A livello nazionale la Redes è costituita dall’unione di un certo numero di circuiti di scambio metropolitani e provinciali (i cd Clubes de Trueque), la cui numerosità in prossimità del picco massimo della crisi finanziaria argentina (2002) si aggirava intorno ai 5000 unità, per un totale di 2,5 milioni di partecipanti. L’emissione dei Créditos era ed è ancora oggi gestita dai leader locali secondo delle linee guida accettate anche dai leader degli altri circoli di scambio. In tal senso, quindi, i Créditos sono una sorta di “istituzione sociale” accettata come fiat money (moneta fiduciaria) dall’intera rete nazionale. Questa caratteristica li differenzia in maniera marcata da altre esperienze nazionali di moneta parallela, ed in particolare da quelle avutesi nel corso degli anni Trenta in Austria, Germania e Stati Uniti, dove la circolazione delle varie sotto-monete si basava sulla costituzione di un sottostante liquido denominato in moneta nazionale e su un tasso di conversione fisso su cui in genere gravava una penale di conversione espressa in termini percentuali. Una volta creata, la Redes de Trueques non è mai completamente scomparsa. Tuttavia, la sua incidenza in termini di unità di scambio e di percentuale di partecipazione tra la popolazione è andata scemando nel tempo a mano a mano che l’economia argentina è andata uscendo dai pantani della recessione. In nessun caso, comunque, il declino dei clubes è stato la conseguenza di un atto governativo, cosa che invece non è accaduta per altri sistemi monetari paralleli di successo. Qui probabilmente il caso più eclatante di creazione ed implementazione di una moneta alternativa di successo dichiarata poi illegale dalle autorità di politica economica fu quello dei Wära vouchers nei primissimi anni Trenta. I Wära – parola ibrida formata dall’unione dei sostantivi währung (unità di conto) e ware (merce) – furono introdotti nell’ottobre 1929 ad Erfurt (Germania), ma nel giro di pochi anni si estesero in molte città importanti come Colonia, Bonn e Berlino. La loro emissione era curata da una società di scambio, la Wära Exchange Society, la quale oltre ad emettere i vouchers curava e garantiva anche la loro convertibilità nella moneta nazionale: i Reichsmarks. I Wära vouchers ebbero un grande successo come mezzo di scambio alternativo ai Marchi dell’epoca, arrivando addirittura ad essere accettati anche da catene di rivenditori di medie e piccole dimensioni. La loro fine arrivò quando una società mineraria della città bavarese di Schwanenkirchen riuscì a sostituire i Reichsmarks con i Wära per il pagamento del 90% dei salari, creando di fatto una sorta di sistema monetario locale alternativo a quello ufficiale gestito dalla Banca Centrale dell’epoca. Nonostante la loro efficacia come mezzo di scambio e come strumento in grado di azzerare la disoccupazione locale, verso la fine del 1931 i Wära vouchers furono ufficialmente vietati dalle autorità monetarie tedesche per timore che una loro ulteriore espansione al resto della Baviera potesse compromettere il controllo di fette importanti di base monetaria. Va detto che la repressione è il destino comune di tutti i sistemi monetari paralleli di successo che, una volta raggiunta una certa “massa critica”, rischiarono di scacciare la moneta ufficiale; destino che quasi sempre si compie attraverso l’introduzione di provvedimenti ufficiali da parte dell’autorità centrale, come ad es. quelli emessi nel 1933 direttamente da Franklin Roosevelt per porre fine a tutta una serie di gruppi di baratto e di scambio alternativi nati in diverse parti degli Stati Uniti come risposta alla grande crisi del 1929. E viene da dire che la storia si ripete visto che bitcoin, forse la più famosa moneta alternativa transnazionale dei giorni nostri, è molto spesso sotto inchiesta per motivi di natura fiscale o di riciclaggio.


- In Italia sarebbe legale affiancare una moneta nazionale ad una internazionale? Che effetti potremmo avere? Con che modalità potrebbe essere stampata e diffusa senza rischiare di aumenatre l'inflazione?


