domenica 7 dicembre 2014

Credere fermamente in ciò che si fa. Resoconto del Mio Viaggio in Siria.

Queste semplici parole, che racchiudono un intero mondo ed uno stile di vita, sono state sufficienti ad armare la mia anima di coraggio, farmi imbarcare in un aereo e raggiungere un Paese in guerra. In molti mi chiedevano cosa mi spingesse a fare una missione così delicata e in pochi riuscivano a capacitarsi della mia ferrea convinzione nel raccontare ciò che di li a breve sarei andata a svolgere in Siria, e la mia risposta era una ed irremovibile: aiutare un popolo direttamente nella propria Terra d’ appartenenza, che combatte per la propria storia, identità e cultura è un progetto iniziato tanti anni fa, quando ancora si sognava di un Impero e che quindi noi non possiamo esimerci dal portarlo a termine.

Dopo anni di banchetti, manifestazioni e conferenze, era dunque arrivato il momento di portare il nostro supporto ad un popolo che lo meritava, entrando nel vivo della solidarietà e vivendo in prima persona quella Nazione sulla quale, nei tre anni di conflitto, ne avevamo sentite di cotte e di crude. Bene, ad oggi mi sento di affermare a gran voce e con consapevolezza che, tralasciando il pubblico più accorto a filtrare accuratamente le notizie trasmesse dai mass media, il resto dell’ occidente dovrebbe dimenticarsi di tutte le balle mediatiche lette o sentite in merito alla guerra in Siria. Essa è il contrario dell’ intolleranza e dell’ inciviltà, il suo Popolo è uno tra i più ospitali conosciuti e la loro dignità nell’ affrontare ogni situazione, dalla più banale alla morte di un figlio Martire, è esemplare per tutti noi.

La missione Solid è nata con l’ intento di portare al popolo siriano, in lotta contro un sistema che vorrebbe annullare la loro sovranità nazionale, materiali di prima necessità per la sopravvivenza come medicinali, ambulanze e defibrillatori ma anche un sorriso, speranza, supporto morale, dimostrando loro che non stanno combattendo un sistema più grande di tutti noi da soli, ma che alcuni europei ci sono e sono dalla loro parte; molto spesso però, quelli che hanno impartito lezioni di coraggio e dimostrazioni di valore, sono stati proprio loro e noi, non potevamo far altro che prenderne nota e rifletterci sopra.

A Damasco, il governo Assad, compreso il gran Mufti siriano, ci ha dato un chiaro spaccato della situazione pre-conflitto e di quella attuale: pace, tolleranza, equilibrio, industria fiorente e ottima istruzione fino allo scoppio della guerra poi, bombardamenti, morte e stupore misto a paura nel vedere un viso nuovo nella propria città; ma i siriani non si arrendono, non si lasciano abbindolare da quel lassismo fazioso tipico dell’ occidente, combattono a costo di dormire con i propri figli in macchina perché timorosi che nel bussare al portone ci sia un boia dietro.

La seconda parte della missione, svoltasi a Tartous, molto più toccante rispetto agli incontri istituzionali, ci ha fatto addentrare nella vita dei civili facendoci vivere da protagonisti cosa vuol dire affrontare i più stupidi gesti quotidiani durante una guerra in corso; uomini e donne una volta liberi, ora costretti ad ammazzare perché l’ unica colpa che hanno è quella di amare la propria Nazione e di volerla difendere per far valere la propria sovranità nazionale invece di lasciarla cadere nel macchinoso gioco internazionale fatto di poteri forti che ha messo gli occhi su una nazione ricca e fiorente come quella siriana e che non vede l’ ora di dividerla con riga e squadra secondo i propri interessi particolaristici.

Di tutta la missione, la parte che ha riassunto in un momento quanto il popolo siriano valga, è stato l’ incontro di una famiglia che stava aspettando in veglia, il corpo del figlio privo di vita caduto al fronte: l’ orgoglio e il coraggio impressi negli occhi di due genitori di quel diciottenne rimarranno per sempre un fermo immagine nella mia mente, ne una lacrima ne un lamento, solo parole per ringraziarci per quanto stavamo facendo. Il padre, dopo averci accolto calorosamente ci ha detto “io avevo solo un figlio, ma se ne avessi avuti altri dieci li avrei mandati tutti a combattere per la nostra Terra e sono inoltre dispiaciuto che non ho un età adeguata che mi ha permesso di cadere accanto a mio figlio”.

Dopo questa esperienza la mia riflessione resta una soltanto, io l’ avrei fatto? e tu?avremmo lasciato la nostra vita fatta di comodità a rischio della vita? A questo punto, a chi poltrisce sul divano, a chi vorrebbe attivarsi ma non trova coraggio o voglia, ai militanti tiepidi, a me stessa, io vorrei lasciare un semplice pensiero che spero riesca a diventare una luce nel tunnel: ragazzi, è ora di farci Uomini e Donne, prendiamo esempio dal popolo siriano, svegliamoci e diventiamo soldati politici, nel senso romantico del termine, perché la nostra Nazione ha bisogno di noi, ci stanno togliendo il futuro.

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