domenica 14 dicembre 2014

Che cos'è davvero l'ISIS?



Negli ultimi mesi non si parla dall'altro. L'isis, o Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, un’organizzazione molto particolare che si definisce come “Stato” e non come “Gruppo”. Grazie al suo modus operandi crudele e terroristico Controlla tra Iraq e Siria un territorio esteso approssimativamente come il Belgio, e lo amministra in autonomia, ricavando dalle sue attività i soldi che gli servono per sopravvivere. Teorizza una guerra totale e interna all’Islam, oltre che contro l’Occidente, e vuole istituire un califfato senza precisi confini.


Per capire l’ISIS – da dove viene, che strategia ha, dove può arrivare – abbiamo messo in ordine alcune cose essenziali da sapere. Che tornano utili per capire che cosa sta succedendo in Medioriente, e non solo in Iraq e in Siria. Innanzitutto bisogna capire quali sono le figure fondamentali che sono a capo di questi gruppi islamici sunniti più estremisti in circolazione. Il primo, conosciuto da tutto il mondo per gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, è Osama bin Laden, uomo di origine saudita che per lungo tempo è stato a capo di al Qaida; il secondo è un medico egiziano, Ayman al-Zawahiri, che ha preso il posto di Bin Laden dopo la sua uccisione in un raid americano ad Abbottabad, in Pakistan, il 2 maggio 2011; il terzo è Abu Musab al-Zarqawi, un giordano che dagli anni Ottanta e poi Novanta era stato uno dei rivali di Bin Laden all’interno del movimento dei mujaheddin, e poi anche di al Qaida. Rispetto agli obiettivi di al Qaida, Zarqawi aveva altro in testa: voleva provocare una guerra civile su larga scala e per farlo voleva sfruttare la complicata situazione religiosa dell’Iraq, paese a maggioranza sciita ma con una minoranza sunnita al potere da molti anni con Saddam Hussein. Questo perché l'intento principale di Zarqawi era creare un califfato islamico esclusivamente sunnita. Tale concezione è molto importante, perché definisce anche oggi la strategia dell’ISIS e ne determina le sue alleanze in Iraq. In pratica Zarqawi voleva portare avanti una campagna di sabotaggi continui e costanti a siti turistici e centri economici di stati musulmani, per creare una rete di “regioni della violenza” in cui le forze statali si ritirassero sfinite dagli attacchi e in cui la popolazione locale si sottomettesse alle forze islamiste occupanti. Praticamente le cose sono andate così.
 
Nel 2003 il gruppo di Zarqawi fece esplodere un’autobomba in una moschea nella città irachena di Najaf durante la preghiera del venerdì: rimasero uccisi 125 musulmani sciiti, tra cui l’ayatollah Muhammad Bakr al-Hakim. Fu un attacco violentissimo. Negli anni gli attentati andarono avanti e nel 2004 Zarqawi sancì la sua vicinanza con al Qaida chiamando il suo gruppo Al Qaida in Iraq (AQI): nonostante la differenza di vedute, l’affiliazione garantiva vantaggi a entrambe le parti, per esempio permetteva a Bin Laden di avere una forte presenza in Iraq, paese allora occupato dalle forze americane. Nel frattempo, nel 2006, Zarqawi venne ucciso da un ordigno americano, e il suo posto fu preso da Abu Omar al-Baghdadi, il quale a sua volta venne ucciso poi nel 2010 è sostituito da Abu Bakr al-Baghdadi. Il gruppo di al-Baghdadi subì un notevole indebolimento nel 2007 a seguito del parziale successo della strategia di contro-insurrezione attuata nel 2007 in Iraq dal generale statunitense Petraeus, che prevedeva una maggiore vicinanza e solidarietà delle truppe con la popolazione e che contribuì a ridurre le violenze settarie e il ruolo di al Qaida per almeno due anni. La strategia di Petraeus si basava su una collaborazione con le tribù sunnite locali, che mal sopportavano l’estremismo di al Qaida: questa strategia oggi sembra inapplicabile, a causa delle politiche violente e settarie che il primo ministro sciita Nuri al-Maliki ha attuato contro i sunniti negli ultimi quattro anni, compromettendo per il momento qualsiasi possibilità di collaborazione.

Nel 2011 il gruppo ricominciò a rafforzarsi, riuscendo tra le altre cose a liberare un certo numero di prigionieri detenuti dal governo iracheno. Nell’aprile del 2013 AQI cambiò il suo nome in Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), dopo che la guerra in Siria gli diede nuove possibilità di espansione anche in territorio siriano. Il fatto di includere la regione del Levante nel nome del gruppo (cioè l’area del Mediterraneo orientale: Siria, Giordania, Palestina, Libano, Israele e Cipro) era l’indicazione di un’espansione delle ambizioni dell’ISIS, ma non ne spiegava del tutto gli obiettivi finali. Si pensa che uno di questi sia quello di combattere il presidente sciita della Siria Bashar al Assad, il quale già da quattro anni a questa parte sostiene che "Damasco farà ogni sforzo internazionale per combattere il terrorismo".

Per tale motivo, come confermato anche da al-Baghdadi, proprio il presidente Assad e le sue milizie siriane sono l'altro grande nemico dell'ISIS, perché colpevoli, secondo la loro opinione, di aver instaurato un regime che viola i diritti dei sunniti. Nonostante numerose minaccia fatte recapitare ad Assad, il presidente siriano continua nella sua lotta contro le guerre settarie e il furore jihadista, ricevendo l'appoggio anche da parte dell'occidente. Ciò rappresenta una stranezza storica dal momento che, fino al 2013 aveva tutti contro, a partire dagli USA . Stranezze della storia: soltanto un anno fa, il terrorista agli occhi di Washington era proprio Bashar, reo di aver usato armi chimiche contro la sua stessa popolazione, e le bombe da sganciare erano quelle sul suo quartiere generale a Damasco. Ma le geometrie variabili del Medio Oriente sono ancora più variabili da quando i confini tracciati con il righello alla fine dell’Impero Ottomano sono crollati sotto il peso delle lotte intestine e dell’incapacità di capirle, equamente distribuita tra Washington, Londra e Bruxelles. E Bashar, con le mani sporche di sangue, si ritrova spavaldamente ad affrontare la sua battaglia contro i veri terroristi che minacciano l'unità, la laicità e la sovranità della Siria.

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