M. G. : Come precedentemente detto, non vi sono restrizioni legali; alla base della circolazione alternativa vi è sempre l’accordo tra individui di accettarne la circolazione. Ma come detto la circolazione monetaria in una economia moderna è questione molto delicata e non può essere delegata alla spontaneità. Al di là del controllo dell’inflazione, sempre in agguato quando si “molla” il controllo della banca centrale, vi sono vere e proprie operazioni di speculazione su larga scala. Ad esempio, se sono sufficientemente bravo posso convincere il mio gruppo di amici di usare una moneta che chiameremo “perlina” perché magari è più facile da reperire o perché è solo più simpatica e divertente perché magari la scambio attraverso il telefono cellulare. Inizialmente i miei amici vorranno comprare dei pacchietti di “perline” e per comprarli mi dovranno degli euro, diciamo un euro per perlina. Io quindi incasso l’euro e do loro la perlina. Se la perlina prende piede, la sua diffusione veloce, grazie anche alla tecnologia.  creerà un effetto di perdita di valore (inflazione) della perlina. Ogni perlina quindi non varrà più un euro ma meno. Io che ho venduto perline per euro mi trovo quindi più ricco del mio amico che ha ceduto euro per perlina. In altri termini ho messo in piedi una speculazione valutaria “casalinga” che replica in piccolo ciò che succede sui mercati internazionali. E’ bene quindi che queste monete alternative siano confinate a settori dell’economia non sensibili o a fini sociali ben identificati per i quali possono essere utili.

C. P. : Prima di tutto sgombriamo il campo da un equivoco: in Italia esiste già un discreto numero di sistemi monetari alternativi e di scambio tra consumatori ed imprese. Quindi, fintantoché non si incappi in particolari reati finanziari e/o casi di evasione fiscale, i circuiti monetari alternativi in Italia esistono già e sono abbastanza tollerati dal nostro sistema finanziario-monetario. Riguardo le ripercussioni che queste monete potrebbero avere sull’inflazione, secondo me questo è un falso problema perché in genere tutti i beni si trovano ad aver un doppio prezzo, uno in moneta ufficiale e l’altro in moneta complementare, e le compravendite tendono sempre a completarsi nella moneta che offre il minor prezzo. Si innescherebbe, insomma, una sorta di competizione tra rivenditori che alla fine indurrebbe quelli che adottano la moneta complementare a correggere verso il basso i propri prezzi. Qualche problema potrebbe invece sorgere nel caso in cui una delle due monete diventasse scarsa. Se, ad es., fosse la moneta nazionale a scarseggiare (magari a causa di una crisi o di un semplice aggiustamento ciclico), allora la regola del doppio prezzo potrebbe anche non valere, col risultato che un eccesso di moneta alternativa potrebbe innescare surriscaldamenti nei prezzi di alcuni beni e servizi la cui offerta risulti essere limitata. Va però detto che i numeri che al momento caratterizzano il fenomeno dei circuiti monetari alternativi italiani sono tali da non considerarli in grado di generare focolai seri d’inflazione. Tuttavia, qualora ciò dovesse succedere, l’eventuale impennata dei prezzi non sarebbe una cosa totalmente negativa perché segnalerebbe che quella particolare moneta o quella particolare comunità di produzione e scambio ha fallito la sua missione, e che quindi va abbandonata o sostituita con un altro mezzo di pagamento.


- Qualcuno in Italia (partiti, associazioni, sindacati) l'ha mai proposta seriamente l'ipotesi di stampare moneta alternativa?

M. G. : No e comunque non accetterei mai di farlo per i motivi ricordati. La Banca Centrale ha il suo bel da fare per mantenere stabile la circolazione monetaria di una economia, pena una serie di crisi monetarie e valutarie di portata internazionale, come il recente passato ha dimostrato.

C. P. : Esistono alcune proposte, ma quelle più interessanti non sono di provenienza politica o sindacale, ma accademica. Mi riferisco a due proposte in particolare recentemente avanzate in maniera indipendente da un pool di cinque economisti (Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini) – proposta nota come il Manifesto “Per una moneta gratuita” –, e da una ricercatrice dell’Università Sapienza, Graziella Bianchini.
Entrambe le proposte sono interessanti ed hanno in comune il fatto di convergere sulla creazione di un nuovo titolo di stato: i Certificati di credito fiscale (CCF), nel caso del Manifesto “Per una moneta gratuita”, i Buoni del tesoro infruttiferi circolanti italiani (BTICI), nel caso della proposta Bianchini. Entrambi i titoli dovrebbero essere dotati di un grado di liquidità tale da poter essere usati come mezzo di pagamento complementari (se non addirittura alternativi) all’euro e, se necessario, richiedere il coinvolgimento delle autorità monetarie ufficiali, vale a dire la BCE, per eventuali operazioni di copertura o sterilizzazione della base monetaria. Insomma: delle quasi-monete statali di emissione governativa. Nel caso dei CCF, la loro emissione e collocazione presso il pubblico dovrebbe avvenire in maniera mirata e gratuita seguendo la stessa metodologia di creazione e distribuzione del cd “helicopter” money. In particolare, i CCF dovrebbero servire a regolare qualsiasi transazione passiva a favore della pubblica amministrazione – ad es. pagamenti di tasse, contributi, multe, e così via -, ma solo a partire da due anni dall’emissione. A garanzia del valore frontale dei CCT ci sarebbe poi la possibilità di poterli immediatamente (quindi prima di due anni) convertire in euro attraverso il sistema bancario, garantendo così ai loro possessori la disponibilità di un certo potere d’acquisto aggiuntivo. Secondo gli ideatori del Manifesto, il fatto che la pubblica amministrazione accetti a vista i CCF farebbe di questi titoli delle quasi-monete addirittura capaci di movimentare la domanda nazionale (vale a dire consumi ed investimenti), far risalire l’occupazione e allentare i vincoli del bilancio statale. La proposta è interessante e per molti aspetti allettante, ma secondo me andrebbe perfezionata. Ad es. personalmente non riesco a capire il perché i cittadini debbano tesaurizzare per due anni questa quasi-moneta quando potrebbero immediatamente convertirla in liquidità certa e quindi spenderla. Sul fatto poi che questa possa poi essere capace di far ripartire l’economia dando impulso a consumi e investimenti, qui io mi terrei su un profilo un po’ meno ottimistico. Affinché ciò possa avvenire è infatti necessario che: 1) le cifre siano importanti (non inferiori, ad es., ai 10 miliardi di euro – circa lo 0,6% del Pil – mobilitati dagli 80€ di Renzi); l’emissione di CCF sia in grado di modificare in modo permanente le aspettative delle imprese (quindi la loro creazione non deve essere percepita come una una tantum); le procedure e le regole di funzionamento dei CCF trovino il benestare non solo della BCE, ma anche dell’intero settore bancario e finanziario che potrebbe essere chiamato in causa in caso di conversione. Inoltre, leggendo la proposta non è chiaro per quale motivo le banche dovrebbero accettare di liquidare i CCF senza ricevere un compenso e chi darebbe poi allo Stato gli euro necessari a risarcire a loro volta le banche una volta che presenteranno i CCF all’incasso.
Ed infine: se lo stato paga gli stipendi in euro per poi, dopo due anni, ricevere l’Irap o l’Ires in CCF, come sarà contabilizzato il maggior deficit futuro? I BTICI proposti dalla Bianchini, invece, oltre a fungere da quasi-moneta dovrebbero rappresentare una forma di finanziamento alternativa per lo Stato. Secondo me hanno come punto a loro sfavore il fatto di non essere convenienti dal punto di vista finanziario. E di questo chi li propone ne è consapevole;  tanto consapevole che per poterli collocare fa ricorso ad due parole che a me non piacciono affatto: collocamento forzoso.



- Può essere considerato un primo passaggio del processo di riacquisizione della sovranità monetaria, senza affrettare l'uscita dall'Euro?

M. G. : Non a mio avviso. L’Euro, pur con i suoi limiti, è un progetto di cooperazione monetaria importante e fondamentale. Le sue regole sono molto severe ma come detto non si può essere leggeri nel controllo della massa monetaria. Chi afferma che uscire dall’Euro non causerebbe danni ma solo vantaggi a mio avviso non ha una chiara concezione del funzionamento di una economia moderna, dove la finanza domina sulla sfera produttiva tangibile. Le crisi finanziarie possono essere facilmente innescate e con grande fatica disinnescate. Senza una Autorità Monetaria superiore saremmo in balia di continue turbolenze valutarie che si ripercuotono sulla sfera produttiva e occupazionale, toccando l’intera società, come tristemente abbiamo appreso.

C. P. : La creazione di un sistema monetario complementare all’euro che fornisca una moneta di transizione verso una nuova sovranità monetaria è uno dei tanti temi caldi che tengono banco in questi ultimi mesi. In Grecia, ad es., il Governo Tsipras pare stia vagliando questa eventualità come anti-camera per l’uscita dall’euro e la riappropriazione del potere di svalutare il proprio tasso di cambio nominale. Ovviamente, se l’intenzione è quella di uscire (prima o poi) dall’euro, allora mi sento di dire che la creazione di una moneta di transizione è un qualcosa di auspicabile, oltre che necessaria. E questo per tanti motivi: 1) perché aiuterebbe a gestire la fase del passaggio da una unità di conto ad un’altra in maniera non traumatica (si pensi, ad es., alla fase preparatoria per il passaggio all’euro in cui tutti i rivenditori erano obbligati a segnalare i prezzi sia in lire che in euro, o la lenta fase di riorganizzazione delle procedure contabili e gestionali del sistema bancario dovuta all’ingresso della nuova valuta e del nuovo regime di tassi d’interesse); 2) perché aiuterebbe a smussare gli impatti sui valori nominali di prezzi, tassi d’interesse e tassi di cambio; 3) perché avrebbe ricadute psicologiche sulla popolazione più gestibili rispetto ad repentina sostituzione dell’euro con una nuova versione della vecchia moneta nazionale (la dracma 2.0 nel caso della Grecia).  Detto ciò, è bene mettere bene in chiaro alcuni punti riguardo l’eventuale uscita dall’euro di qualsiasi Stato sovrano. Secondo me se un Paese sente di dover uscire dall’euro sarebbe auspicabile che lo facesse in maniera concertata e non unilaterale; col “bel tempo” (vale a dire fuori da una crisi o recessione) e non nel bel mezzo di una bufera economica; in maniera ragionata e non d’impulso semplicemente perché alla fine ci si è accorti che questa Europa non è proprio quello che ci si aspettava o il paese leader ci sta antipatico. Quando uno Stato passa ad un nuovo regime monetario, gli interrogativi da sciogliere sono parecchi. Ad es., quali saranno le ripercussioni sul cittadino medio e quali le ripercussioni sulla collettività nel suo complesso? Quale regime di cambio sarà meglio adottare quando si passa dall’altra parte (cambi fissi, flessibili o serpentone monetario con una moneta forte?) e quali target di politica monetaria sarà meglio adottare per evitare il collasso dell’intero sistema dei pagamenti nazionale (controllo dell’offerta di moneta, delimitazione del credito interno, fissazione di un tasso d’interesse di riferimento, ecc.)? Iniziare un’avventura rischiosa e complessa come quella di uscire da un’area monetaria integrata e per certi versi cervellotica come l’euro senza dare una risposta a queste domande, condannerebbero qualsiasi popolazione ad un altro decennio di recessione e instabilità sociale, specie se il paese che esce in maniera unilaterale si chiama Grecia, Portogallo o Irlanda; paesi in cui la fetta più grande del debito privato e pubblico e soggetto a legislazione non nazionale e quindi ripagabile “solo” in una valuta diversa da quella nazionale.



Torniamo, dunque, a ringraziarla professore per le risposte che ci ha fornito, e speriamo di aggiornarci presto in merito ad aggiornamenti sull'argomento,  vista l'essenzialità del tema trattato.

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